La Conferenza episcopale e la Caritas italiane si muovono in aiuto delle famiglie del nord Iraq, costrette alla fuga dall’avanzata dei miliziani dello Stato Islamico.
Radio Vaticana - A questo scopo, il “Progetto Famiglia”, varato dopo la visita nel Paese del Golfo di una delegazione della Cei, punta al gemellaggio con famiglie di profughi attraverso un concreto supporto economico, per dare loro casa, istruzione e fare fronte ai bisogni primari per un periodo da un mese a un anno. Sull’importanza di quest’iniziativa, Giancarlo La Vella ha sentito Silvio Tessari, responsabile dell’Ufficio Medio Oriente e Nord Africa di Caritas Italiana:
R. – La situazione dei cristiani e di altre minoranze in Iraq è veramente spaventosa, è assolutamente assurda in quanto queste oltre 100 mila persone sono senza futuro, non sanno dove andare. Quindi, penso che l’idea che è stata partorita insieme sia proprio quella di fare questi gemellaggi fra alcune famiglie – naturalmente non si può fare per tutte - di questi rifugiati cristiani e anche non cristiani e le famiglie o comunità e anche diocesi in Italia.
D. – Come si può, attraverso un intervento economico, riorganizzare quella che potrebbe essere una vita nomale per questi nuclei familiari?
D. – Ci sono più aspetti. C’è il problema del cibo: già la comunità cristiana fa veramente molto. Quindi, garantire il mantenimento per un mese di una famiglia di rifugiati costo 140 euro. Poi, c’è l’aspetto casa, cioè garantire almeno dei container adibiti ad uso abitazione invece che di tende che con il freddo imminente sono assolutamente invivibili. Infine, a lunga scadenza, anche se è piuttosto urgente anche questo, è il progetto scuola per i bambini e anche per i giovani. Visto che questi sono dispersi in varie località, c’è bisogno dell’acquisto di alcuni autobus per portarli nelle scuole già funzionanti o di nuova costruzione che le diocesi – in particolare l’arcidiocesi di Erbil – stanno costruendo per accogliere alcune centinaia di bambini dei rifugiati.
D. – Queste persone fuggono incalzate dalla violenza che avanza…
R. – Certo. È persino commovente vedere queste famiglie inermi con i bambini e con le persone anziane che dicono semplicemente: “Ci perseguitano per causa della nostra fede”; parole che attualmente di dicono e che di vivono in questa parte di mondo. È una cosa che noi cristiani dobbiamo cercare assolutamente almeno di alleviare.
D. – Il monito di Papa Francesco “Non può esistere un Medio Oriente senza cristiani” è sperabile un giorno che, anche grazie a questi aiuti, queste famiglie possano ritornare nelle proprie case?
R. – Il fenomeno della fuga, dell’emigrazione dei cristiani dal Medio Oriente purtroppo dura da qualche decennio, sta peggiorando. Bisogna essere molto realisti: sta peggiorando e sta diventando veramente preoccupante. Papa Francesco ha ragione quando dice che qualora scomparissero sarebbe certamente una grande perdita, perché comunque i cristiani rappresentano una sorta di punto di pacificazione fra le diverse componenti locali. Credo sia dovere nostro come persone umane, nemmeno come cristiani, salvare questa convivenza che può essere di modello proprio per una vera convivenza reale e non “sopportata”, come purtroppo lo è stata per molto tempo in questa zona e in altre zone del mondo.
R. – La situazione dei cristiani e di altre minoranze in Iraq è veramente spaventosa, è assolutamente assurda in quanto queste oltre 100 mila persone sono senza futuro, non sanno dove andare. Quindi, penso che l’idea che è stata partorita insieme sia proprio quella di fare questi gemellaggi fra alcune famiglie – naturalmente non si può fare per tutte - di questi rifugiati cristiani e anche non cristiani e le famiglie o comunità e anche diocesi in Italia.
D. – Come si può, attraverso un intervento economico, riorganizzare quella che potrebbe essere una vita nomale per questi nuclei familiari?
D. – Ci sono più aspetti. C’è il problema del cibo: già la comunità cristiana fa veramente molto. Quindi, garantire il mantenimento per un mese di una famiglia di rifugiati costo 140 euro. Poi, c’è l’aspetto casa, cioè garantire almeno dei container adibiti ad uso abitazione invece che di tende che con il freddo imminente sono assolutamente invivibili. Infine, a lunga scadenza, anche se è piuttosto urgente anche questo, è il progetto scuola per i bambini e anche per i giovani. Visto che questi sono dispersi in varie località, c’è bisogno dell’acquisto di alcuni autobus per portarli nelle scuole già funzionanti o di nuova costruzione che le diocesi – in particolare l’arcidiocesi di Erbil – stanno costruendo per accogliere alcune centinaia di bambini dei rifugiati.
D. – Queste persone fuggono incalzate dalla violenza che avanza…
R. – Certo. È persino commovente vedere queste famiglie inermi con i bambini e con le persone anziane che dicono semplicemente: “Ci perseguitano per causa della nostra fede”; parole che attualmente di dicono e che di vivono in questa parte di mondo. È una cosa che noi cristiani dobbiamo cercare assolutamente almeno di alleviare.
D. – Il monito di Papa Francesco “Non può esistere un Medio Oriente senza cristiani” è sperabile un giorno che, anche grazie a questi aiuti, queste famiglie possano ritornare nelle proprie case?
R. – Il fenomeno della fuga, dell’emigrazione dei cristiani dal Medio Oriente purtroppo dura da qualche decennio, sta peggiorando. Bisogna essere molto realisti: sta peggiorando e sta diventando veramente preoccupante. Papa Francesco ha ragione quando dice che qualora scomparissero sarebbe certamente una grande perdita, perché comunque i cristiani rappresentano una sorta di punto di pacificazione fra le diverse componenti locali. Credo sia dovere nostro come persone umane, nemmeno come cristiani, salvare questa convivenza che può essere di modello proprio per una vera convivenza reale e non “sopportata”, come purtroppo lo è stata per molto tempo in questa zona e in altre zone del mondo.
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