Papa Francesco nel paese delle aquile: "volate alto"
Se davvero non sapeva granché - finché non ha messo in agenda il viaggio in Albania - dei tormenti di quel disgraziato paese in 50 anni di comunismo, Papa Francesco può e deve essere perdonato. Primo, per il candore con cui lo ha ammesso in pubblico, ieri, proprio a Tirana (“per me è stata una sorpresa… io non sapevo che il vostro popolo avesse sofferto tanto”), assicurando però che prima della partenza si era comunque documentato un po' con qualche libro; secondo, perché dei crimini di cui il comunismo si è macchiato nel secolo scorso in giro per il mondo, non è poi che di esperti ce ne siano tanti .
Ci sarebbe anche un famoso “libro nero” del comunismo, utile magari ai più volenterosi per colmare almeno le più vistose lacune, se non fosse che troppo spesso è stato usato per qualche polemicuzza politica di poco conto. Ciò non toglie però che tutta quella nefasta pagina di storia meriti di essere portata alla luce e soprattutto si debba rendere onore alle sofferenze di milioni di uomini e donne.
Come gli sconosciuti, fino a poche ore fa, don Ernest Simoni e suor Marije Kaleta, entrambi albanesi e ultraottantenni, che hanno avuto la ventura di raccontare in mondovisione al Papa il loro martirio di religiosi cattolici nell’unico paese al mondo orgogliosamente “ateo”, si proclamò anni orsono, ai sensi addirittura della costituzione. Battesimi impartiti con acqua attinta dove capitò, con una scarpa, tale fu l’insistenza di una donna (peraltro moglie di un esponente del regime) perché il suo bambino ricevesse il battesimo. Così l’impaurita suor Marije si decise a compier quel gesto come poteva. Una sua consorella stimmatina, Maria Tuci, per la cronaca è una dei soli 40 albanesi, al momento per i quali oggi è aperta una causa di beatificazione.
Poi messe biascicate a memoria sottovoce, in prigione, comunicando e confessando in segreto gli altri compagni di sventura: arresti, sevizie, decenni di carcere e lavori forzati, era il destino di quei sacerdoti e religiosi pure fortunati a scampare al plotone di esecuzione. Questo il racconto di don Simoni, capace di strappare al Papa la lacrima immortalata anch’essa in TV, al culmine di un lungo abbraccio: “sentir parlare un martire del proprio martirio… è forte! … e parlavano come se parlassero di un altro, con una naturalezza, un’umiltà…” ha commentato lui quindi sul volo per Roma coi cronisti al seguito.
Emozioni forti, son quelle che il viaggio numero 4 di papa Bergoglio fuori d’Italia consegna ai posteri, pensando che appena 25 anni orsono, non secoli fa, tutto quel che si è visto ieri a Tirana sarebbe sembrato fantascienza. La papamobile (le voci di possibili minacce alla sua sicurezza non hanno dissuaso il Pontefice dall’usarla) che passa tra due ali di folla festante (ed in gran parte giovane, lui stesso ha notato) diretta al luogo della celebrazione di una messa cui han preso parte ben 300.000 persone, vale a dire quasi un albanese su 10 (ma con arrivi anche da Kosovo, Montenegro e Macedonia), con le immagini dei martiri della fede issate lungo il boulevard centrale di Tirana.
Quando Wojtyla andò là anche lui, 21 anni fa, l’Albania era ancora un paese tramortito dal crollo del comunismo. All’apertura caotica delle frontiere, sigillate fin lì sia in entrata che in uscita, migliaia di uomini e donne iniziarono a tentare la fuga all'estero con ogni mezzo. L'Italia iniziò a familiarizzare col dramma di quel vicino popolo quando all’improvviso, al largo di Bari, l’8 agosto ’91, spuntò una nave carica all’inverosimile di 20.000 persone, come qualcuno forse ricorderà. E oggi son quasi mezzo milione gli immigrati albanesi in Italia.
Per affrontare un viaggio (pure non lunghissimo) in condizioni simili, come tanti altri ancora fecero anche dopo, è facile intuire quale miseria e degrado sociale si lasciassero dietro. "Il rispetto dei diritti umani, tra cui spicca la libertà religiosa e di espressione del pensiero", son parole perciò di Francesco, ieri, all'incontro con le autorità del paese, "è infatti condizione preliminare per lo stesso sviluppo sociale ed economico di un paese"; proprio quel che il comunismo non ha mai saputo realizzare, ostinandosi però a perseguitare sistematicamente in Albania e non solo ogni espressione di sentimento religioso. Ma "quando in nome di una ideologia si vuole estromettere Dio dalla società, si finisce per adorare gli idoli, e ben presto l'uomo smarrisce se stesso, la sua dignità è calpestata, i suoi diritti violati", ha detto Francesco ai leader cristiani e di altre religioni del paese. Ecco, e son fatti e non solo parole, la fine ingloriosa dell'ateismo di Stato.
Purtroppo però, oggi come ieri c'è anche chi uccide in nome di Dio, ed è stato questo il secondo grande tema del viaggio papale a Tirana, nell'unico paese europeo a maggioranza musulmana, ma con non piccole minoranze cattoliche ed ortodosse. E la convivenza pacifica tra queste comunità, ha sottolineato Bergoglio nell'occasione, "acquista un rilievo speciale in questo nostro tempo in cui, da parte di gruppi estremisti, viene travisato l'autentico senso religioso e vengono distorte e strumentalizzate le differenze tra le diverse religioni".
Convivere insomma è non solo auspicabile, ma concretamente possibile. Perché "la religione è fonte di pace, non di violenza, e nessuno può usare il nome di Dio per commettere violenza! Uccidere in nome di Dio è un grande sacrilegio! Discriminare in nome di Dio è inumano!", ha ripetuto infervorandosi il Papa con gli stessi leader religiosi, aggiungendo però pure un altro monito degno di nota: no, vale a dire, al "relativismo" di quel dialogo "fantasma", lo chiama Bergoglio, tra intelocutori che per dialogare, appunto, accantonano la propria identità. E invece "ognuno di noi ha la propria identità religiosa, è fedele a quella. Ma il Signore sa come portare avanti la storia...".
Ci vuol sempre speranza e fiducia in Dio, come l'eroica chiesa d'Albania ha sempre avuto, è il messaggio che Francesco ha lanciato in definitiva a Tirana a questa piccola periferia d'Europa, sospesa tra un sofferto passato e un futuro tutto da costruire. La sua bandiera raffigura appunto un aquila su sfondo rosso, simbolo di questa terra altrimenti nota come "paese delle aquile". E non c'è forse miglior sintesi di quella che proprio questa immagine ha ispirato al Papa: "l'aquila non dimentica il nodo, ma vola alto... volate alto!".
Se davvero non sapeva granché - finché non ha messo in agenda il viaggio in Albania - dei tormenti di quel disgraziato paese in 50 anni di comunismo, Papa Francesco può e deve essere perdonato. Primo, per il candore con cui lo ha ammesso in pubblico, ieri, proprio a Tirana (“per me è stata una sorpresa… io non sapevo che il vostro popolo avesse sofferto tanto”), assicurando però che prima della partenza si era comunque documentato un po' con qualche libro; secondo, perché dei crimini di cui il comunismo si è macchiato nel secolo scorso in giro per il mondo, non è poi che di esperti ce ne siano tanti .
Ci sarebbe anche un famoso “libro nero” del comunismo, utile magari ai più volenterosi per colmare almeno le più vistose lacune, se non fosse che troppo spesso è stato usato per qualche polemicuzza politica di poco conto. Ciò non toglie però che tutta quella nefasta pagina di storia meriti di essere portata alla luce e soprattutto si debba rendere onore alle sofferenze di milioni di uomini e donne.
Come gli sconosciuti, fino a poche ore fa, don Ernest Simoni e suor Marije Kaleta, entrambi albanesi e ultraottantenni, che hanno avuto la ventura di raccontare in mondovisione al Papa il loro martirio di religiosi cattolici nell’unico paese al mondo orgogliosamente “ateo”, si proclamò anni orsono, ai sensi addirittura della costituzione. Battesimi impartiti con acqua attinta dove capitò, con una scarpa, tale fu l’insistenza di una donna (peraltro moglie di un esponente del regime) perché il suo bambino ricevesse il battesimo. Così l’impaurita suor Marije si decise a compier quel gesto come poteva. Una sua consorella stimmatina, Maria Tuci, per la cronaca è una dei soli 40 albanesi, al momento per i quali oggi è aperta una causa di beatificazione.
Poi messe biascicate a memoria sottovoce, in prigione, comunicando e confessando in segreto gli altri compagni di sventura: arresti, sevizie, decenni di carcere e lavori forzati, era il destino di quei sacerdoti e religiosi pure fortunati a scampare al plotone di esecuzione. Questo il racconto di don Simoni, capace di strappare al Papa la lacrima immortalata anch’essa in TV, al culmine di un lungo abbraccio: “sentir parlare un martire del proprio martirio… è forte! … e parlavano come se parlassero di un altro, con una naturalezza, un’umiltà…” ha commentato lui quindi sul volo per Roma coi cronisti al seguito.
Emozioni forti, son quelle che il viaggio numero 4 di papa Bergoglio fuori d’Italia consegna ai posteri, pensando che appena 25 anni orsono, non secoli fa, tutto quel che si è visto ieri a Tirana sarebbe sembrato fantascienza. La papamobile (le voci di possibili minacce alla sua sicurezza non hanno dissuaso il Pontefice dall’usarla) che passa tra due ali di folla festante (ed in gran parte giovane, lui stesso ha notato) diretta al luogo della celebrazione di una messa cui han preso parte ben 300.000 persone, vale a dire quasi un albanese su 10 (ma con arrivi anche da Kosovo, Montenegro e Macedonia), con le immagini dei martiri della fede issate lungo il boulevard centrale di Tirana.
Quando Wojtyla andò là anche lui, 21 anni fa, l’Albania era ancora un paese tramortito dal crollo del comunismo. All’apertura caotica delle frontiere, sigillate fin lì sia in entrata che in uscita, migliaia di uomini e donne iniziarono a tentare la fuga all'estero con ogni mezzo. L'Italia iniziò a familiarizzare col dramma di quel vicino popolo quando all’improvviso, al largo di Bari, l’8 agosto ’91, spuntò una nave carica all’inverosimile di 20.000 persone, come qualcuno forse ricorderà. E oggi son quasi mezzo milione gli immigrati albanesi in Italia.
Per affrontare un viaggio (pure non lunghissimo) in condizioni simili, come tanti altri ancora fecero anche dopo, è facile intuire quale miseria e degrado sociale si lasciassero dietro. "Il rispetto dei diritti umani, tra cui spicca la libertà religiosa e di espressione del pensiero", son parole perciò di Francesco, ieri, all'incontro con le autorità del paese, "è infatti condizione preliminare per lo stesso sviluppo sociale ed economico di un paese"; proprio quel che il comunismo non ha mai saputo realizzare, ostinandosi però a perseguitare sistematicamente in Albania e non solo ogni espressione di sentimento religioso. Ma "quando in nome di una ideologia si vuole estromettere Dio dalla società, si finisce per adorare gli idoli, e ben presto l'uomo smarrisce se stesso, la sua dignità è calpestata, i suoi diritti violati", ha detto Francesco ai leader cristiani e di altre religioni del paese. Ecco, e son fatti e non solo parole, la fine ingloriosa dell'ateismo di Stato.
Purtroppo però, oggi come ieri c'è anche chi uccide in nome di Dio, ed è stato questo il secondo grande tema del viaggio papale a Tirana, nell'unico paese europeo a maggioranza musulmana, ma con non piccole minoranze cattoliche ed ortodosse. E la convivenza pacifica tra queste comunità, ha sottolineato Bergoglio nell'occasione, "acquista un rilievo speciale in questo nostro tempo in cui, da parte di gruppi estremisti, viene travisato l'autentico senso religioso e vengono distorte e strumentalizzate le differenze tra le diverse religioni".
Convivere insomma è non solo auspicabile, ma concretamente possibile. Perché "la religione è fonte di pace, non di violenza, e nessuno può usare il nome di Dio per commettere violenza! Uccidere in nome di Dio è un grande sacrilegio! Discriminare in nome di Dio è inumano!", ha ripetuto infervorandosi il Papa con gli stessi leader religiosi, aggiungendo però pure un altro monito degno di nota: no, vale a dire, al "relativismo" di quel dialogo "fantasma", lo chiama Bergoglio, tra intelocutori che per dialogare, appunto, accantonano la propria identità. E invece "ognuno di noi ha la propria identità religiosa, è fedele a quella. Ma il Signore sa come portare avanti la storia...".
Ci vuol sempre speranza e fiducia in Dio, come l'eroica chiesa d'Albania ha sempre avuto, è il messaggio che Francesco ha lanciato in definitiva a Tirana a questa piccola periferia d'Europa, sospesa tra un sofferto passato e un futuro tutto da costruire. La sua bandiera raffigura appunto un aquila su sfondo rosso, simbolo di questa terra altrimenti nota come "paese delle aquile". E non c'è forse miglior sintesi di quella che proprio questa immagine ha ispirato al Papa: "l'aquila non dimentica il nodo, ma vola alto... volate alto!".
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