mercoledì, ottobre 15, 2014
La speranza cristiana “non è ottimismo”, ma “attesa appassionata” di Gesù che tornerà ad aprire un’era senza più “prevaricazioni e distinzioni”. Papa Francesco ha dedicato la catechesi dell’udienza generale in Piazza San Pietro al destino ultimo della Chiesa e dell’umanità, secondo la visione della fede. Il servizio di Alessandro De Carolis: ascolta

Radio Vaticana - Le più belle parole della speranza cristiana le pronunciò duemila anni fa S. Paolo, quando rispose così ai cristiani di Tessalonica che chiedevano rassicurazioni sulla vita dopo la vita: “E così per sempre saremo con il Signore”. Papa Francesco ripete a oltranza questa frase e la fa ripetere in coro ai 50 mila e più che sono in Piazza San Pietro, quasi a volerla incidere nelle coscienze di chi ascolta, bersagliate oggi da ondate di pensieri deboli e dubbi coltivati come vette di saggezza, che sovente irridono come ingenua la certezza ultima della fede:

“Sono parole semplici, ma con una densità di speranza tanto grande! ‘E così per sempre saremo con il Signore’. Credete voi questo? Mi sembra di no… Credete? Lo ripetiamo insieme, tre volte? ‘E così per sempre saremo con il Signore! E così per sempre saremo con il Signore! E così per sempre saremo con il Signore!’”.

La riflessione di Papa Francesco si addentra nel mistero descritto nell’Apocalisse, dove il popolo di Dio ha le sembianze di una “Gerusalemme nuova” che va incontro al suo amato come una sposa:

“E non è solo un modo di dire: saranno delle vere e proprie nozze! Sì, perché Cristo, facendosi uomo come noi e facendo di tutti noi una cosa sola con lui, con la sua morte e la sua risurrezione, ci ha davvero sposato e (…) questo non è altro che il compimento del disegno di comunione e di amore tessuto da Dio nel corso di tutta la storia, la storia del popolo di Dio e anche la propria storia di ognuno di noi. E’ il Signore che porta avanti questo”.

L’immagine della “Gerusalemme nuova”, spiega Papa Francesco, dice anche un’altra cosa della Chiesa: che essa, “è chiamata a diventare città, simbolo per eccellenza – afferma – della convivenza e della relazionalità umana”:

“Sarà ‘la tenda di Dio’! E in questa cornice gloriosa non ci saranno più isolamenti, prevaricazioni e distinzioni di alcun genere — di natura sociale, etnica o religiosa — ma saremo tutti una cosa sola in Cristo”.

Insomma, conclude Papa Francesco, è uno “scenario inaudito e meraviglioso” quello che spera la fede cristiana quando guarda agli ultimi tempi. E noi, domanda, “siamo davvero testimoni luminosi di questa attesa, di questa speranza?”. O piuttosto stanchi e rassegnati?

“La speranza cristiana non è semplicemente un desiderio, un auspicio, non è ottimismo: per un cristiano, la speranza è attesa (…) di qualcuno che sta per arrivare: è il Cristo Signore (…) La Chiesa ha allora il compito di mantenere accesa e ben visibile la lampada della speranza, perché possa continuare a risplendere come segno sicuro di salvezza e possa illuminare a tutta l’umanità il sentiero che porta all’incontro con il volto misericordioso di Dio”.

Al momento dei saluti post-catechesi ai numerosi gruppi linguistici presenti in Piazza San Pietro – dalla Costa Rica alla Thailandia, dalla Scozia al Ghana – Papa Francesco ha ricordato, tra gli altri, i partecipanti al quarto Convegno della Fondazione Ratzinger-Benedetto XVI, in programma a Medellín, esortandoli “a studiare percorsi che – ha auspicato – costruiscano la pace e promuovano la dignità della persona umana”. Mentre ai giovani, agli ammalati e ai nuovi sposi Papa Francesco ha chiesto preghiere a Maria per il Sinodo per la Famiglia.


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