Il Pakistan si è svegliato sotto shock dopo l’orribile strage perpetrata ieri dai talebani in una scuola per figli di militari a Peshawar.
Radio Vaticana - A tutto il Paese e ai familiari delle vittime è arrivato alto l’appello del Papa, all’udienza generale di stamattina in Piazza San Pietro in cui ha espresso il suo dolore per il massacro di ieri in Pakistan, così come per le vittime del terrorismo a Sydney, in Australia, e nello Yemen. 144 le vittime di ieri in Pakistan, tra loro 132 tra ragazzi e bambini, la maggior parte al di sotto dei 15 anni. Oggi nel Paese è il primo di tre giorni di lutto nazionale. Il servizio di Francesca Sabatinelli:
Il dolore del Papa
“Ora vorrei pregare insieme con voi per le vittime dei disumani atti terroristici compiuti nei giorni scorsi in Australia, in Pakistan e nello Yemen. Il Signore accolga nella sua pace i defunti, conforti i familiari, e converta i cuori dei violenti che non si fermano neppure davanti ai bambini”.
Il dolore del Papa è intenso, il suo sguardo drammatico ci riporta alle scene di terrore e di morte vissute ieri in Pakistan e alla tragedia sfiorata oggi, con due esplosioni fuori da una scuola femminile sempre a Peshawar, che però non avrebbero provocato vittime, perché la scuola in segno di lutto era chiusa. Oggi nel Paese è il giorno dei funerali delle piccole vittime della furia talebana, e ora è ovunque stato di massima allerta, soprattutto nelle scuole. “E’ il nostro 11 settembre”: scrivono i quotidiani pakistani.
Sospesa moratoria pena di morte
La sospensione della moratoria sulla pena di morte per i reati legati al terrorismo, e dunque la reintroduzione dell’impiccagione ferma dal 2008, è la prima delle misure predisposte dal governo di Nawaz Sharif, all’indomani del massacro. Allo stesso tempo Islamabad cerca il sostegno afghano, e sarà il capo di stato maggiore pakistano a chiederlo alle autorità di Kabul, dalle quali ci si aspetta l’estradizione, una volta arrestato, di Maulana Fazlullah, leader del TTP, il gruppo talebano autore della strage. E i terroristi tornano a farsi sentire, promettendo nuovi attentati per vendetta. Andrea Carati ricercatore alla statale di Milano, dove insegna relazioni internazionali, e Associate Research Fellow all’Ipsi, Istituto per gli studi di politica internazionale:
Crudeli e indipendenti
R. – Da un lato è vero che se si arriva a scegliere un target così debole - come una scuola popolata per la gran parte da bambini, da ragazzini – questo è un segnale di debolezza. Però un segnale di debolezza da cui non si può trarre la conclusione che i talebani pakistani siano in qualche modo disorientati al punto di pianificare attentati terroristici così efferati. Anzi al contrario io credo che i talebani pakistani a questo punto siano quasi del tutto indipendenti rispetto alla leadership storica dei talebani e quindi quelli che fanno capo alla Mullah Omar si presentino sempre con maggiore efficacia, come una vera e propria fazione politiche che ha in mente di giocare un ruolo centrale nella politica del Pakistan.
D. – Il fatto che i talebani afghani abbiano preso le distanze, abbiano condannato un crimine di questo tipo contro i bambini, che cosa significa?
R. – Il gruppo che noi chiamiamo abitualmente “talebani” in realtà è una galassia, un universo molto composito di gruppi frammentati e non solo lungo la divisione che negli anni si è fatta sempre più chiara tra la leadership storica, quella del Mullah Omar – che fa capo a Quetta, sempre in Pakistan – rispetto alla nuova generazione di talebani che si è formata invece negli anni dell’intervento internazionale in Afghanistan delle aree tribali del Pakistan, al confine con l’Afghanistan. Progressivamente, i talebani pakistani sono diventati una fazione indipendente, per cui è secondaria la riconquista del poter a Kabul, mentre è diventato primario l’obiettivo di conquistare il potere o comunque avere un ruolo politico in Pakistan. Non solo: in realtà anche la parte politica, diciamo la parte dei talebani pakistani, è a sua volta divisa al proprio interno, in particolare dopo l’uccisione del 2013 del leader Hakimullah Mehsud con un attacco dei droni. L’uccisione del leader ha diviso ulteriormente i gruppi talebani pakistani al loro interno in almeno una decina di fazioni, in alcuni casi anche sul piano tribale e quindi anche con obiettivi e strategie molto differenti fra loro.
Stessa retorica di Al Qaeda
D. – I talebani hanno definito la strage un trailer per rappresaglia: questo significa che il Pakistan si dovrà aspettare degli attacchi mostruosi come quello di ieri?
R. – Questo attacco è stato il più violento, il più sanguinoso, quello che ha creato più morti nella storia del Pakistan, però si inserisce in una continuità di attentati terroristici nella stessa zona del Pakistan e che hanno riguardato la storia recente degli ultimi anni. Quindi, senz'altro la lotta politica fra i talebani che utilizzano naturalmente – come sappiamo – i mezzi del terrorismo e le autorità di Islamabad è una nota destinata a continuare nei prossimi anni. Sulla definizione, questa macabra definizione, di questo attentato come un “trailer”, in realtà c’è una continuità e un richiamo tipico di quasi tutti i gruppi jihadisti di presentare i loro attentati terroristici come una sorta di rappresaglia, di restituzione di uno scenario di violenza che loro sostengono di subire giorno per giorno. E’ la stessa retorica jihadista che usava al-Qaeda di fronte all’11 settembre, in cui si cercava di sostenere sostanzialmente che si erano portati in America uno scenario che gli Stati Uniti creavano in Medio Oriente e in altri luoghi… E’ una retorica ricorrente di presentare i propri attentati, la propria violenza come lo specchio di un’altra violenza o degli occidentali o, in questo caso, delle autorità e delle forze armate pakistane.
Prima alleati poi nemici
D. – Le cosiddette scuole che formerebbero le nuove leve per questi gruppi di terroristi si sa dove sono, ma non vengono colpite: il male non viene estirpato alla radice, questo è ciò che si sente ripetere… E’ così? Il governo di Sharif è troppo debole o non interviene come dovrebbe per altre ragioni?
R. – Questo tipo di critiche al governo di Sharif non vanno confuse con la critica, diciamo, di più di lungo periodo che si è mossa al Pakistan, in particolare ai Servizi segreti pakistani, che hanno aiutato negli anni Novanta e poi anche successivamente, dopo l’intervento americano nel 2001 in Afghanistan, i talebani. I talebani negli anni Novanta e poi, potenzialmente, anche dopo l’intervento americano sono sempre stati intesi come un potenziale governo alleato, un governo amico in Afghanistan, nel quadro più generale del contenimento o di un eventuale guerra contro l’India. Quindi, c’è stato un rapporto stretto sul piano storico, negli ultimi due decenni, fra i servizi Segreti pakistani e i talebani. Però, le cose si sono complicate incredibilmente negli ultimi anni, perché i talebani – soprattutto la frangia pakistana dei talebani – si sono rivelati un nemico interno straordinario. Quindi, si può certo accusare i governi pakistani degli ultimi 15-20 anni per l’ambiguità che hanno tenuto nei rapporti con i talebani, però questo tipo di talebani – quelli pakistani – sono percepiti in modo crescente come un nemico vero interno del Pakistan, su cui le autorità centrali hanno intenzione di fare una battaglia frontale.
Radio Vaticana - A tutto il Paese e ai familiari delle vittime è arrivato alto l’appello del Papa, all’udienza generale di stamattina in Piazza San Pietro in cui ha espresso il suo dolore per il massacro di ieri in Pakistan, così come per le vittime del terrorismo a Sydney, in Australia, e nello Yemen. 144 le vittime di ieri in Pakistan, tra loro 132 tra ragazzi e bambini, la maggior parte al di sotto dei 15 anni. Oggi nel Paese è il primo di tre giorni di lutto nazionale. Il servizio di Francesca Sabatinelli:
Il dolore del Papa
“Ora vorrei pregare insieme con voi per le vittime dei disumani atti terroristici compiuti nei giorni scorsi in Australia, in Pakistan e nello Yemen. Il Signore accolga nella sua pace i defunti, conforti i familiari, e converta i cuori dei violenti che non si fermano neppure davanti ai bambini”.
Il dolore del Papa è intenso, il suo sguardo drammatico ci riporta alle scene di terrore e di morte vissute ieri in Pakistan e alla tragedia sfiorata oggi, con due esplosioni fuori da una scuola femminile sempre a Peshawar, che però non avrebbero provocato vittime, perché la scuola in segno di lutto era chiusa. Oggi nel Paese è il giorno dei funerali delle piccole vittime della furia talebana, e ora è ovunque stato di massima allerta, soprattutto nelle scuole. “E’ il nostro 11 settembre”: scrivono i quotidiani pakistani.
Sospesa moratoria pena di morte
La sospensione della moratoria sulla pena di morte per i reati legati al terrorismo, e dunque la reintroduzione dell’impiccagione ferma dal 2008, è la prima delle misure predisposte dal governo di Nawaz Sharif, all’indomani del massacro. Allo stesso tempo Islamabad cerca il sostegno afghano, e sarà il capo di stato maggiore pakistano a chiederlo alle autorità di Kabul, dalle quali ci si aspetta l’estradizione, una volta arrestato, di Maulana Fazlullah, leader del TTP, il gruppo talebano autore della strage. E i terroristi tornano a farsi sentire, promettendo nuovi attentati per vendetta. Andrea Carati ricercatore alla statale di Milano, dove insegna relazioni internazionali, e Associate Research Fellow all’Ipsi, Istituto per gli studi di politica internazionale:
Crudeli e indipendenti
R. – Da un lato è vero che se si arriva a scegliere un target così debole - come una scuola popolata per la gran parte da bambini, da ragazzini – questo è un segnale di debolezza. Però un segnale di debolezza da cui non si può trarre la conclusione che i talebani pakistani siano in qualche modo disorientati al punto di pianificare attentati terroristici così efferati. Anzi al contrario io credo che i talebani pakistani a questo punto siano quasi del tutto indipendenti rispetto alla leadership storica dei talebani e quindi quelli che fanno capo alla Mullah Omar si presentino sempre con maggiore efficacia, come una vera e propria fazione politiche che ha in mente di giocare un ruolo centrale nella politica del Pakistan.
D. – Il fatto che i talebani afghani abbiano preso le distanze, abbiano condannato un crimine di questo tipo contro i bambini, che cosa significa?
R. – Il gruppo che noi chiamiamo abitualmente “talebani” in realtà è una galassia, un universo molto composito di gruppi frammentati e non solo lungo la divisione che negli anni si è fatta sempre più chiara tra la leadership storica, quella del Mullah Omar – che fa capo a Quetta, sempre in Pakistan – rispetto alla nuova generazione di talebani che si è formata invece negli anni dell’intervento internazionale in Afghanistan delle aree tribali del Pakistan, al confine con l’Afghanistan. Progressivamente, i talebani pakistani sono diventati una fazione indipendente, per cui è secondaria la riconquista del poter a Kabul, mentre è diventato primario l’obiettivo di conquistare il potere o comunque avere un ruolo politico in Pakistan. Non solo: in realtà anche la parte politica, diciamo la parte dei talebani pakistani, è a sua volta divisa al proprio interno, in particolare dopo l’uccisione del 2013 del leader Hakimullah Mehsud con un attacco dei droni. L’uccisione del leader ha diviso ulteriormente i gruppi talebani pakistani al loro interno in almeno una decina di fazioni, in alcuni casi anche sul piano tribale e quindi anche con obiettivi e strategie molto differenti fra loro.
Stessa retorica di Al Qaeda
D. – I talebani hanno definito la strage un trailer per rappresaglia: questo significa che il Pakistan si dovrà aspettare degli attacchi mostruosi come quello di ieri?
R. – Questo attacco è stato il più violento, il più sanguinoso, quello che ha creato più morti nella storia del Pakistan, però si inserisce in una continuità di attentati terroristici nella stessa zona del Pakistan e che hanno riguardato la storia recente degli ultimi anni. Quindi, senz'altro la lotta politica fra i talebani che utilizzano naturalmente – come sappiamo – i mezzi del terrorismo e le autorità di Islamabad è una nota destinata a continuare nei prossimi anni. Sulla definizione, questa macabra definizione, di questo attentato come un “trailer”, in realtà c’è una continuità e un richiamo tipico di quasi tutti i gruppi jihadisti di presentare i loro attentati terroristici come una sorta di rappresaglia, di restituzione di uno scenario di violenza che loro sostengono di subire giorno per giorno. E’ la stessa retorica jihadista che usava al-Qaeda di fronte all’11 settembre, in cui si cercava di sostenere sostanzialmente che si erano portati in America uno scenario che gli Stati Uniti creavano in Medio Oriente e in altri luoghi… E’ una retorica ricorrente di presentare i propri attentati, la propria violenza come lo specchio di un’altra violenza o degli occidentali o, in questo caso, delle autorità e delle forze armate pakistane.
Prima alleati poi nemici
D. – Le cosiddette scuole che formerebbero le nuove leve per questi gruppi di terroristi si sa dove sono, ma non vengono colpite: il male non viene estirpato alla radice, questo è ciò che si sente ripetere… E’ così? Il governo di Sharif è troppo debole o non interviene come dovrebbe per altre ragioni?
R. – Questo tipo di critiche al governo di Sharif non vanno confuse con la critica, diciamo, di più di lungo periodo che si è mossa al Pakistan, in particolare ai Servizi segreti pakistani, che hanno aiutato negli anni Novanta e poi anche successivamente, dopo l’intervento americano nel 2001 in Afghanistan, i talebani. I talebani negli anni Novanta e poi, potenzialmente, anche dopo l’intervento americano sono sempre stati intesi come un potenziale governo alleato, un governo amico in Afghanistan, nel quadro più generale del contenimento o di un eventuale guerra contro l’India. Quindi, c’è stato un rapporto stretto sul piano storico, negli ultimi due decenni, fra i servizi Segreti pakistani e i talebani. Però, le cose si sono complicate incredibilmente negli ultimi anni, perché i talebani – soprattutto la frangia pakistana dei talebani – si sono rivelati un nemico interno straordinario. Quindi, si può certo accusare i governi pakistani degli ultimi 15-20 anni per l’ambiguità che hanno tenuto nei rapporti con i talebani, però questo tipo di talebani – quelli pakistani – sono percepiti in modo crescente come un nemico vero interno del Pakistan, su cui le autorità centrali hanno intenzione di fare una battaglia frontale.
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