Continua la campagna anti-islamista di al-Sisi. Amnesty International accusa le autorità del Cairo di uso eccessivo della forza dopo la morte di 27 manifestanti la scorsa settimana.
Nena News - Condannati a morte oltre 180 sostenitori dei fratelli musulmani - Oggi una corte egiziana ha confermato le condanne a morte per 183 sostenitori dei Fratelli Musulmani, accusati di aver ucciso 16 poliziotti nell’agosto 2013 durante scontri nella città di Kerdasa, vicino Il Cairo. Sono quasi mille i membri o sostenitori della Fratellanza condannati alla pena capitale.
Una buona notizia dall’Egitto: uno dei giornalisti di Al Jazeera detenuti dal dicembre 2013, Peter Greste, è stato liberato ierie deportato in Australia. La brutta notizia è che i due colleghi, Mohamed Fadel Fahmy e Baher Mohamed, restano dietro le sbarre. Tutti e tre erano stati condannati più di un anno fa alla prigione con l’accusa di sostenere i Fratelli Musulmani, contro i quali il presidente al-Sisi ha lanciato una vera e propria crociata.
La campagna anti-islamista lanciata dopo il golpe del 3 luglio 2013, che ha deposto il presidente eletto Morsi (ancora in prigione) prosegue spedita, accompagnata dalla dura repressione delle voci critiche da parte del Cairo. Secondo un nuovo rapporto di Amnesty International pubblicato ieri, le autorità egiziane sono colpevoli di intimidazioni e insabbiamento delle prove contro le forze di sicurezza responsabili dell’uccisione in tre giorni di 27 manifestanti durante l’anniversario della rivoluzione, lo scorso 25 gennaio.
La polizia, scrive Amnesty, ha usato forza eccessiva per disperdere le manifestazioni, provocando la morte – tra gli altri – della nota attivista Shaimaa el-Sabbagh, di una 17enne e di un bambino di soli 10 anni. Basandosi sulle testimonianze dei presenti, su foto e video girati durante gli scontri, Amnesty accusa il Cairo di aver aperto il fuoco “indiscriminatamente contro folle di manifestanti che non rappresentavano alcuna minaccia”. Centinaia di manifestanti sono stati arrestati e non hanno avuto accesso ai propri legali per oltre 24 ore, una violazione della stessa legge egiziana.
Alle repressioni interne si aggiunge la campagna anti-islamista fuori: dopo aver preso una serie di dure misure restrittive contro la Striscia di Gaza (dalla distruzione dei tunnel sotterranei alla chiusura del valico di Rafah, fino alla creazione di una zona cuscinetto), sabato scorso la corte egiziana del Cairo ha inserito Hamas – braccio palestinese della Fratellanza Musulmana – e le Brigate al Qassam nella lista delle organizzazioni terroristiche. “Rigettiamo la decisione della corte – ha commentato il portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri – Una decisione politica e pericolosa che aiuta l’occupazione sionista”.
Al-Sisi reputa Hamas tra i responsabili della grave instabilità che da anni regna nella Penisola del Sinai, seppure il movimento palestinese abbia sempre rigettato le accuse. Una fonte vicina alla leadership di Hamas ha fatto sapere che, dopo la sentenza della corte, “l’Egitto non può più essere considerato un mediatore legittimo in merito alla questione israelo-palestinese”. Un ruolo che al-Sisi ha saputo sfruttare a proprio favore, durante l’ultimo sanguinoso attacco israeliano contro la Striscia di Gaza: a differenza del predecessore Morsi, l’ex generale ha costretto Hamas ad accettare un cessate il fuoco fine a se stesso, senza ottenere in cambio nessun tipo di alleviamento dell’assedio.
A favore della campagna di al-Sisi, che trova sempre maggiore consenso tra i media e l’opinione pubblica egiziani, le ripetute azioni compiute da miliziani islamisti in Sinai. L’ultimo si è verificato giovedì notte, quando una serie di attacchi ha colpito diverse città della regione, uccidendo 32 membri delle forze militari egiziane. A rivendicare l’attacco è stata l’organizzazione Ansar Beit al-Maqdis, da poco affiliatasi all’Isis di al-Baghdadi. Ieri gli scontri sono ripresi: tre donne sono morte a Rafah, due colpite dall’esplosione di una granata, lanciata da miliziani contro un checkpoint militare, e una terza uccisa durante un confronto a fuoco tra islamisti e esercito egiziano.
Nena News - Condannati a morte oltre 180 sostenitori dei fratelli musulmani - Oggi una corte egiziana ha confermato le condanne a morte per 183 sostenitori dei Fratelli Musulmani, accusati di aver ucciso 16 poliziotti nell’agosto 2013 durante scontri nella città di Kerdasa, vicino Il Cairo. Sono quasi mille i membri o sostenitori della Fratellanza condannati alla pena capitale.
Una buona notizia dall’Egitto: uno dei giornalisti di Al Jazeera detenuti dal dicembre 2013, Peter Greste, è stato liberato ierie deportato in Australia. La brutta notizia è che i due colleghi, Mohamed Fadel Fahmy e Baher Mohamed, restano dietro le sbarre. Tutti e tre erano stati condannati più di un anno fa alla prigione con l’accusa di sostenere i Fratelli Musulmani, contro i quali il presidente al-Sisi ha lanciato una vera e propria crociata.
La campagna anti-islamista lanciata dopo il golpe del 3 luglio 2013, che ha deposto il presidente eletto Morsi (ancora in prigione) prosegue spedita, accompagnata dalla dura repressione delle voci critiche da parte del Cairo. Secondo un nuovo rapporto di Amnesty International pubblicato ieri, le autorità egiziane sono colpevoli di intimidazioni e insabbiamento delle prove contro le forze di sicurezza responsabili dell’uccisione in tre giorni di 27 manifestanti durante l’anniversario della rivoluzione, lo scorso 25 gennaio.
La polizia, scrive Amnesty, ha usato forza eccessiva per disperdere le manifestazioni, provocando la morte – tra gli altri – della nota attivista Shaimaa el-Sabbagh, di una 17enne e di un bambino di soli 10 anni. Basandosi sulle testimonianze dei presenti, su foto e video girati durante gli scontri, Amnesty accusa il Cairo di aver aperto il fuoco “indiscriminatamente contro folle di manifestanti che non rappresentavano alcuna minaccia”. Centinaia di manifestanti sono stati arrestati e non hanno avuto accesso ai propri legali per oltre 24 ore, una violazione della stessa legge egiziana.
Alle repressioni interne si aggiunge la campagna anti-islamista fuori: dopo aver preso una serie di dure misure restrittive contro la Striscia di Gaza (dalla distruzione dei tunnel sotterranei alla chiusura del valico di Rafah, fino alla creazione di una zona cuscinetto), sabato scorso la corte egiziana del Cairo ha inserito Hamas – braccio palestinese della Fratellanza Musulmana – e le Brigate al Qassam nella lista delle organizzazioni terroristiche. “Rigettiamo la decisione della corte – ha commentato il portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri – Una decisione politica e pericolosa che aiuta l’occupazione sionista”.
Al-Sisi reputa Hamas tra i responsabili della grave instabilità che da anni regna nella Penisola del Sinai, seppure il movimento palestinese abbia sempre rigettato le accuse. Una fonte vicina alla leadership di Hamas ha fatto sapere che, dopo la sentenza della corte, “l’Egitto non può più essere considerato un mediatore legittimo in merito alla questione israelo-palestinese”. Un ruolo che al-Sisi ha saputo sfruttare a proprio favore, durante l’ultimo sanguinoso attacco israeliano contro la Striscia di Gaza: a differenza del predecessore Morsi, l’ex generale ha costretto Hamas ad accettare un cessate il fuoco fine a se stesso, senza ottenere in cambio nessun tipo di alleviamento dell’assedio.
A favore della campagna di al-Sisi, che trova sempre maggiore consenso tra i media e l’opinione pubblica egiziani, le ripetute azioni compiute da miliziani islamisti in Sinai. L’ultimo si è verificato giovedì notte, quando una serie di attacchi ha colpito diverse città della regione, uccidendo 32 membri delle forze militari egiziane. A rivendicare l’attacco è stata l’organizzazione Ansar Beit al-Maqdis, da poco affiliatasi all’Isis di al-Baghdadi. Ieri gli scontri sono ripresi: tre donne sono morte a Rafah, due colpite dall’esplosione di una granata, lanciata da miliziani contro un checkpoint militare, e una terza uccisa durante un confronto a fuoco tra islamisti e esercito egiziano.
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