La Chiesa è universale perché è nata “in uscita”, cioè missionaria, ed è sempre “ancorata” alla “lunga catena” originata dal primo annuncio dei discepoli. Così Papa Francesco ha spiegato alle 50 mila persone presenti all’udienza generale in Piazza San Pietro le due caratteristiche peculiari della Chiesa: l’essere “cattolica” e “apostolica”. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Radio Vaticana - Se fosse stato un circolo di pochi eletti, non avrebbe avuto una storia di duemila anni e una casa grande quanto il mondo. E invece, grazie all’“effetto-Pentecoste”, è una comunità che parla “tutte le lingue” e la si trova dovunque. Papa Francesco spiega alla folla dell’udienza generale in senso dei due principali appellativi della Chiesa. Il suo essere cattolica, “universale” – creata così dallo Spirito Santo che l’ha resa “missionaria” fin dall’ora zero – e “apostolica”, perché sorretta dalla testimonianza dei dodici Apostoli, primi anelli della lunga catena della fede: ascolta
“La Parola di Dio oggi si legge in tutte le lingue, tutti hanno il Vangelo nella propria lingua, per leggerlo. E torno sullo stesso concetto: è sempre buono prendere con noi un Vangelo piccolo, per portarlo in tasca, nella borsa e durante la giornata leggerne un passo. Questo ci fa bene. Il Vangelo è diffuso in tutte le lingue perché la Chiesa, l’annuncio di Gesù Cristo Redentore, è in tutto il mondo”.
Per Papa Francesco, la cattolicità è in sostanza quella porta che un giorno girò sui cardini del Cenacolo e proiettò i discepoli verso l’esterno, verso il mondo:
“Se gli Apostoli fossero rimasti lì nel cenacolo, senza uscire a portare il Vangelo, la Chiesa sarebbe soltanto la Chiesa di quel popolo, di quella città, di quel cenacolo. Ma tutti sono usciti per il mondo, dal momento della nascita della Chiesa, dal momento che è disceso su di loro lo Spirito Santo. E per questo la Chiesa è nata ‘in uscita’, cioè missionaria”.
Dunque, la staticità non appartiene al dna della Chiesa. Gli Apostoli si mettono in viaggio, raggiungono terre lontane, vi fondano “nuove chiese”. E tutti noi, oggi, ricorda Papa Francesco, “siamo in continuità con quel gruppo di Apostoli che ha ricevuto lo Spirito Santo e poi è andato in ‘uscita’, a predicare”:
“È lo Spirito Santo, infatti, a superare ogni resistenza, a vincere la tentazione di chiudersi in sé stessi, tra pochi eletti, e di considerarsi gli unici destinatari della benedizione di Dio. Se ad esempio alcuni cristiani fanno questo e dicono: ‘Noi siamo gli eletti, solo noi’, alla fine muoiono. Muoiono prima nell’anima, poi moriranno nel corpo, perché non hanno vita, non sono capaci di generare vita, altra gente, altri popoli: non sono apostolici”.
Far parte di una Chiesa cattolica e apostolica, allora, significa – dice il Papa – “prendersi a cuore la salvezza di tutta l’umanità, non sentirsi indifferenti o estranei di fronte alla sorte di tanti nostri fratelli, ma aperti e solidali verso di loro”. Vuol dire “essere consapevoli che la nostra fede è ancorata alla “lunga catena” che viene dagli Apostoli e dai loro successori, annunciatori senza confini del Vangelo. E qui, il cuore di Papa Francesco si sofferma sulla “vita eroica” di “tanti, tanti missionari e missionarie che – ripete – hanno lasciato la loro patria per andare ad annunciare il Vangelo in altri Paesi, in altri continenti”.
“Mi diceva un cardinale brasiliano che lavora abbastanza in Amazzonia, che quando lui va in un posto, in un paese o in una città dell’Amazzonia, va sempre al cimitero e lì vede le tombe di questi missionari, sacerdoti, fratelli, suore che sono andati a predicare il Vangelo: apostoli. E lui pensa: tutti questi possono essere canonizzati adesso, hanno lasciato tutto per annunciare Gesù Cristo (...) Ringraziamo il Signore di questo”.
E il grazie si rinnova al momento dei saluti ai gruppi di lingua araba, del Medio Oriente, che il Papa chiama “figli di quelle Terre Sante” e che sprona e essere “sempre, nonostante le difficoltà, portatori coraggiosi e gioiosi del Messaggio della salvezza, della verità e della benedizione”.
Radio Vaticana - Se fosse stato un circolo di pochi eletti, non avrebbe avuto una storia di duemila anni e una casa grande quanto il mondo. E invece, grazie all’“effetto-Pentecoste”, è una comunità che parla “tutte le lingue” e la si trova dovunque. Papa Francesco spiega alla folla dell’udienza generale in senso dei due principali appellativi della Chiesa. Il suo essere cattolica, “universale” – creata così dallo Spirito Santo che l’ha resa “missionaria” fin dall’ora zero – e “apostolica”, perché sorretta dalla testimonianza dei dodici Apostoli, primi anelli della lunga catena della fede: ascolta
“La Parola di Dio oggi si legge in tutte le lingue, tutti hanno il Vangelo nella propria lingua, per leggerlo. E torno sullo stesso concetto: è sempre buono prendere con noi un Vangelo piccolo, per portarlo in tasca, nella borsa e durante la giornata leggerne un passo. Questo ci fa bene. Il Vangelo è diffuso in tutte le lingue perché la Chiesa, l’annuncio di Gesù Cristo Redentore, è in tutto il mondo”.
Per Papa Francesco, la cattolicità è in sostanza quella porta che un giorno girò sui cardini del Cenacolo e proiettò i discepoli verso l’esterno, verso il mondo:
“Se gli Apostoli fossero rimasti lì nel cenacolo, senza uscire a portare il Vangelo, la Chiesa sarebbe soltanto la Chiesa di quel popolo, di quella città, di quel cenacolo. Ma tutti sono usciti per il mondo, dal momento della nascita della Chiesa, dal momento che è disceso su di loro lo Spirito Santo. E per questo la Chiesa è nata ‘in uscita’, cioè missionaria”.
Dunque, la staticità non appartiene al dna della Chiesa. Gli Apostoli si mettono in viaggio, raggiungono terre lontane, vi fondano “nuove chiese”. E tutti noi, oggi, ricorda Papa Francesco, “siamo in continuità con quel gruppo di Apostoli che ha ricevuto lo Spirito Santo e poi è andato in ‘uscita’, a predicare”:
“È lo Spirito Santo, infatti, a superare ogni resistenza, a vincere la tentazione di chiudersi in sé stessi, tra pochi eletti, e di considerarsi gli unici destinatari della benedizione di Dio. Se ad esempio alcuni cristiani fanno questo e dicono: ‘Noi siamo gli eletti, solo noi’, alla fine muoiono. Muoiono prima nell’anima, poi moriranno nel corpo, perché non hanno vita, non sono capaci di generare vita, altra gente, altri popoli: non sono apostolici”.
Far parte di una Chiesa cattolica e apostolica, allora, significa – dice il Papa – “prendersi a cuore la salvezza di tutta l’umanità, non sentirsi indifferenti o estranei di fronte alla sorte di tanti nostri fratelli, ma aperti e solidali verso di loro”. Vuol dire “essere consapevoli che la nostra fede è ancorata alla “lunga catena” che viene dagli Apostoli e dai loro successori, annunciatori senza confini del Vangelo. E qui, il cuore di Papa Francesco si sofferma sulla “vita eroica” di “tanti, tanti missionari e missionarie che – ripete – hanno lasciato la loro patria per andare ad annunciare il Vangelo in altri Paesi, in altri continenti”.
“Mi diceva un cardinale brasiliano che lavora abbastanza in Amazzonia, che quando lui va in un posto, in un paese o in una città dell’Amazzonia, va sempre al cimitero e lì vede le tombe di questi missionari, sacerdoti, fratelli, suore che sono andati a predicare il Vangelo: apostoli. E lui pensa: tutti questi possono essere canonizzati adesso, hanno lasciato tutto per annunciare Gesù Cristo (...) Ringraziamo il Signore di questo”.
E il grazie si rinnova al momento dei saluti ai gruppi di lingua araba, del Medio Oriente, che il Papa chiama “figli di quelle Terre Sante” e che sprona e essere “sempre, nonostante le difficoltà, portatori coraggiosi e gioiosi del Messaggio della salvezza, della verità e della benedizione”.
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