In un rapporto presentato ieri a Tunisi, l’Ong statunitense Human Rights Watch ha denunciato le minacce, le aggressioni, i rapimenti e le uccisioni che subiscono gli operatori dell’informazione nel Paese. Accusate le autorità libiche per il “clima di impunità”.
Nena News - I giornalisti nella Libia post-rivoluzionaria sono sotto costante minaccia di attacchi e hanno perso quel po’ di libertà di stampa concessa ai tempi del regime di Mu’ammar Gheddafi. E’ quanto emerge da un rapporto di 54 pagine dal titolo “Guerra ai media: giornalisti sotto attacco in Libia” presentato ieri in Tunisia da Human Rights Watch (HRW).
Secondo quanto riferisce l’Ong statunitense, gli operatori dell’informazione in Libia sono “aggrediti, rapiti e uccisi impunemente”. “Tra le 250 persone uccise nel 2014 in omicidi presumibilmente a sfondo politico – si legge nel documento – ci sono anche i giornalisti”. Dalla metà del 2012 al novembre 2014 sono documentati “almeno 91 casi di minacce e di aggressioni contro di loro, 14 dei quali hanno avuto come vittime le donne”. Ma il dato più inquietante che emerge dallo studio dell’Ong è che, in questo breve lasso di tempo, sono stati 30 i giornalisti rapiti e 8 quelli uccisi.
Sempre nello stesso periodo, sottolinea HRW, si sono registrati “26 attacchi armati” contro le sedi di giornali e tv. Attacchi avvenuti, secondo Human Rights Watch, per punire i giornalisti per i loro servizi, articoli, opinioni o simpatie [politiche]”. Sul banco degli imputati finiscono le autorità locali che non sono riuscite a proteggere il lavoro degli operatori dell’informazione preferendo piuttosto “spazzare via gran parte della libertà di espressione conquistata dopo la rivolta del 2011 [contro Gheddafi]”. “Le autorità – afferma lo studio – non sono riuscite a processare chi ha compiuto gli attacchi contro i giornalisti e i mezzi d’informazione. Tuttavia, i tribunali hanno denunciato le persone – tra cui anche i giornalisti – per reati connessi alla libertà di espressione”. Secondo Joe Stork, vice capo di HRW per il Medio Oriente e Nord Africa, la mano leggera delle istituzioni contro gli aggressori “ha permesso alle milizie di assaltarli, minacciarli, rapirli e persino ucciderli”.
“Le autorità di governo e gli attori non statali che controllano il territorio dovrebbero condannare urgentemente gli attacchi contro i giornalisti e, dove possibile, processare [gli autori delle violenze]” ha aggiunto Stork. A fargli eco è Hanan Saleh, ricercatrice presso l’organizzazione. Saleh parla di “cultura dell’impunità”: “molti giornalisti non vogliono denunciare alla polizia [le aggressioni che hanno subito] perché ritengono che le forze dell’ordine e il sistema giudiziario non possano fare molto per aiutarli a fare giustizia”.
Sempre nello stesso periodo, sottolinea HRW, si sono registrati “26 attacchi armati” contro le sedi di giornali e tv. Attacchi avvenuti, secondo Human Rights Watch, per punire i giornalisti per i loro servizi, articoli, opinioni o simpatie [politiche]”. Sul banco degli imputati finiscono le autorità locali che non sono riuscite a proteggere il lavoro degli operatori dell’informazione preferendo piuttosto “spazzare via gran parte della libertà di espressione conquistata dopo la rivolta del 2011 [contro Gheddafi]”. “Le autorità – afferma lo studio – non sono riuscite a processare chi ha compiuto gli attacchi contro i giornalisti e i mezzi d’informazione. Tuttavia, i tribunali hanno denunciato le persone – tra cui anche i giornalisti – per reati connessi alla libertà di espressione”. Secondo Joe Stork, vice capo di HRW per il Medio Oriente e Nord Africa, la mano leggera delle istituzioni contro gli aggressori “ha permesso alle milizie di assaltarli, minacciarli, rapirli e persino ucciderli”.
“Le autorità di governo e gli attori non statali che controllano il territorio dovrebbero condannare urgentemente gli attacchi contro i giornalisti e, dove possibile, processare [gli autori delle violenze]” ha aggiunto Stork. A fargli eco è Hanan Saleh, ricercatrice presso l’organizzazione. Saleh parla di “cultura dell’impunità”: “molti giornalisti non vogliono denunciare alla polizia [le aggressioni che hanno subito] perché ritengono che le forze dell’ordine e il sistema giudiziario non possano fare molto per aiutarli a fare giustizia”.
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