E’ una grande menzogna far credere che certe vite non sono degne di essere vissute: è quanto scrive Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata Mondiale del Malato, che sarà celebrata l’11 febbraio 2015 sul tema "Sapientia cordis. «Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo»”, tratto dal Libro di Giobbe (Gb 29,15). Ce ne parla Sergio Centofanti: ascolta
Radio Vaticana - Tempo santo quello dedicato ai malati “Il tempo passato accanto al malato è un tempo santo” - afferma Papa Francesco – “è lode a Dio, che ci conforma all’immagine di suo Figlio, il quale “non è venuto per farsi servire, ma per servire”. Il Pontefice, inquadrando il tema nella prospettiva della sapienza del cuore, parla del “valore dell’accompagnamento, tante volte silenzioso, che ci porta a dedicare tempo” ai malati che, “grazie alla nostra vicinanza e al nostro affetto, si sentono più amati e confortati. Quale grande menzogna invece – esclama il Papa - si nasconde dietro certe espressioni che insistono tanto sulla ‘qualità della vita’, per indurre a credere che le vite gravemente affette da malattia non sarebbero degne di essere vissute!”.
Farsi carico dell’altro
“Il nostro mondo – sottolinea - dimentica a volte il valore speciale del tempo speso accanto al letto del malato, perché si è assillati dalla fretta, dalla frenesia del fare, del produrre, e si dimentica la dimensione della gratuità, del prendersi cura, del farsi carico dell’altro. In fondo – osserva - dietro questo atteggiamento c’è spesso una fede tiepida, che ha dimenticato quella parola del Signore che dice: «L’avete fatto a me» (Mt 25,40)”.
Uscire da sé verso il fratello
Per questo, il Papa ricorda ancora una volta “l’assoluta priorità dell’uscita da sé verso il fratello come uno dei due comandamenti principali che fondano ogni norma morale e come il segno più chiaro per fare discernimento sul cammino di crescita spirituale in risposta alla donazione assolutamente gratuita di Dio» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 179)”.
Condividere, non giudicare
La carità, dunque, prosegue il Messaggio, “ha bisogno di tempo. Tempo per curare i malati e tempo per visitarli”. Ma occorre non diventare come gli amici di Giobbe, che “nascondevano dentro di sé un giudizio negativo su di lui”, pensando che “la sua sventura fosse la punizione di Dio per una sua colpa. Invece la vera carità è condivisione che non giudica, che non pretende di convertire l’altro; è libera da quella falsa umiltà che sotto sotto cerca approvazione e si compiace del bene fatto”.
Il mistero della sofferenza
L’esperienza della sofferenza – scrive il Pontefice – “trova la sua autentica risposta solo nella Croce di Gesù, atto supremo di solidarietà di Dio con noi, totalmente gratuito, totalmente misericordioso. E questa risposta d’amore al dramma del dolore umano, specialmente del dolore innocente, rimane per sempre impressa nel corpo di Cristo risorto, in quelle sue piaghe gloriose, che sono scandalo per la fede ma sono anche verifica della fede (cfr Omelia per la canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, 27 aprile 2014)”. Allora – prosegue il Papa – “anche le persone immerse nel mistero della sofferenza e del dolore, accolto nella fede, possono diventare testimoni viventi di una fede che permette di abitare la stessa sofferenza, benché l’uomo con la propria intelligenza non sia capace di comprenderla fino in fondo”.
Cammino di santificazione
Papa Francesco ricorda, quindi, i tanti cristiani che “anche oggi testimoniano, non con le parole, ma con la loro vita radicata in una fede genuina, di essere ‘occhi per il cieco’ e ‘piedi per lo zoppo’!. Persone che stanno vicino ai malati che hanno bisogno di un’assistenza continua, di un aiuto per lavarsi, per vestirsi, per nutrirsi. Questo servizio, specialmente quando si prolunga nel tempo, può diventare faticoso e pesante. È relativamente facile servire per qualche giorno, ma è difficile accudire una persona per mesi o addirittura per anni, anche quando essa non è più in grado di ringraziare. E tuttavia” – afferma – è un “grande cammino di santificazione”.
Radio Vaticana - Tempo santo quello dedicato ai malati “Il tempo passato accanto al malato è un tempo santo” - afferma Papa Francesco – “è lode a Dio, che ci conforma all’immagine di suo Figlio, il quale “non è venuto per farsi servire, ma per servire”. Il Pontefice, inquadrando il tema nella prospettiva della sapienza del cuore, parla del “valore dell’accompagnamento, tante volte silenzioso, che ci porta a dedicare tempo” ai malati che, “grazie alla nostra vicinanza e al nostro affetto, si sentono più amati e confortati. Quale grande menzogna invece – esclama il Papa - si nasconde dietro certe espressioni che insistono tanto sulla ‘qualità della vita’, per indurre a credere che le vite gravemente affette da malattia non sarebbero degne di essere vissute!”.
Farsi carico dell’altro
“Il nostro mondo – sottolinea - dimentica a volte il valore speciale del tempo speso accanto al letto del malato, perché si è assillati dalla fretta, dalla frenesia del fare, del produrre, e si dimentica la dimensione della gratuità, del prendersi cura, del farsi carico dell’altro. In fondo – osserva - dietro questo atteggiamento c’è spesso una fede tiepida, che ha dimenticato quella parola del Signore che dice: «L’avete fatto a me» (Mt 25,40)”.
Uscire da sé verso il fratello
Per questo, il Papa ricorda ancora una volta “l’assoluta priorità dell’uscita da sé verso il fratello come uno dei due comandamenti principali che fondano ogni norma morale e come il segno più chiaro per fare discernimento sul cammino di crescita spirituale in risposta alla donazione assolutamente gratuita di Dio» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 179)”.
Condividere, non giudicare
La carità, dunque, prosegue il Messaggio, “ha bisogno di tempo. Tempo per curare i malati e tempo per visitarli”. Ma occorre non diventare come gli amici di Giobbe, che “nascondevano dentro di sé un giudizio negativo su di lui”, pensando che “la sua sventura fosse la punizione di Dio per una sua colpa. Invece la vera carità è condivisione che non giudica, che non pretende di convertire l’altro; è libera da quella falsa umiltà che sotto sotto cerca approvazione e si compiace del bene fatto”.
Il mistero della sofferenza
L’esperienza della sofferenza – scrive il Pontefice – “trova la sua autentica risposta solo nella Croce di Gesù, atto supremo di solidarietà di Dio con noi, totalmente gratuito, totalmente misericordioso. E questa risposta d’amore al dramma del dolore umano, specialmente del dolore innocente, rimane per sempre impressa nel corpo di Cristo risorto, in quelle sue piaghe gloriose, che sono scandalo per la fede ma sono anche verifica della fede (cfr Omelia per la canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, 27 aprile 2014)”. Allora – prosegue il Papa – “anche le persone immerse nel mistero della sofferenza e del dolore, accolto nella fede, possono diventare testimoni viventi di una fede che permette di abitare la stessa sofferenza, benché l’uomo con la propria intelligenza non sia capace di comprenderla fino in fondo”.
Cammino di santificazione
Papa Francesco ricorda, quindi, i tanti cristiani che “anche oggi testimoniano, non con le parole, ma con la loro vita radicata in una fede genuina, di essere ‘occhi per il cieco’ e ‘piedi per lo zoppo’!. Persone che stanno vicino ai malati che hanno bisogno di un’assistenza continua, di un aiuto per lavarsi, per vestirsi, per nutrirsi. Questo servizio, specialmente quando si prolunga nel tempo, può diventare faticoso e pesante. È relativamente facile servire per qualche giorno, ma è difficile accudire una persona per mesi o addirittura per anni, anche quando essa non è più in grado di ringraziare. E tuttavia” – afferma – è un “grande cammino di santificazione”.
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