Molti dei film presentati alla Mostra del Cinema di Venezia hanno tratto la loro ispirazione dalla letteratura. I registi, con diversa sensibilità e stile, hanno così rinnovato con coraggio, e dimostrando una forte personalità, il rapporto tra testo scritto e trasposizione in immagine. Affascinando spesso il pubblico in sala. Il servizio di Luca Pellegrini: ascolta
Radio Vaticana - La letteratura mondiale è stata quest’anno una fonte di idee e progetti singolari per gli autori e i registi presenti alla Mostra del Cinema. Non che sia facile e sicuro attingere da romanzi, racconti e novelle, perché farlo impone qualità di scrittura in sede di sceneggiatura notevolissime, e i rischi sono enormi. Li ha corsi, vincendo, Francesco Munzi che si è rifatto all’omonimo romanzo “Anime nere” di Gioacchino Criaco, del quale è rimasto subito affascinato; Michael Almereyda ha ceduto alla tentazione dell’aggiornamento e attualizzazione, trasportando le vicende dell’opera teatrale di Shakespeare “Cymbeline” - che affronta tematiche senza tempo come l’amore e il tradimento, la vendetta e il perdono, la morte e la rinascita – nell’America dei nostri giorni, contrapponendo la secolare poesia del Bardo con le tensioni e la tecnologia della realtà contemporanea. Pur discutibile, Renato De Maria ha colto spunti di osservazione critica nel romanzo autobiografico di Aldo Nove “La vita oscena”, mentre James Franco si è addirittura immerso nelle pagine di William Faulkner per “L’urlo e il furore”, in cui si tenta la strada di forme alternative di narrazione vista la materia complessa del romanzo americano. E l’israeliano Amos Gitai ha perfettamente ricreato nel suo “Tsili” l’ambientazione - un misto di natura e paura - che si ritrova in “Paesaggio con bambina” di Aharon Appelfeld, vicenda dolorosa di una ragazza sopravvissuta all’Olocausto. Ma il film più applaudito, e sicuramente complesso, sfida rischiosa e delicatissima, è quella portata splendidamente a termine da Mario Martone con il suo "Giovane favoloso”: vita, versi, dolori e amori di Giacomo Leopardi, interpretato da uno strepitoso Elio Germano. Giuliano Montaldo, alla Mostra per guidare la giuria dei ragazzi della sezione Venezia Classici, che profondamente conosce il cinema italiano, a proposito di questo film confessa:
R. – A me, quel famoso poeta – parlo di quel famoso poeta di Recanati – io … io non ero pazzo di lui, perché questa sua angoscia, il pessimismo … poi, non è che mi coinvolgesse più di tanto … Ho sempre immaginato che fosse un grande poeta, ma non era nel mio cuore. Bè, devo dire che vedendo il film ho scoperto dei buchi terrificanti della mia ignoranza e ho scoperto quella che era proprio la sua sofferenza. Questa clausura a cui lo ha obbligato la famiglia, questo rigore del padre, eccessivo, e la voglia di conoscere il mondo, di conoscere le altre persone, gli altri poeti, di girare un po’ l’Italia … Finalmente ho capito chi è Giacomo Leopardi. Ho ringraziato Martone …
Radio Vaticana - La letteratura mondiale è stata quest’anno una fonte di idee e progetti singolari per gli autori e i registi presenti alla Mostra del Cinema. Non che sia facile e sicuro attingere da romanzi, racconti e novelle, perché farlo impone qualità di scrittura in sede di sceneggiatura notevolissime, e i rischi sono enormi. Li ha corsi, vincendo, Francesco Munzi che si è rifatto all’omonimo romanzo “Anime nere” di Gioacchino Criaco, del quale è rimasto subito affascinato; Michael Almereyda ha ceduto alla tentazione dell’aggiornamento e attualizzazione, trasportando le vicende dell’opera teatrale di Shakespeare “Cymbeline” - che affronta tematiche senza tempo come l’amore e il tradimento, la vendetta e il perdono, la morte e la rinascita – nell’America dei nostri giorni, contrapponendo la secolare poesia del Bardo con le tensioni e la tecnologia della realtà contemporanea. Pur discutibile, Renato De Maria ha colto spunti di osservazione critica nel romanzo autobiografico di Aldo Nove “La vita oscena”, mentre James Franco si è addirittura immerso nelle pagine di William Faulkner per “L’urlo e il furore”, in cui si tenta la strada di forme alternative di narrazione vista la materia complessa del romanzo americano. E l’israeliano Amos Gitai ha perfettamente ricreato nel suo “Tsili” l’ambientazione - un misto di natura e paura - che si ritrova in “Paesaggio con bambina” di Aharon Appelfeld, vicenda dolorosa di una ragazza sopravvissuta all’Olocausto. Ma il film più applaudito, e sicuramente complesso, sfida rischiosa e delicatissima, è quella portata splendidamente a termine da Mario Martone con il suo "Giovane favoloso”: vita, versi, dolori e amori di Giacomo Leopardi, interpretato da uno strepitoso Elio Germano. Giuliano Montaldo, alla Mostra per guidare la giuria dei ragazzi della sezione Venezia Classici, che profondamente conosce il cinema italiano, a proposito di questo film confessa:
R. – A me, quel famoso poeta – parlo di quel famoso poeta di Recanati – io … io non ero pazzo di lui, perché questa sua angoscia, il pessimismo … poi, non è che mi coinvolgesse più di tanto … Ho sempre immaginato che fosse un grande poeta, ma non era nel mio cuore. Bè, devo dire che vedendo il film ho scoperto dei buchi terrificanti della mia ignoranza e ho scoperto quella che era proprio la sua sofferenza. Questa clausura a cui lo ha obbligato la famiglia, questo rigore del padre, eccessivo, e la voglia di conoscere il mondo, di conoscere le altre persone, gli altri poeti, di girare un po’ l’Italia … Finalmente ho capito chi è Giacomo Leopardi. Ho ringraziato Martone …
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