giovedì, gennaio 22, 2015
Ieri sera Hadi ha detto di aver accettato molte delle richieste sciite, in cambio del ritiro dei miliziani da Sana’a. Gli Houthi confermano ma per ora restano fissi nelle loro postazioni. Cresce la presenza dell’Isis nel paese. 

NenaNews - L’accordo tra ribelli Houthi e presidente Hadi è stato raggiunto. Potrebbe così concludersi la crisi politica yemenita, aperta da mesi ma gravemente peggiorata sabato scorso con il rapimento del capo del gabinetto presidenziale Mubarak e la successiva presa del palazzo presidenziale da parte della minoranza sciita.

Il presidente Hadi, sotto assedio nella sua residenza di Sana’a, circondata da miliziani armati Houthi, ha accettato molte delle richieste della minoranza in merito a inclusione nel processo decisionale e revisione della bozza di costituzione. Lo ha annunciato ieri sera il segretario di Stato Usa, John Kerry. Alla stampa Kerry ha detto che la leadership Houthi ha riconosciuto la legittimità del presidente e che lo staff diplomatico statunitense è protetto e al sicuro. Una dichiarazione che fermerebbe il piano di evacuazione presentato dal Pentagono al presidente Obama martedì: già lunedì due navi da guerra Usa si erano spostate all’interno del Mar Rosso in previsione di un’evacuazione d’urgenza.


Poche ore prima fonti vicine al presidente avevano fatto sapere che Hadi aveva incontrato un ufficiale Houthi e che, in ogni caso, non si trovava agli arresti. In una dichiarazione di ieri sera, Hadi ha detto che gli Houthi hanno il diritto a occupare poltrone nelle istituzioni statali e che avrebbe dato il consenso ad una revisione della costituzione, in fase di redazione: “La bozza di costituzione è soggetta a emendamenti, cancellazioni e aggiunte. Le parti hanno stabilito di riaprire scuole, università e istituzioni statali”. Hadi ha poi aggiunto che gli Houthi hanno accettato di ritirare le proprie milizie dalle strade della capitale, dalla base militare occupata e dal palazzo presidenziale e di liberare il capo di gabinetto Mubarak. Oggi sono stati riaperti anche il porto e l’aeroporto di Aden, dopo la chiusura stabilita dalle autorità statali ieri a causa degli scontri a Sana’a.

Commenti sono giunti anche dai ribelli Houthi che, per bocca del leader Abdulmalik al-Houthi, hanno confermato il raggiungimento di un accordo con il presidente Hadi, sottolineando però che il ritiro dal palazzo presidenziale e il rilascio di Mubarak avverranno tra qualche giorno, una volta che le autorità implementeranno l’accordo. Certo è che Hadi ha accettato l’applicazione dell’Accordo di Partnership Nazionale.

Sfumerebbe così quello che i media internazionali hanno bollato come golpe. Resta incerto il destino delle armi contenute nel palazzo presidenziale e che gli Houthi, una volta occupato l’edificio, avrebbero sequestrato. Un ingente arsenale, secondo una delle guardie presidenziali, Mohammad Ibrahim, intervistato dai media arabi: 300 carri armati, 122 lancia-razzi, 500 veicoli militari, 400 fucili automatici e oltre mille fucili da cecchino.

Accordo o no, la situazione in Yemen non è certo stabile. Il paese è profondamente diviso dagli effetti della guerra civile, a cui si aggiunge la presenza di al-Qaeda, il cui braccio yemenita è considerato tra i più organizzati e violenti della rete globale islamista. Ma il pericolo non si ferma alla compagine di Ayman al-Zawahiri: secondo quanto riportato ieri dalla Cnn, anche l’Isis sarebbe attivo in Yemen, dove sta reclutando nuovi adepti in almeno tre province al centro e a sud, in quello che può essere considerato nuovo terreno di confronto con la madre ripudiata al-Qaeda. Già il mese scorso si sarebbero registrati scontri tra i miliziani dei due gruppi, secondo quanto riportato da un funzionario yemenita rimasto anonimo.

Secondo i servizi segreti Usa, l’Isis è presente in Yemen con centinaia di miliziani, ma non è ancora in grado di competere con Al Qaeda, principale forza islamista nel paese, che di miliziani ne conta migliaia. Nonostante ciò il califfo sarebbe pronto al grande balzo: “Lo Yemen è importante per l’Islam – ha commentato alla Cnn Katherine Zimmerman, ricercatrice dell’American Enterprise Institute – È il principale rifornitore di combattenti in Afghanistan, Iraq e ora Siria. C’è una sorta di conduttura di reclutamento in cui l’Isis vorrebbe infilarsi”.


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