"Il Canada non si farà intimidire dal terrorismo, faremo il possibile per contrastare le minacce e garantire sicurezza al Paese".
Radio Vaticana - Sono le parole del premier canadese, Stephen Harper, dopo l’assalto al parlamento che ieri mattina ha fatto piombare nel terrore la città di Ottawa. Forse un attacco di matrice filojihadista, saranno le prossime ore a dirlo. Intanto, si contano due morti, un militare e il terrorista, Michael Zehaf-Bibeau, canadese convertito all’Islam. “Vicinanza e preghiere” per quanti sono stati coinvolti l’ha espressa l’arcivescovo di Ottawa, Terrence Prendergas, mentre la comunità internazionale a una voce ribadisce la condanna per l'accaduto e la solidarietà al Paese colpito. Il servizio di Gabriella Ceraso: ascolta
Si indaga a tutto campo ma ancora una certezza non c’è per quanto accaduto ieri mattina a Ottawa, quando un uomo armato ha ucciso un soldato e poi si è introdotto nel parlamento facendo fuoco, prima di essere freddato dalla sicurezza. L’estremismo interno antigovernativo sembra un’ ipotesi poco plausibile rispetto alla pista del terrorismo islamico. Se sotto forma di commando o di iniziativa autonoma, nutrita dall’auto-indottrinamento, lo diranno le prossime ore. Si indaga anche sul profilo di Michael Hill diventato, dopo la conversione all’islam, Michael Zehaf Bibeau, 32 anni, canadese, autore forse non solitario dell’assalto e già senza passaporto, perché sospettato di volersi unire a formazioni estremiste all’estero. Stesso identikit di un altro giovane assassino di un militare,il fatto è accaduto lunedì scorso, poco distante da Montreal. "Non sorprende che questi episodi avvengano in Canada”, dice ai nostri microfoni Alessandro Orsini, direttore del Centro per lo Studio del Terrorismo nell'Università di Roma “Tor Vergata” e professore di Sociologia politica alla Luiss:
R. – Il Canada è uno dei Paesi più odiati dagli integralisti islamici, in primo luogo per il coinvolgimento che ha avuto come Paese combattente in Afghanistan. Non dimentichiamo che il Canada è stato uno dei Paesi che è intervenuto in maniera più massiccia, con l’invio di soldati, durante la guerra, che di fatto ha portato al crollo del regime talebano e allo smantellamento delle basi di al Qaeda in Afghanistan. La seconda ragione è da ricondursi al voto dell’8 ottobre scorso, quando il parlamento canadese ha approvato gli attacchi e i bombardamenti aerei contro l’Is. Pochi giorni dopo, uno dei portavoce dell’Is aveva indicato il Canada come uno dei Paesi da colpire al più presto.
D. – Potrebbe trattarsi di un commando organizzato, ma anche di un’iniziativa autonoma collegata al terrorismo, nel senso di auto-indottrinamento?
R. – La dinamica dell’agguato mi induce a ritenere che si sia trattato di un attentato del cosiddetto “lupo solitario”, anche per una ragione ben precisa, e cioè che in questo momento l’Is è concentrato a investire le proprie energie per mantenere i territori che ha occupato, e quindi l’atteggiamento prevalente dell’Is è quello di affidare questi attentati terroristici soprattutto a simpatizzanti che di fatto si organizzano da soli. L’organizzazione di un attentato terroristico richiede un grosso investimento di risorse, sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista umano e non sempre queste risorse sono disponibili.
D. – Su quali punti seconod lei si muoverà la reazione canadese?
R. – Sotto il profilo politico, non credo che ci saranno cambiamenti significativi rispetto alla linea adottata negli anni precedenti. Il Canada è uno dei principali alleati degli Stati Uniti, è uno dei Paesi maggiormente impegnati nella lotta contro il terrorismo e la politica internazionale su questo fronte è sempre stata molto chiara. Il Canada, peraltro, ha investito molti soldi nella ricerca scientifica per lo studio del terrorismo, per lo studio dei processi di radicalizzazione. Quindi, probabilmente ci saranno delle decisioni e dei provvedimenti che definirei contingenti, ma la politica internazionale del Canada, che è una politica di lotta frontale contro il terrorismo, non cambierà o, se vuole, probabilmente diventerà ancora più dura. Consideri che il Canada ha investito negli ultimi dieci anni, cioè dal 2001 fino ad oggi, una grande quantità di dollari, centinaia di milioni di dollari, per combattere il terrorismo.
D. – E comunque, possiamo dire che l’offensiva dell’Is è ad oggi sempre più fuori dai confini della Siria e dell’Iraq, o no?
R. – Io dire che dobbiamo essere cauti, per due ragioni. La prima è che il fenomeno dei ragazzi che si "radicalizzano" in Occidente, che partono per combattere affianco all’Isis, è un trend crescente ma comunque contenuto. Vorrei anche aggiungere che le immagini che arrivano spesso – le decapitazioni – fanno orrore a noi tutti, ci impressionano, ci spaventano. Ma bisogna mantenere un distacco critico e fare delle analisi oggettive. L’Is non è una forza dirompente, come viene descritta dai giornali: consideri che Kobane è una piccola cittadina e l’Is non riesce a conquistarla ormai da molte settimane. Che l’Is rappresenti una minaccia, è senz’altro un pericolo. Ma non è quella forza dirompente, travolgente che sconvolgerà il Medio Oriente nell’arco di pochi mesi, come qualcuno vorrebbe far credere.
D. – Questo episodio, però, senza dubbio fa riflettere sul fenomeno dei ragazzi che nelle democrazie occidentali assumono idee radicali e poi danno vita ad azioni che sono spesso terroristiche…
R. – Quando parliamo di processi di radicalizzazione, di home-grown terrorism, cioè di terroristi cresciuti in casa, parliamo di ragazzi che si "radicalizzano" e nell’arco di 12 mesi diventano degli attentatori. Quindi, sia l’intelligence ha difficoltà a monitorare questo fenomeno ma anche gli studiosi, appunto perché largamente imprevedibile. E questo è un fenomeno preoccupante.
Si indaga a tutto campo ma ancora una certezza non c’è per quanto accaduto ieri mattina a Ottawa, quando un uomo armato ha ucciso un soldato e poi si è introdotto nel parlamento facendo fuoco, prima di essere freddato dalla sicurezza. L’estremismo interno antigovernativo sembra un’ ipotesi poco plausibile rispetto alla pista del terrorismo islamico. Se sotto forma di commando o di iniziativa autonoma, nutrita dall’auto-indottrinamento, lo diranno le prossime ore. Si indaga anche sul profilo di Michael Hill diventato, dopo la conversione all’islam, Michael Zehaf Bibeau, 32 anni, canadese, autore forse non solitario dell’assalto e già senza passaporto, perché sospettato di volersi unire a formazioni estremiste all’estero. Stesso identikit di un altro giovane assassino di un militare,il fatto è accaduto lunedì scorso, poco distante da Montreal. "Non sorprende che questi episodi avvengano in Canada”, dice ai nostri microfoni Alessandro Orsini, direttore del Centro per lo Studio del Terrorismo nell'Università di Roma “Tor Vergata” e professore di Sociologia politica alla Luiss:
R. – Il Canada è uno dei Paesi più odiati dagli integralisti islamici, in primo luogo per il coinvolgimento che ha avuto come Paese combattente in Afghanistan. Non dimentichiamo che il Canada è stato uno dei Paesi che è intervenuto in maniera più massiccia, con l’invio di soldati, durante la guerra, che di fatto ha portato al crollo del regime talebano e allo smantellamento delle basi di al Qaeda in Afghanistan. La seconda ragione è da ricondursi al voto dell’8 ottobre scorso, quando il parlamento canadese ha approvato gli attacchi e i bombardamenti aerei contro l’Is. Pochi giorni dopo, uno dei portavoce dell’Is aveva indicato il Canada come uno dei Paesi da colpire al più presto.
D. – Potrebbe trattarsi di un commando organizzato, ma anche di un’iniziativa autonoma collegata al terrorismo, nel senso di auto-indottrinamento?
R. – La dinamica dell’agguato mi induce a ritenere che si sia trattato di un attentato del cosiddetto “lupo solitario”, anche per una ragione ben precisa, e cioè che in questo momento l’Is è concentrato a investire le proprie energie per mantenere i territori che ha occupato, e quindi l’atteggiamento prevalente dell’Is è quello di affidare questi attentati terroristici soprattutto a simpatizzanti che di fatto si organizzano da soli. L’organizzazione di un attentato terroristico richiede un grosso investimento di risorse, sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista umano e non sempre queste risorse sono disponibili.
D. – Su quali punti seconod lei si muoverà la reazione canadese?
R. – Sotto il profilo politico, non credo che ci saranno cambiamenti significativi rispetto alla linea adottata negli anni precedenti. Il Canada è uno dei principali alleati degli Stati Uniti, è uno dei Paesi maggiormente impegnati nella lotta contro il terrorismo e la politica internazionale su questo fronte è sempre stata molto chiara. Il Canada, peraltro, ha investito molti soldi nella ricerca scientifica per lo studio del terrorismo, per lo studio dei processi di radicalizzazione. Quindi, probabilmente ci saranno delle decisioni e dei provvedimenti che definirei contingenti, ma la politica internazionale del Canada, che è una politica di lotta frontale contro il terrorismo, non cambierà o, se vuole, probabilmente diventerà ancora più dura. Consideri che il Canada ha investito negli ultimi dieci anni, cioè dal 2001 fino ad oggi, una grande quantità di dollari, centinaia di milioni di dollari, per combattere il terrorismo.
D. – E comunque, possiamo dire che l’offensiva dell’Is è ad oggi sempre più fuori dai confini della Siria e dell’Iraq, o no?
R. – Io dire che dobbiamo essere cauti, per due ragioni. La prima è che il fenomeno dei ragazzi che si "radicalizzano" in Occidente, che partono per combattere affianco all’Isis, è un trend crescente ma comunque contenuto. Vorrei anche aggiungere che le immagini che arrivano spesso – le decapitazioni – fanno orrore a noi tutti, ci impressionano, ci spaventano. Ma bisogna mantenere un distacco critico e fare delle analisi oggettive. L’Is non è una forza dirompente, come viene descritta dai giornali: consideri che Kobane è una piccola cittadina e l’Is non riesce a conquistarla ormai da molte settimane. Che l’Is rappresenti una minaccia, è senz’altro un pericolo. Ma non è quella forza dirompente, travolgente che sconvolgerà il Medio Oriente nell’arco di pochi mesi, come qualcuno vorrebbe far credere.
D. – Questo episodio, però, senza dubbio fa riflettere sul fenomeno dei ragazzi che nelle democrazie occidentali assumono idee radicali e poi danno vita ad azioni che sono spesso terroristiche…
R. – Quando parliamo di processi di radicalizzazione, di home-grown terrorism, cioè di terroristi cresciuti in casa, parliamo di ragazzi che si "radicalizzano" e nell’arco di 12 mesi diventano degli attentatori. Quindi, sia l’intelligence ha difficoltà a monitorare questo fenomeno ma anche gli studiosi, appunto perché largamente imprevedibile. E questo è un fenomeno preoccupante.
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