Aprite il vostro cuore a Cristo, la Chiesa vi accoglie se smettete di servire il male.
Radio Vaticana - È il nuovo invito rivolto da Francesco ai membri delle organizzazioni malavitose. Il Papa lo ha lanciato durante l’incontro con le migliaia di pellegrini giunti in Aula Paolo VI dalla diocesi calabrese di Cassano all'Jonio, guidati dal loro vescovo, Nunzio Galantino, segretario della Conferenza episcopale italiana. Il servizio di Alessandro De Carolis:
L’Aula Paolo VI come la piana di Sibari. Otto mesi più tardi il grido accorato è più sfumato, ma anche senza il riverbero registrato quel giorno nel grande spazio aperto, davanti a oltre 200 mila persone, l’impatto delle parole di Francesco echeggia con identica forza in Aula Paolo VI di fronte ai settemila che la riempiono. Uomini della malavita, ripete Francesco, abbandonate questa strada e passate dalla parte del bene:
“A quanti hanno scelto la via del male e sono affiliati a organizzazioni malavitose rinnovo il pressante invito alla conversione. Aprite il vostro cuore al Signore! Aprite il vostro cuore al Signore! Il Signore vi aspetta e la Chiesa vi accoglie se, come pubblica è stata la vostra scelta di servire il male, chiara e pubblica sarà anche la vostra volontà di servire il bene”.
Un segno di croce non basta
Francesco solleva come sua abitudine il velo delle ipocrisie dietro il quale tutti, comprese le persone di fede, sono tentati di camuffarsi. E dunque, riafferma che non ci si può dire cristiani e poi “violare la dignità delle persone”. Gesù, dice, i demoni “non li invitava a pranzo”, ma “li cacciava via”:
“I gesti esteriori di religiosità non accompagnati da vera e pubblica conversione non bastano per considerarsi in comunione con Cristo e con la sua Chiesa. I gesti esteriori di religiosità non bastano per accreditare come credenti quanti, con la cattiveria e l’arroganza tipica dei malavitosi, fanno dell’illegalità il loro stile di vita”.
Non sfregiare la terra
Tuttavia, non è necessario essere affiliato a un clan e prosperare nel crimine per ritenersi al riparo da un certo tipo di male. Anche un cristiano, sostiene, può “programmare e consumare gesti di violenza contro gli altri e contro l’ambiente”:
“Cari fratelli e sorelle di Cassano, la bellezza della vostra terra è un dono di Dio e un patrimonio da conservare e tramandare in tutto il suo splendore alle future generazioni. Pertanto occorre l’impegno coraggioso di tutti, ad iniziare dalle Istituzioni, affinché essa non sia sfregiata in maniera irreparabile da interessi meschini”.
Il tempo della speranza
L’esempio di chi ha scelto non il profilo delle delinquenza ma, all’opposto, quello del “buon Samaritano” viene dai membri della “Comunità Emmanuel”, a centinaia in Aula Paolo VI con la loro sciarpa verde al collo. Francesco elogia a lungo questa “bellezza”, come la chiama, della terra calabrese e il suo servizio nei riguardi delle varie categorie di emarginati:
“Il nostro tempo ha un grande bisogno di speranza! Ai giovani non può essere impedito di sperare (…). Pertanto esorto le vostre comunità cristiane ad essere protagoniste di solidarietà, a non fermarsi di fronte a chi, per mero interesse personale, semina egoismo, violenza e ingiustizia. Opponetevi alla cultura della morte e siate testimoni del Vangelo della vita!”.
L’ora di un altro pastore
All’inizio dell’incontro, Papa Francesco aveva scherzato e insieme lanciato un messaggio alla comunità diocesana di Cassano all'Jonio circa il suo pastore, mons. Galantino, impegnato sul doppio fronte pastorale locale e su quello nazionale ai vertici della Cei:
“Ringrazio voi per averlo lasciato a disposizione della Conferenza episcopale l’anno scorso. Grazie tante! Grazie tante, di cuore. Ma povero uomo, durante quest’anno va e viene, va e viene… Credo che sia il momento di pensare di darvi un altro Pastore (i pellegrini rispondono: ‘No!’) Ma forse voi gli fareste una statua grande, lo ricorderete”.
L’Aula Paolo VI come la piana di Sibari. Otto mesi più tardi il grido accorato è più sfumato, ma anche senza il riverbero registrato quel giorno nel grande spazio aperto, davanti a oltre 200 mila persone, l’impatto delle parole di Francesco echeggia con identica forza in Aula Paolo VI di fronte ai settemila che la riempiono. Uomini della malavita, ripete Francesco, abbandonate questa strada e passate dalla parte del bene:
“A quanti hanno scelto la via del male e sono affiliati a organizzazioni malavitose rinnovo il pressante invito alla conversione. Aprite il vostro cuore al Signore! Aprite il vostro cuore al Signore! Il Signore vi aspetta e la Chiesa vi accoglie se, come pubblica è stata la vostra scelta di servire il male, chiara e pubblica sarà anche la vostra volontà di servire il bene”.
Un segno di croce non basta
Francesco solleva come sua abitudine il velo delle ipocrisie dietro il quale tutti, comprese le persone di fede, sono tentati di camuffarsi. E dunque, riafferma che non ci si può dire cristiani e poi “violare la dignità delle persone”. Gesù, dice, i demoni “non li invitava a pranzo”, ma “li cacciava via”:
“I gesti esteriori di religiosità non accompagnati da vera e pubblica conversione non bastano per considerarsi in comunione con Cristo e con la sua Chiesa. I gesti esteriori di religiosità non bastano per accreditare come credenti quanti, con la cattiveria e l’arroganza tipica dei malavitosi, fanno dell’illegalità il loro stile di vita”.
Non sfregiare la terra
Tuttavia, non è necessario essere affiliato a un clan e prosperare nel crimine per ritenersi al riparo da un certo tipo di male. Anche un cristiano, sostiene, può “programmare e consumare gesti di violenza contro gli altri e contro l’ambiente”:
“Cari fratelli e sorelle di Cassano, la bellezza della vostra terra è un dono di Dio e un patrimonio da conservare e tramandare in tutto il suo splendore alle future generazioni. Pertanto occorre l’impegno coraggioso di tutti, ad iniziare dalle Istituzioni, affinché essa non sia sfregiata in maniera irreparabile da interessi meschini”.
Il tempo della speranza
L’esempio di chi ha scelto non il profilo delle delinquenza ma, all’opposto, quello del “buon Samaritano” viene dai membri della “Comunità Emmanuel”, a centinaia in Aula Paolo VI con la loro sciarpa verde al collo. Francesco elogia a lungo questa “bellezza”, come la chiama, della terra calabrese e il suo servizio nei riguardi delle varie categorie di emarginati:
“Il nostro tempo ha un grande bisogno di speranza! Ai giovani non può essere impedito di sperare (…). Pertanto esorto le vostre comunità cristiane ad essere protagoniste di solidarietà, a non fermarsi di fronte a chi, per mero interesse personale, semina egoismo, violenza e ingiustizia. Opponetevi alla cultura della morte e siate testimoni del Vangelo della vita!”.
L’ora di un altro pastore
All’inizio dell’incontro, Papa Francesco aveva scherzato e insieme lanciato un messaggio alla comunità diocesana di Cassano all'Jonio circa il suo pastore, mons. Galantino, impegnato sul doppio fronte pastorale locale e su quello nazionale ai vertici della Cei:
“Ringrazio voi per averlo lasciato a disposizione della Conferenza episcopale l’anno scorso. Grazie tante! Grazie tante, di cuore. Ma povero uomo, durante quest’anno va e viene, va e viene… Credo che sia il momento di pensare di darvi un altro Pastore (i pellegrini rispondono: ‘No!’) Ma forse voi gli fareste una statua grande, lo ricorderete”.
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