Francesco all’udienza generale: l’assenza del padre produce devianze nei figli
di Paolo Fucili
Dicesi “Padre” non solo (ma già non è poco) il buon Dio, come Gesù stesso ci ha insegnato a chiamarlo: tutti conoscono questa “universale” parola e la “fondamentale” – addirittura – “relazione” che indica, “la cui realtà è antica quanto la storia dell’uomo”; quella che Bergoglio descriverà tra oggi e la settimana prossima in due puntate, vale a dire due udienze generali del mercoledì nell’ambito del ciclo di catechesi sulla famiglia avviato già mesi orsono.
E non importa se “oggi lei è stato troppo negativo, ha parlato solo dell’assenza dei padri, cosa accade quando i padri non sono vicini ai figli”, è l’obiezione che Francesco stesso - come è sua abitudine nel parlare – si è immaginato in bocca ad un ipotetico interlocutore; “è vero”, non c’è che dire, ma “mercoledì proseguirò questa catechesi mettendo in luce la bellezza della paternità”, ha anticipato stamane in Aula Nervi per tacitare qualunque “ma” o “però” di questo tenore.
Più che negativo Bergoglio, del resto, “negativa” semmai è quella “società senza padri” che sarebbe la nostra cultura occidentale, e lo dice non solo Francesco. Una società ovvero dove “la figura del padre sarebbe simbolicamente assente, svanita, rimossa”, si è limitato lui a constatare, aggiungendo però del suo un non trascurabile ammonimento, ripensando alla sua esperienza di vescovo a Buenos Aires: “le devianze dei bambini e degli adolescenti si possono in buona parte ricondurre a questa mancanza, alla carenza di esempi e di guide autorevoli nella loro vita di ogni giorno, alla carenza di vicinanza, alla carenza di amore da parte dei padri”.
Non che in passato tutto andasse alla perfezione, tanto che non pochi hanno vissuto la ‘scomparsa’ del padre dalla scena come una “liberazione”. I “padri-padroni” del passato citati appunto dal Papa stamane, quelli non li rimpiange nessuno, e neppure “l’autoritarismo”, persino “la sopraffazione: genitori che trattavano i figli come servi, non rispettando le esigenze personali della loro crescita; padri che non li aiutavano a intraprendere la loro strada con libertà…” e via discorrendo.
Bene così insomma, se non fosse che “come spesso avviene, si passa da un estremo all’altro”, da una “presenza invadente” ad una “assenza”, una vera e propria “latitanza”; padri “cioè così concentrati su se stessi e sul proprio lavoro e alle volte sulle proprie realizzazioni individuali, da dimenticare anche la famiglia”, senza “il coraggio e l’amore di perdere tempo con i figli”, come il Bergoglio arcivescovo di Buenos Aires che fu tristemente appurava conversando ad ogni occasione buona coi padri di famiglia. “E la risposta era brutta, nella maggioranza dei casi: ‘Mah, non posso, perché ho tanto lavoro…’”, ricordava ancora oggi ai fedeli dell’udienza.
Ebbene, ora avverte dal soglio di Pietro, i padri di tal fatta sappiano (nel caso remoto che lo ignorino) che “l’assenza della figura paterna nella vita dei piccoli e dei giovani produce lacune e ferite che possono essere anche molto gravi”. Ed “è più profondo di quel che pensiamo il senso di orfanezza che vivono tanti giovani”. Perché magari il padre c’è pure, ma non si comporta come tale: vale a dire trasmettere ai figli principi, valori, regole di vita – con l’esempio ancor prima che colle parole – di cui i figli han bisogno “come del pane”. Come se non sapessero bene “quale posto occupare in famiglia e come educare i figli”, fino a rifugiarsi in un “improbabile” – virgolettato del Papa di oggi – “rapporto ‘alla pari’ con i figli”.
No dunque al papà “compagno” anziché “padre”, Francesco conclude allargando opportunamente la riflessione anche all’ambito della “comunità civile”. Anch’essa infatti, con le sue istituzioni, ha una responsabilità “paterna” – la chiama il Pontefice – verso i giovani, responsabilità che purtroppo però “a volte trascura o esercita male”. Quel che avviene quando “non propone loro una verità di prospettiva”, lasciando i giovani “orfani di strade sicure da percorrere, orfani di maestri di cui fidarsi, orfani di ideali che riscaldino il cuore, orfani di valori e di speranze che li sostengano quotidianamente”. Magari li riempie di idoli, ma “ruba loro il cuore”; fa loro sognare divertimenti e piaceri, ma non dà loro il lavoro; li illude col “dio denaro”, ma nega loro “le vere ricchezze”.
Parola di un “padre” anche lui (“papa”, per chi non lo sapesse, questo vuol dire), “santo” addirittura chiamato di solito, severo forse oggi, ma oltre al “buio” c’è anche la “luce” ha assicurato, dando l’appuntamento a mercoledì prossimo. Arrivederci quindi, cari padri, alla seconda e ultima puntata.
di Paolo Fucili
Dicesi “Padre” non solo (ma già non è poco) il buon Dio, come Gesù stesso ci ha insegnato a chiamarlo: tutti conoscono questa “universale” parola e la “fondamentale” – addirittura – “relazione” che indica, “la cui realtà è antica quanto la storia dell’uomo”; quella che Bergoglio descriverà tra oggi e la settimana prossima in due puntate, vale a dire due udienze generali del mercoledì nell’ambito del ciclo di catechesi sulla famiglia avviato già mesi orsono.
E non importa se “oggi lei è stato troppo negativo, ha parlato solo dell’assenza dei padri, cosa accade quando i padri non sono vicini ai figli”, è l’obiezione che Francesco stesso - come è sua abitudine nel parlare – si è immaginato in bocca ad un ipotetico interlocutore; “è vero”, non c’è che dire, ma “mercoledì proseguirò questa catechesi mettendo in luce la bellezza della paternità”, ha anticipato stamane in Aula Nervi per tacitare qualunque “ma” o “però” di questo tenore.
Più che negativo Bergoglio, del resto, “negativa” semmai è quella “società senza padri” che sarebbe la nostra cultura occidentale, e lo dice non solo Francesco. Una società ovvero dove “la figura del padre sarebbe simbolicamente assente, svanita, rimossa”, si è limitato lui a constatare, aggiungendo però del suo un non trascurabile ammonimento, ripensando alla sua esperienza di vescovo a Buenos Aires: “le devianze dei bambini e degli adolescenti si possono in buona parte ricondurre a questa mancanza, alla carenza di esempi e di guide autorevoli nella loro vita di ogni giorno, alla carenza di vicinanza, alla carenza di amore da parte dei padri”.
Non che in passato tutto andasse alla perfezione, tanto che non pochi hanno vissuto la ‘scomparsa’ del padre dalla scena come una “liberazione”. I “padri-padroni” del passato citati appunto dal Papa stamane, quelli non li rimpiange nessuno, e neppure “l’autoritarismo”, persino “la sopraffazione: genitori che trattavano i figli come servi, non rispettando le esigenze personali della loro crescita; padri che non li aiutavano a intraprendere la loro strada con libertà…” e via discorrendo.
Bene così insomma, se non fosse che “come spesso avviene, si passa da un estremo all’altro”, da una “presenza invadente” ad una “assenza”, una vera e propria “latitanza”; padri “cioè così concentrati su se stessi e sul proprio lavoro e alle volte sulle proprie realizzazioni individuali, da dimenticare anche la famiglia”, senza “il coraggio e l’amore di perdere tempo con i figli”, come il Bergoglio arcivescovo di Buenos Aires che fu tristemente appurava conversando ad ogni occasione buona coi padri di famiglia. “E la risposta era brutta, nella maggioranza dei casi: ‘Mah, non posso, perché ho tanto lavoro…’”, ricordava ancora oggi ai fedeli dell’udienza.
Ebbene, ora avverte dal soglio di Pietro, i padri di tal fatta sappiano (nel caso remoto che lo ignorino) che “l’assenza della figura paterna nella vita dei piccoli e dei giovani produce lacune e ferite che possono essere anche molto gravi”. Ed “è più profondo di quel che pensiamo il senso di orfanezza che vivono tanti giovani”. Perché magari il padre c’è pure, ma non si comporta come tale: vale a dire trasmettere ai figli principi, valori, regole di vita – con l’esempio ancor prima che colle parole – di cui i figli han bisogno “come del pane”. Come se non sapessero bene “quale posto occupare in famiglia e come educare i figli”, fino a rifugiarsi in un “improbabile” – virgolettato del Papa di oggi – “rapporto ‘alla pari’ con i figli”.
No dunque al papà “compagno” anziché “padre”, Francesco conclude allargando opportunamente la riflessione anche all’ambito della “comunità civile”. Anch’essa infatti, con le sue istituzioni, ha una responsabilità “paterna” – la chiama il Pontefice – verso i giovani, responsabilità che purtroppo però “a volte trascura o esercita male”. Quel che avviene quando “non propone loro una verità di prospettiva”, lasciando i giovani “orfani di strade sicure da percorrere, orfani di maestri di cui fidarsi, orfani di ideali che riscaldino il cuore, orfani di valori e di speranze che li sostengano quotidianamente”. Magari li riempie di idoli, ma “ruba loro il cuore”; fa loro sognare divertimenti e piaceri, ma non dà loro il lavoro; li illude col “dio denaro”, ma nega loro “le vere ricchezze”.
Parola di un “padre” anche lui (“papa”, per chi non lo sapesse, questo vuol dire), “santo” addirittura chiamato di solito, severo forse oggi, ma oltre al “buio” c’è anche la “luce” ha assicurato, dando l’appuntamento a mercoledì prossimo. Arrivederci quindi, cari padri, alla seconda e ultima puntata.
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