Oggi, per la prima volta, la Chiesa festeggia San Giovanni Paolo II, Pontefice per quasi 27 anni.
Radio Vaticano - Elevato all’onore degli altari lo scorso 27 aprile da Papa Francesco, assieme a San Giovanni XXIII, Karol Wojtyla è tra le figure più amate nella storia recente della Chiesa. Un amore che cresce anche a nove anni dalla sua morte, come sottolinea il postulatore della Causa della Canonizzazione, mons. Slawomir Oder, intervistato da Alessandro Gisotti: ascolta
R. – Non le nascondo che per me guardare la pagina del calendario con la data 22 ottobre è sicuramente un momento di grande commozione. Ed è una cosa impressionante come, ancora adesso, ormai da più di nove anni dalla sua morte, il nome di Giovanni Paolo II susciti nei cuori dei fedeli sentimenti di gratitudine, di gioia, di affetto. In questi mesi, io ho avuto occasione di partecipare a varie iniziative per ricordare San Giovanni Paolo II e le devo dire che mi commuovevo nel vedere le chiese piene, la partecipazione delle persone che con le lacrime agli occhi raccontavano la loro esperienza, il loro Giovanni Paolo II.
D. – Al di là delle analisi dei teologi, di quello che possano scrivere i vaticanisti, c’è un popolo di Dio che continua e accresce il suo amore per questa figura...
R. – Effettivamente, è un fenomeno che ho riscontrato già durante gli anni del processo, raccogliendo le testimonianze. Un fenomeno che trovava la sua espressione nelle parole, che ripetevano tutti come un ritornello: “Il nostro Papa! Il nostro Papa!”. Lo dicevano in polacco, lo dicevano in italiano, e continuano a dirlo in tutte le lingue del mondo. E’ rimasto il Papa dei nostri giorni, nel senso che ne è rimasta una memoria molto fresca, sempre viva: del suo sorriso, delle sue parole, del suo atteggiamento molto paterno, severo, ma anche benevolo, con la certezza della sua parola, della sua dottrina e della sua vicinanza alle persone bisognose di affetto e misericordia.
D. – Il 22 ottobre, ovviamente, è legato a tre parole che non si potranno mai dimenticare pensando a Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura”. In qualche modo, questa esortazione ha una proiezione verso l’avanti, cioè nel continuare a non avere paura nell’annunciare Cristo, anche se bisogna dire cose scomode per i nostri tempi...
R. – Questa è la funzione profetica della Chiesa e questo è anche il coraggio straordinario, che Giovanni Paolo II ha dimostrato in tutto il suo Pontificato, che è stato percepito come forza dai suoi avversari, ma anche dal popolo di Dio: ha posto Cristo al centro del suo Magistero, della sua parola, del messaggio che ha lasciato alla Chiesa. Perciò, le sue parole “non abbiate paura” davvero sono le parole che ancora oggi ispirano tantissime persone a prendere un cammino e fare scelte che vanno controcorrente, che sono scelte profetiche.
D. – In questi mesi, dopo la Canonizzazione, quindi dopo il 27 aprile, che cosa l’ha colpita? C’è anche magari un’esperienza, un racconto che le è proprio rimasto nel cuore, tra i tanti?
R. – Di recente, sono stato in Puglia, ho partecipato ad un evento molto bello – uno dei tanti, in questi giorni – che si iscrive ancora nella "peregrinatio" della reliquia di San Giovanni Paolo II, che continua la sua itineranza nel mondo. Quello che mi ha colpito è stata la Chiesa gremita di persone. Dopo la Messa vespertina, tantissime persone sono rimaste in Chiesa per tutta la notte: hanno pregato fino all’alba, fino alla Messa mattutina, affidando a Giovanni Paolo II le loro intenzioni, preoccupazioni, speranze e le loro gioie. Io penso che questo sia veramente il compito dei Santi e che lui stia svolgendo egregiamente questo suo ruolo: intercedere, ma anche invogliare le persone alla vita, secondo la misura alta. Quelle parole che ha affidato quasi alla fine del suo Pontificato, introducendo la Chiesa nel nuovo millennio - “Duc in altum!” prendete il largo” - veramente sono rimaste nei cuori delle persone. La santità incoraggia, la santità contagia, la santità attrae e veramente può incidere sulle scelte concrete della nostra vita.
Radio Vaticano - Elevato all’onore degli altari lo scorso 27 aprile da Papa Francesco, assieme a San Giovanni XXIII, Karol Wojtyla è tra le figure più amate nella storia recente della Chiesa. Un amore che cresce anche a nove anni dalla sua morte, come sottolinea il postulatore della Causa della Canonizzazione, mons. Slawomir Oder, intervistato da Alessandro Gisotti: ascolta
R. – Non le nascondo che per me guardare la pagina del calendario con la data 22 ottobre è sicuramente un momento di grande commozione. Ed è una cosa impressionante come, ancora adesso, ormai da più di nove anni dalla sua morte, il nome di Giovanni Paolo II susciti nei cuori dei fedeli sentimenti di gratitudine, di gioia, di affetto. In questi mesi, io ho avuto occasione di partecipare a varie iniziative per ricordare San Giovanni Paolo II e le devo dire che mi commuovevo nel vedere le chiese piene, la partecipazione delle persone che con le lacrime agli occhi raccontavano la loro esperienza, il loro Giovanni Paolo II.
D. – Al di là delle analisi dei teologi, di quello che possano scrivere i vaticanisti, c’è un popolo di Dio che continua e accresce il suo amore per questa figura...
R. – Effettivamente, è un fenomeno che ho riscontrato già durante gli anni del processo, raccogliendo le testimonianze. Un fenomeno che trovava la sua espressione nelle parole, che ripetevano tutti come un ritornello: “Il nostro Papa! Il nostro Papa!”. Lo dicevano in polacco, lo dicevano in italiano, e continuano a dirlo in tutte le lingue del mondo. E’ rimasto il Papa dei nostri giorni, nel senso che ne è rimasta una memoria molto fresca, sempre viva: del suo sorriso, delle sue parole, del suo atteggiamento molto paterno, severo, ma anche benevolo, con la certezza della sua parola, della sua dottrina e della sua vicinanza alle persone bisognose di affetto e misericordia.
D. – Il 22 ottobre, ovviamente, è legato a tre parole che non si potranno mai dimenticare pensando a Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura”. In qualche modo, questa esortazione ha una proiezione verso l’avanti, cioè nel continuare a non avere paura nell’annunciare Cristo, anche se bisogna dire cose scomode per i nostri tempi...
R. – Questa è la funzione profetica della Chiesa e questo è anche il coraggio straordinario, che Giovanni Paolo II ha dimostrato in tutto il suo Pontificato, che è stato percepito come forza dai suoi avversari, ma anche dal popolo di Dio: ha posto Cristo al centro del suo Magistero, della sua parola, del messaggio che ha lasciato alla Chiesa. Perciò, le sue parole “non abbiate paura” davvero sono le parole che ancora oggi ispirano tantissime persone a prendere un cammino e fare scelte che vanno controcorrente, che sono scelte profetiche.
D. – In questi mesi, dopo la Canonizzazione, quindi dopo il 27 aprile, che cosa l’ha colpita? C’è anche magari un’esperienza, un racconto che le è proprio rimasto nel cuore, tra i tanti?
R. – Di recente, sono stato in Puglia, ho partecipato ad un evento molto bello – uno dei tanti, in questi giorni – che si iscrive ancora nella "peregrinatio" della reliquia di San Giovanni Paolo II, che continua la sua itineranza nel mondo. Quello che mi ha colpito è stata la Chiesa gremita di persone. Dopo la Messa vespertina, tantissime persone sono rimaste in Chiesa per tutta la notte: hanno pregato fino all’alba, fino alla Messa mattutina, affidando a Giovanni Paolo II le loro intenzioni, preoccupazioni, speranze e le loro gioie. Io penso che questo sia veramente il compito dei Santi e che lui stia svolgendo egregiamente questo suo ruolo: intercedere, ma anche invogliare le persone alla vita, secondo la misura alta. Quelle parole che ha affidato quasi alla fine del suo Pontificato, introducendo la Chiesa nel nuovo millennio - “Duc in altum!” prendete il largo” - veramente sono rimaste nei cuori delle persone. La santità incoraggia, la santità contagia, la santità attrae e veramente può incidere sulle scelte concrete della nostra vita.
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