Di fronte a tensioni e conflitti che lacerano il mondo contemporaneo, frutto di quella “cultura dello scarto” che non risparmia nessuno, il Papa ha rilanciato l’esortazione alla pace e alla riconciliazione: lo ha fatto nel tradizionale incontro per gli auguri di inizio anno col Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede.
Radio Vaticana - Sono 180, lo ricordiamo, gli Stati che attualmente intrattengono relazioni diplomatiche piene con la Santa Sede; a questi vanno aggiunti l’Unione Europea, il Sovrano Militare Ordine di Malta e una Missione di natura speciale, ovvero quella dello Stato di Palestina. Il servizio di Giada Aquilino: ascolta
In “un’umanità ferita e continuamente lacerata da tensioni e conflitti di ogni sorta”, la parola che Papa Francesco fa risuonare ad inizio anno dinanzi al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede è “pace”. Riflettendo sull’immagine del presepe che, accanto alla pace, racconta anche la drammatica realtà del rifiuto, del “dramma di cui Gesù è oggetto”, il Pontefice denuncia quella ‘cultura dello scarto’ che “non risparmia niente e nessuno: dalle creature, agli esseri umani e perfino a Dio stesso”, finendo per “generare violenza e morte”:
“Ne abbiamo una triste eco in numerosi fatti della cronaca quotidiana, non ultima la tragica strage avvenuta a Parigi alcuni giorni fa”.
Gli altri, afferma, “non sono più percepiti come esseri di pari dignità, come fratelli e sorelle in umanità, ma vengono visti come oggetti”:
“E l’essere umano da libero diventa schiavo, ora delle mode, ora del potere, ora del denaro, talvolta perfino di forme fuorviate di religione”.
Sono le “molteplici schiavitù moderne”, aggiunge il Papa, che nascono da un “cuore corrotto, incapace di vedere e operare il bene, di perseguire la pace”. La conseguenza è il “continuo dilagare dei conflitti”, visti – afferma – “come una vera e propria guerra mondiale combattuta a pezzi”. Ricorda quindi l’Ucraina:
“Auspico che, attraverso il dialogo, si consolidino gli sforzi in atto per fare cessare le ostilità”.
Il pensiero va poi al Medio Oriente. Ricorda il viaggio del maggio scorso in Terra Santa, “per la quale - dice - non ci stancheremo mai di invocare la pace”. La speranza è la ripresa del negoziato fra israeliani e palestinesi per giungere a una pace che permetta che “la ‘soluzione di due Stati’ diventi effettiva”. Papa Francesco volge lo sguardo anche al “dilagare del terrorismo di matrice fondamentalista” in Siria e Iraq, “conseguenza della cultura dello scarto applicata a Dio”, afferma:
“Il fondamentalismo religioso, infatti, prima ancora di scartare gli esseri umani perpetrando orrendi massacri, rifiuta Dio stesso, relegandolo a un mero pretesto ideologico”.
Si tratta, continua, di una “ingiusta aggressione, che colpisce anche i cristiani e altri gruppi etnici e religiosi” locali, come gli yazidi. Occorre, quindi, “una risposta unanime” che, nel quadro del diritto internazionale, fermi il dilagare delle violenze. Per quanto riguarda i cristiani, un Medio Oriente senza di essi – spiega - “sarebbe un Medio Oriente sfigurato e mutilato”:
“Nel sollecitare la comunità internazionale a non essere indifferente davanti a tale situazione, auspico che i leader religiosi, politici e intellettuali specialmente musulmani, condannino qualsiasi interpretazione fondamentalista ed estremista della religione, volta a giustificare tali atti di violenza”.
Simili forme di brutalità mietono vittime anche fra i più piccoli e gli indifesi in altre parti del mondo. Il Papa ricorda i recenti fatti del Pakistan e prega per gli oltre 100 bambini che sono stati trucidati con inaudita violenza. Ma non si ferma qui:
“Penso in modo particolare alla Nigeria, dove non cessano le violenze che colpiscono indiscriminatamente la popolazione, ed è in continua crescita il tragico fenomeno dei sequestri di persone, sovente di giovani ragazze rapite per essere fatte oggetto di mercimonio. È un esecrabile commercio che non può continuare"!
Poi i conflitti nelle altre parti dell’Africa, per i quali il Pontefice auspica un impegno dei singoli governi e della comunità internazionale: in Libia, in Repubblica Centroafricana, dove si incontrano ancora “forme di resistenza ed egoistici interessi di parte” che rischiano di vanificare gli sforzi di pace, in Sud Sudan e Sudan, nel Corno d’Africa e nella Repubblica Democratica del Congo. I conflitti, aggiunge, “portano con sé un altro orrendo crimine che è lo stupro”, perpetrato poi anche laddove non c’è guerra:
“È una gravissima offesa alla dignità della donna, che non solo viene violata nell’intimità del suo corpo, ma pure nella sua anima, con un trauma che difficilmente potrà essere cancellato e le cui conseguenze sono anche di carattere sociale”.
Vi sono poi altre forme di rifiuto, in relazione al modo con cui vengono spesso trattati i malati: tra “i lebbrosi del nostro tempo” il Papa ricorda le vittime dell’Ebola che in Africa “ha già falcidiato oltre seimila vite” e torna a ringraziare operatori sanitari, religiosi e volontari impegnati per le cure. Tra le vite “scartate”, il Pontefice annovera inoltre “quelle di numerosi profughi e rifugiati”, che lasciano la loro terra d’origine non tanto per un futuro migliore, ma semplicemente “un futuro, poiché rimanere nella propria patria può significare una morte certa”. Ricorda quindi le tante persone che hanno perso la vita “in viaggi disumani”, sottoposte alle angherie “di veri e propri aguzzini avidi di denaro”, e molti di quei migranti sono bambini soli. Alle incertezze della fuga, per tutti loro si aggiunge il dramma del rifiuto:
“È dunque necessario un cambio di atteggiamento nei loro confronti, per passare dal disinteresse e dalla paura ad una sincera accettazione dell’altro”.
Il Papa invita ad “agire sulle cause e non solo sugli effetti” di tali realtà, per consentire poi ai migranti “di tornare un giorno nella propria patria”. A loro si affiancano anche tanti “esiliati nascosti” nelle nostre case e nelle nostre famiglie: anziani, diversamente abili, ma anche i giovani, ritenuti un peso o scartati perché negate loro “concrete prospettive lavorative”. D’altra parte, prosegue il Pontefice, non esiste peggiore povertà “di quella che priva del lavoro e della dignità del lavoro e che rende il lavoro una forma di schiavitù”.
“La famiglia stessa è poi non di rado fatta oggetto di scarto, a causa di una sempre più diffusa cultura individualista ed egoista che rescinde i legami e tende a favorire il drammatico fenomeno della denatalità, nonché di legislazioni che privilegiano diverse forme di convivenza piuttosto che sostenere adeguatamente la famiglia per il bene di tutta la società”.
Tra i motivi di tali fenomeni vi è “una globalizzazione uniformante”, causa di uno scoraggiamento tra molte persone, “che hanno letteralmente perso il senso del vivere”, afflitte pure dalla perdurante crisi economica, “che genera sfiducia e favorisce la conflittualità sociale”. In Italia, ad esempio, il Pontefice vede un “perdurante clima di incertezza sociale, politica ed economica”:
“Il popolo italiano non ceda al disimpegno e alla tentazione dello scontro, ma riscopra quei valori di attenzione reciproca e solidarietà che sono alla base della sua cultura e della convivenza civile, e sono sorgenti di fiducia tanto nel prossimo quanto nel futuro, specie per i giovani”.
In conclusione, parlando del suo nuovo viaggio apostolico in Asia, il Papa auspica la ripresa del dialogo tra le due Coree. Non vogliamo, aggiunge, che all’inizio di un nuovo anno il nostro sguardo sia “dominato dal pessimismo”: per questo pensa alla cultura dell’incontro che, assicura, “è possibile”. Un esempio è il riavvicinamento tra Stati Uniti e Cuba. Soddisfazione poi per la decisione statunitense di chiudere il carcere di Guantanamo. Un pensiero di speranza va inoltre al Burkina Faso, alle Filippine, alla Colombia e al Venezuela, come pure per “un’intesa definitiva” sul nucleare iraniano. Il Pontefice ricorda infine la nascita - dopo la Seconda Guerra Mondiale - dell’Onu, impegnato nei prossimi mesi con l’Agenda di sviluppo post-2015 e l’elaborazione di un nuovo "urgente" accordo sul clima.
Radio Vaticana - Sono 180, lo ricordiamo, gli Stati che attualmente intrattengono relazioni diplomatiche piene con la Santa Sede; a questi vanno aggiunti l’Unione Europea, il Sovrano Militare Ordine di Malta e una Missione di natura speciale, ovvero quella dello Stato di Palestina. Il servizio di Giada Aquilino: ascolta
In “un’umanità ferita e continuamente lacerata da tensioni e conflitti di ogni sorta”, la parola che Papa Francesco fa risuonare ad inizio anno dinanzi al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede è “pace”. Riflettendo sull’immagine del presepe che, accanto alla pace, racconta anche la drammatica realtà del rifiuto, del “dramma di cui Gesù è oggetto”, il Pontefice denuncia quella ‘cultura dello scarto’ che “non risparmia niente e nessuno: dalle creature, agli esseri umani e perfino a Dio stesso”, finendo per “generare violenza e morte”:
“Ne abbiamo una triste eco in numerosi fatti della cronaca quotidiana, non ultima la tragica strage avvenuta a Parigi alcuni giorni fa”.
Gli altri, afferma, “non sono più percepiti come esseri di pari dignità, come fratelli e sorelle in umanità, ma vengono visti come oggetti”:
“E l’essere umano da libero diventa schiavo, ora delle mode, ora del potere, ora del denaro, talvolta perfino di forme fuorviate di religione”.
Sono le “molteplici schiavitù moderne”, aggiunge il Papa, che nascono da un “cuore corrotto, incapace di vedere e operare il bene, di perseguire la pace”. La conseguenza è il “continuo dilagare dei conflitti”, visti – afferma – “come una vera e propria guerra mondiale combattuta a pezzi”. Ricorda quindi l’Ucraina:
“Auspico che, attraverso il dialogo, si consolidino gli sforzi in atto per fare cessare le ostilità”.
Il pensiero va poi al Medio Oriente. Ricorda il viaggio del maggio scorso in Terra Santa, “per la quale - dice - non ci stancheremo mai di invocare la pace”. La speranza è la ripresa del negoziato fra israeliani e palestinesi per giungere a una pace che permetta che “la ‘soluzione di due Stati’ diventi effettiva”. Papa Francesco volge lo sguardo anche al “dilagare del terrorismo di matrice fondamentalista” in Siria e Iraq, “conseguenza della cultura dello scarto applicata a Dio”, afferma:
“Il fondamentalismo religioso, infatti, prima ancora di scartare gli esseri umani perpetrando orrendi massacri, rifiuta Dio stesso, relegandolo a un mero pretesto ideologico”.
Si tratta, continua, di una “ingiusta aggressione, che colpisce anche i cristiani e altri gruppi etnici e religiosi” locali, come gli yazidi. Occorre, quindi, “una risposta unanime” che, nel quadro del diritto internazionale, fermi il dilagare delle violenze. Per quanto riguarda i cristiani, un Medio Oriente senza di essi – spiega - “sarebbe un Medio Oriente sfigurato e mutilato”:
“Nel sollecitare la comunità internazionale a non essere indifferente davanti a tale situazione, auspico che i leader religiosi, politici e intellettuali specialmente musulmani, condannino qualsiasi interpretazione fondamentalista ed estremista della religione, volta a giustificare tali atti di violenza”.
Simili forme di brutalità mietono vittime anche fra i più piccoli e gli indifesi in altre parti del mondo. Il Papa ricorda i recenti fatti del Pakistan e prega per gli oltre 100 bambini che sono stati trucidati con inaudita violenza. Ma non si ferma qui:
“Penso in modo particolare alla Nigeria, dove non cessano le violenze che colpiscono indiscriminatamente la popolazione, ed è in continua crescita il tragico fenomeno dei sequestri di persone, sovente di giovani ragazze rapite per essere fatte oggetto di mercimonio. È un esecrabile commercio che non può continuare"!
Poi i conflitti nelle altre parti dell’Africa, per i quali il Pontefice auspica un impegno dei singoli governi e della comunità internazionale: in Libia, in Repubblica Centroafricana, dove si incontrano ancora “forme di resistenza ed egoistici interessi di parte” che rischiano di vanificare gli sforzi di pace, in Sud Sudan e Sudan, nel Corno d’Africa e nella Repubblica Democratica del Congo. I conflitti, aggiunge, “portano con sé un altro orrendo crimine che è lo stupro”, perpetrato poi anche laddove non c’è guerra:
“È una gravissima offesa alla dignità della donna, che non solo viene violata nell’intimità del suo corpo, ma pure nella sua anima, con un trauma che difficilmente potrà essere cancellato e le cui conseguenze sono anche di carattere sociale”.
Vi sono poi altre forme di rifiuto, in relazione al modo con cui vengono spesso trattati i malati: tra “i lebbrosi del nostro tempo” il Papa ricorda le vittime dell’Ebola che in Africa “ha già falcidiato oltre seimila vite” e torna a ringraziare operatori sanitari, religiosi e volontari impegnati per le cure. Tra le vite “scartate”, il Pontefice annovera inoltre “quelle di numerosi profughi e rifugiati”, che lasciano la loro terra d’origine non tanto per un futuro migliore, ma semplicemente “un futuro, poiché rimanere nella propria patria può significare una morte certa”. Ricorda quindi le tante persone che hanno perso la vita “in viaggi disumani”, sottoposte alle angherie “di veri e propri aguzzini avidi di denaro”, e molti di quei migranti sono bambini soli. Alle incertezze della fuga, per tutti loro si aggiunge il dramma del rifiuto:
“È dunque necessario un cambio di atteggiamento nei loro confronti, per passare dal disinteresse e dalla paura ad una sincera accettazione dell’altro”.
Il Papa invita ad “agire sulle cause e non solo sugli effetti” di tali realtà, per consentire poi ai migranti “di tornare un giorno nella propria patria”. A loro si affiancano anche tanti “esiliati nascosti” nelle nostre case e nelle nostre famiglie: anziani, diversamente abili, ma anche i giovani, ritenuti un peso o scartati perché negate loro “concrete prospettive lavorative”. D’altra parte, prosegue il Pontefice, non esiste peggiore povertà “di quella che priva del lavoro e della dignità del lavoro e che rende il lavoro una forma di schiavitù”.
“La famiglia stessa è poi non di rado fatta oggetto di scarto, a causa di una sempre più diffusa cultura individualista ed egoista che rescinde i legami e tende a favorire il drammatico fenomeno della denatalità, nonché di legislazioni che privilegiano diverse forme di convivenza piuttosto che sostenere adeguatamente la famiglia per il bene di tutta la società”.
Tra i motivi di tali fenomeni vi è “una globalizzazione uniformante”, causa di uno scoraggiamento tra molte persone, “che hanno letteralmente perso il senso del vivere”, afflitte pure dalla perdurante crisi economica, “che genera sfiducia e favorisce la conflittualità sociale”. In Italia, ad esempio, il Pontefice vede un “perdurante clima di incertezza sociale, politica ed economica”:
“Il popolo italiano non ceda al disimpegno e alla tentazione dello scontro, ma riscopra quei valori di attenzione reciproca e solidarietà che sono alla base della sua cultura e della convivenza civile, e sono sorgenti di fiducia tanto nel prossimo quanto nel futuro, specie per i giovani”.
In conclusione, parlando del suo nuovo viaggio apostolico in Asia, il Papa auspica la ripresa del dialogo tra le due Coree. Non vogliamo, aggiunge, che all’inizio di un nuovo anno il nostro sguardo sia “dominato dal pessimismo”: per questo pensa alla cultura dell’incontro che, assicura, “è possibile”. Un esempio è il riavvicinamento tra Stati Uniti e Cuba. Soddisfazione poi per la decisione statunitense di chiudere il carcere di Guantanamo. Un pensiero di speranza va inoltre al Burkina Faso, alle Filippine, alla Colombia e al Venezuela, come pure per “un’intesa definitiva” sul nucleare iraniano. Il Pontefice ricorda infine la nascita - dopo la Seconda Guerra Mondiale - dell’Onu, impegnato nei prossimi mesi con l’Agenda di sviluppo post-2015 e l’elaborazione di un nuovo "urgente" accordo sul clima.
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