martedì, ottobre 07, 2014
Le bandiere nere del cosiddetto Stato islamico sovrastano da ieri le colline di Kobane, citta' siriana al confine con la Turchia assediata da tre settimane dai miliziani dello Stato islamico. E a circa 220 chilometri più a est di Kobane, in pieno territorio siriano, almeno 30 miliziani e poliziotti curdi sono stati uccisi in un doppio attentato con autobomba compiuto dai jihadisti. Il servizio di Fausta Speranza. ascolta

Radio Vaticana - Si combatte strada per strada a Kobane. Nel quartiere periferico di Maqtalah, nell'est, svetta la bandiera nera dell’Is ma i jihadisti controllano anche vaste aree sull'altopiano di Mashtah Nur, che sovrasta la strategica città curda siriana. Nonostante il voto con cui il Parlamento di Ankara ha dato la settimana scorsa il via libera ad eventuali operazioni militari oltre confine, l'esercito turco rimane a guardare. "Invieremo truppe in Siria solo se la strategia Usa includera' anche la destituzione di Assad", fa sapere il premier turco Davutoglu in un'intervista alla Cnn, evocando una condizione per il momento non immaginabile. La stampa Usa sostiene che Ankara ha scambiato con l'Isis oltre 180 jihadisti, fra cui due britannici, in cambio di 46 diplomatici turchi e tre iracheni. A proposito di lotta all’Is, proseguono i raid della coalizione sull’Iraq ma bisogna riferire dell’errore di un bombardamento che ha colpito 22 civili, tra cui 4 bambini a ovest di Baghdad. Sul terreno in Iraq i combattimenti piu' intensi tra esercito iracheno e Is proseguono nella regione di Dhuluiya, a nord di Baghdad, e nella provincia di Al Anbar, ad ovest. Da agosto sono 250 i raid sull’Iraq e 80 sulla Siria ma per il momento nessuno parla di arretramento del sedicente Stato islamico.

Bisogna poi allargare lo sguardo per le notizie di decapitazioni ispirate al sedicente Stato islamico: 3 in Egitto, 7 in Nigeria. Mentre dal Maghreb islamico come dall’Uzbekistan arrivano dichiarazioni di sostegno. Dell’estremismo dell’Is, ci parla nell’intervista di Sergio Centofanti, il nunzio a Damasco, l’arcivescovo Mario Zenari, appena rientrato in Siria dopo il vertice in Vaticano con gli altri nunzi del Medio Oriente:

R. - Ritorno portando un messaggio di solidarietà ancora più forte e anche un messaggio di speranza che, nonostante tutto, credo bisogna sempre avere. È stata una bella riunione perché sono state messe insieme le situazioni di vari Paesi del Medio Oriente provati da questi conflitti, soprattutto le sofferenze del popolo siriano e di quello iracheno. Ci sono stati dei momenti di preghiera perché questa è la nostra arma principale.

D. - Nonostante i bombardamenti, i jihadisti continuano ad avanzare ...

R. - Purtroppo questo estremismo nasce anche perché trova un terreno favorevole: queste situazioni non risolte, questo conflitto siriano che si protrae da più di tre anni e mezzo, sono un humus che alimenta queste forze estremiste. Quindi, bisogna al più presto trovare una soluzione politica a questi problemi. In Iraq forse c’è uno spiraglio di soluzione; per la Siria purtroppo devo dire che la soluzione all’estremismo è ancora nel limbo, mentre le popolazioni patiscono le sofferenze dell’inferno. Ma direi che la chiave ancora non è gettata in fondo al mare. Si può ancora lavorare molto. La comunità internazionale deve aumentare i suoi sforzi e bisogna uscire da questa situazione di sofferenza immane per queste popolazioni, risolvere alla radice questo problema del terrorismo, dell’estremismo, tagliando l’erba sotto i piedi a queste correnti estremiste, favorendo una democrazia inclusiva e un pluralismo nel rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Questo è il principale campo di soluzione.

D. – Il suicidio della donna curda-kamikaze, madre di due figli, mostra ancora di più la disperazione di queste persone ...

R. - È chiaro, siamo in un contesto drammatico. Queste scene si vedono purtroppo quotidianamente. Queste atrocità e barbarie, perpetrate non solo ultimamente ad opera dall’Is, si vedono da una parte e dall’altra in Siria da più di tre anni.

D. - Al vertice dei nunzi si è detto che la sola riposta militare non basta…

R. - È chiaro. Credo che questa ormai sia un’idea condivisa un po’ dappertutto. Bisogna andare alle radici del problema.

D. - Qual è il futuro delle piccole comunità cristiane e delle altre minoranze in questi Paesi?

R. - Per quanto riguarda la Siria, ribadisco sempre, c’è una sofferenza trasversale che colpisce tutti quanti, che non fa distinzione. È anche vero comunque che i gruppi minoritari sono l’anello più debole della catena e quindi sono i più esposti. In questo momento, in cui inizia il Sinodo dei vescovi sulla famiglia il mio pensiero va alle famiglie di quella regione. Tante famiglie sono sfollate o rifugiate nei Paesi vicini. Ne ho viste e conosciute tante che hanno provato la tragedia di vedere uccisi il papà o la mamma, o vedere dei bambini uccisi o mutilati da questi ordigni di guerra. Non posso dimenticare quella bambina di nove anni che ho visitato in un ospedale a Damasco il Sabato Santo: ai piedi del letto c’erano i suoi genitori in un dolore profondo ma riservato. Tre giorni prima a questa bambina erano state amputate entrambe le gambe e cominciava a rendersi conto di cosa le era capitato. Questa tragedia è una delle tante tragedie; altre famiglie provate da tragedie simili, vedere i bambini uccisi ... Penso che in questo Sinodo verrà portata questa sofferenza e i patriarchi e i pastori di quelle Chiese si faranno carico di portare certamente questa sofferenza. Sarà una rinnovata solidarietà della Chiesa universale verso queste famiglie particolarmente provate.


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