Un’intervista a tutto campo, incentrata soprattutto su cosa significhi “essere Papa”.
Radio Vaticana - E’ quella concessa da Francesco al quotidiano argentino “La Voz del Pueblo”. Il Pontefice parla a lungo del suo rapporto con la gente, del suo amore per i poveri, di come trascorre le sue giornate, delle sue speranze e preoccupazioni. “Vorrei tanto andare a mangiare una pizza”, scherza con il giornalista Juan Berretta, “sono sempre stato un camminatore” e questa è una cosa che “mi manca”. Una sintesi della conversazione di Papa Francesco con “La Voz del Pueblo” nel servizio di Alessandro Gisotti:
“Perché ripete sempre: ‘pregate per me’”? “Perché ne ho bisogno. Ho bisogno che mi sostenga la preghiera del popolo. E’ una necessità interiore”. E’ uno dei passaggi dell’intervista rilasciata da Papa Francesco al giornalista Juan Berretta del quotidiano argentino “La Voz del Pueblo”. Una conversazione svoltasi a Casa Santa Marta in un clima familiare ricca di racconti inediti sulla vita personale del Papa “venuto dalla fine del mondo”. Jorge Mario Bergoglio ribadisce che mai aveva pensato di essere eletto alla Cattedra di Pietro e scherzando ricorda che, all’ultimo Conclave, i bookmakers inglesi lo davano solo al 46.mo posto. Al tempo stesso, però, sottolinea che “la vita di un religioso, di un gesuita, cambia a seconda delle necessità” e che quando è stato eletto si è affidato totalmente a Dio, “pregando il Rosario, tranquillo” durante lo spoglio delle schede che, confida, sembravano durare un’eternità.
Stare con la gente mi fa bene, sento che mi comprende Francesco risponde dunque ad una domanda sul suo rapporto eccezionale con il popolo e in particolare sul “magnetismo che genera nella gente”. “Non so bene perché questo succede”, ammette, tuttavia “è come se la gente comprendesse ciò che desidero dire”. “Tento di essere concreto – prosegue – e questo che voi chiamate magnetismo certi cardinali mi dicono che ha a che vedere con il fatto che la gente mi capisce”. Del resto, prosegue, stare con la gente “mi fa bene”, è come se “la mia vita si amalgami con la gente” ed io “psicologicamente non posso vivere” senza di essa.
Mi manca andare a mangiare una buona pizza, non amo il protocollo Il Papa confessa dunque quali sono le cose che più gli mancano rispetto agli anni argentini: “Uscire per strada, andare a camminare per le strade. Oppure – aggiunge ridendo – andare in una pizzeria a mangiare una pizza”. “Ma può ordinarla e farla portare in Vaticano”, osserva il giornalista. “Sì – è la risposta di Francesco – ma non è lo stesso. Il bello è andare lì. Io sono sempre stato un camminatore. Da cardinale mi incantava camminare per le strade” ma anche in “metro”; la “città mi incanta, sono un cittadino nell’anima”. Un giorno, rivela, “sono salito in macchina con l’autista e mi sono dimenticato di chiudere il finestrino” ed è “successo un putiferio”, io stavo “nel posto accanto al guidatore” e “la gente non faceva passare la macchina” perché si era accorta che c’era il Papa. E’ vero, ammette, che “ho la fama di indisciplinato, il protocollo non lo seguo molto, lo sento freddo” però quando ci sono “cose ufficiali” mi attengo “totalmente”.
Dormo tranquillo, mi sveglio alle 4 ma non rinuncio alla siesta Il giornalista de “La Voz del Pueblo” chiede dunque al Papa se riesca a dormire nonostante le tante tensioni legate al suo ruolo. “Ho un sonno così profondo – risponde – che mi metto a letto e mi addormento”. “Dormo sei ore – precisa – normalmente alle 9 vado in stanza e leggo quasi fino alle dieci, quando mi comincia a lacrimare un occhio spengo la luce e resto a dormire fino alle 4 quando mi sveglio da solo, è il mio orologio biologico”. Però, aggiunge, “ho bisogno della siesta. Devo dormire dai 40 minuti a un’ora, mi tolgo le scarpe e mi ritiro al letto”. E confida che ne risente nei giorni in cui non può fare la “siesta”. Il Papa rivela poi che in questo periodo sta leggendo “San Silvano del Monte Athos, un gran maestro spirituale”.
Le lacrime per chi soffre, la commozione per malati e carcerati Più volte in omelie e discorsi, il Pontefice ha parlato dell’importanza del saper piangere. Nell’intervista afferma dunque di aver pianto pensando ai “drammi umani” e cita in particolare a quanto sta succedendo al “popolo rohingya” e, in generale, ai “bambini malati”. “Quando vedo questi creature – afferma – chiedo al Signore: ‘Perché a loro e non a me?’”. Ancora, Francesco spiega di commuoversi quando va in visita nelle carceri perché pensa che “nessuno di noi può essere sicuro di non commettere mai un crimine” e quindi “finire in prigione”. Rispetto ai carcerati, il Papa si chiede “perché non hanno avuto l’opportunità” che ha avuto lui “di non fare qualcosa che mi avrebbe portato al carcere” e questo lo porta ad “un pianto interiore”. Tuttavia, soggiunge, “non piango pubblicamente”, “mi è capitato due volte di stare al limite ma mi sono fermato in tempo”, una volta ricordando “le persecuzioni dei cristiani in Iraq, pensando ai bambini”. “Perché non vuole che la si veda piangere?”, chiede Juan Berretta. “Non lo so – è la risposta – mi sembra che debba andare avanti”.
Le pressioni non mancano, sto tenendo un ritmo di lavoro intenso Francesco dice di essere “un temerario” come carattere e dunque “in generale di non avere paura”. Riguardo al pericolo attentati, afferma di “sentirsi nelle mani di Dio”, ma ribadisce di avere paura “del dolore fisico”. “Sono molto pauroso su questo – ammette con franchezza – non che abbia paura di un’iniezione, però preferisco non avere problemi con il dolore fisico”. Il Papa parla poi delle "pressioni" legate al suo ministero. “In questo momento – afferma – quello che mi fa fatica è l’intensità del lavoro. Sto tenendo un ritmo di lavoro molto forte, è la sindrome della fine dell’anno scolastico, che finisce a giugno”. E poi, prosegue, “si aggiungono mille cose e problemi”; e, constata, “ci sono problemi che ti armano con quello che dici o non dici… i mezzi di comunicazione a volte prendono una parola e poi la decontestualizzano”. Quindi, a proposito dell’Argentina, sottolinea che non segue più l’evoluzione politica della sua nazione che, con un po’ di amarezza, definisce “un Paese di tante possibilità e tante opportunità perdute”.
Sono il Papa dei poveri? I poveri sono al centro del Vangelo “E’ contento che la definiscano il Papa dei poveri”?, chiede il giornalista. “La povertà – è la risposta di Francesco – è al centro del Vangelo. Gesù è venuto a predicare ai poveri, se voi togliete la povertà dal Vangelo non si comprende nulla”. E afferma che i mali peggiori del mondo di oggi sono: “la povertà, la corruzione, la tratta di persone”. Ancora, rileva che “sradicare la povertà” può essere considerata un’utopia, ma “le utopie ci mandano avanti” e sarebbe triste che un giovane non le avesse. Francesco enumera, dunque, tre punti che dovremmo tutti tenere a mente per affrontare i problemi della vita: “memoria, capacità di vedere il presente, utopia rivolta al futuro”. Infine, alla domanda su come vorrebbe essere ricordato, Francesco risponde con semplicità: “Come una persona che si è impegnata a fare del bene, non ho altra pretesa”.
Radio Vaticana - E’ quella concessa da Francesco al quotidiano argentino “La Voz del Pueblo”. Il Pontefice parla a lungo del suo rapporto con la gente, del suo amore per i poveri, di come trascorre le sue giornate, delle sue speranze e preoccupazioni. “Vorrei tanto andare a mangiare una pizza”, scherza con il giornalista Juan Berretta, “sono sempre stato un camminatore” e questa è una cosa che “mi manca”. Una sintesi della conversazione di Papa Francesco con “La Voz del Pueblo” nel servizio di Alessandro Gisotti:
“Perché ripete sempre: ‘pregate per me’”? “Perché ne ho bisogno. Ho bisogno che mi sostenga la preghiera del popolo. E’ una necessità interiore”. E’ uno dei passaggi dell’intervista rilasciata da Papa Francesco al giornalista Juan Berretta del quotidiano argentino “La Voz del Pueblo”. Una conversazione svoltasi a Casa Santa Marta in un clima familiare ricca di racconti inediti sulla vita personale del Papa “venuto dalla fine del mondo”. Jorge Mario Bergoglio ribadisce che mai aveva pensato di essere eletto alla Cattedra di Pietro e scherzando ricorda che, all’ultimo Conclave, i bookmakers inglesi lo davano solo al 46.mo posto. Al tempo stesso, però, sottolinea che “la vita di un religioso, di un gesuita, cambia a seconda delle necessità” e che quando è stato eletto si è affidato totalmente a Dio, “pregando il Rosario, tranquillo” durante lo spoglio delle schede che, confida, sembravano durare un’eternità.
Stare con la gente mi fa bene, sento che mi comprende Francesco risponde dunque ad una domanda sul suo rapporto eccezionale con il popolo e in particolare sul “magnetismo che genera nella gente”. “Non so bene perché questo succede”, ammette, tuttavia “è come se la gente comprendesse ciò che desidero dire”. “Tento di essere concreto – prosegue – e questo che voi chiamate magnetismo certi cardinali mi dicono che ha a che vedere con il fatto che la gente mi capisce”. Del resto, prosegue, stare con la gente “mi fa bene”, è come se “la mia vita si amalgami con la gente” ed io “psicologicamente non posso vivere” senza di essa.
Mi manca andare a mangiare una buona pizza, non amo il protocollo Il Papa confessa dunque quali sono le cose che più gli mancano rispetto agli anni argentini: “Uscire per strada, andare a camminare per le strade. Oppure – aggiunge ridendo – andare in una pizzeria a mangiare una pizza”. “Ma può ordinarla e farla portare in Vaticano”, osserva il giornalista. “Sì – è la risposta di Francesco – ma non è lo stesso. Il bello è andare lì. Io sono sempre stato un camminatore. Da cardinale mi incantava camminare per le strade” ma anche in “metro”; la “città mi incanta, sono un cittadino nell’anima”. Un giorno, rivela, “sono salito in macchina con l’autista e mi sono dimenticato di chiudere il finestrino” ed è “successo un putiferio”, io stavo “nel posto accanto al guidatore” e “la gente non faceva passare la macchina” perché si era accorta che c’era il Papa. E’ vero, ammette, che “ho la fama di indisciplinato, il protocollo non lo seguo molto, lo sento freddo” però quando ci sono “cose ufficiali” mi attengo “totalmente”.
Dormo tranquillo, mi sveglio alle 4 ma non rinuncio alla siesta Il giornalista de “La Voz del Pueblo” chiede dunque al Papa se riesca a dormire nonostante le tante tensioni legate al suo ruolo. “Ho un sonno così profondo – risponde – che mi metto a letto e mi addormento”. “Dormo sei ore – precisa – normalmente alle 9 vado in stanza e leggo quasi fino alle dieci, quando mi comincia a lacrimare un occhio spengo la luce e resto a dormire fino alle 4 quando mi sveglio da solo, è il mio orologio biologico”. Però, aggiunge, “ho bisogno della siesta. Devo dormire dai 40 minuti a un’ora, mi tolgo le scarpe e mi ritiro al letto”. E confida che ne risente nei giorni in cui non può fare la “siesta”. Il Papa rivela poi che in questo periodo sta leggendo “San Silvano del Monte Athos, un gran maestro spirituale”.
Le lacrime per chi soffre, la commozione per malati e carcerati Più volte in omelie e discorsi, il Pontefice ha parlato dell’importanza del saper piangere. Nell’intervista afferma dunque di aver pianto pensando ai “drammi umani” e cita in particolare a quanto sta succedendo al “popolo rohingya” e, in generale, ai “bambini malati”. “Quando vedo questi creature – afferma – chiedo al Signore: ‘Perché a loro e non a me?’”. Ancora, Francesco spiega di commuoversi quando va in visita nelle carceri perché pensa che “nessuno di noi può essere sicuro di non commettere mai un crimine” e quindi “finire in prigione”. Rispetto ai carcerati, il Papa si chiede “perché non hanno avuto l’opportunità” che ha avuto lui “di non fare qualcosa che mi avrebbe portato al carcere” e questo lo porta ad “un pianto interiore”. Tuttavia, soggiunge, “non piango pubblicamente”, “mi è capitato due volte di stare al limite ma mi sono fermato in tempo”, una volta ricordando “le persecuzioni dei cristiani in Iraq, pensando ai bambini”. “Perché non vuole che la si veda piangere?”, chiede Juan Berretta. “Non lo so – è la risposta – mi sembra che debba andare avanti”.
Le pressioni non mancano, sto tenendo un ritmo di lavoro intenso Francesco dice di essere “un temerario” come carattere e dunque “in generale di non avere paura”. Riguardo al pericolo attentati, afferma di “sentirsi nelle mani di Dio”, ma ribadisce di avere paura “del dolore fisico”. “Sono molto pauroso su questo – ammette con franchezza – non che abbia paura di un’iniezione, però preferisco non avere problemi con il dolore fisico”. Il Papa parla poi delle "pressioni" legate al suo ministero. “In questo momento – afferma – quello che mi fa fatica è l’intensità del lavoro. Sto tenendo un ritmo di lavoro molto forte, è la sindrome della fine dell’anno scolastico, che finisce a giugno”. E poi, prosegue, “si aggiungono mille cose e problemi”; e, constata, “ci sono problemi che ti armano con quello che dici o non dici… i mezzi di comunicazione a volte prendono una parola e poi la decontestualizzano”. Quindi, a proposito dell’Argentina, sottolinea che non segue più l’evoluzione politica della sua nazione che, con un po’ di amarezza, definisce “un Paese di tante possibilità e tante opportunità perdute”.
Sono il Papa dei poveri? I poveri sono al centro del Vangelo “E’ contento che la definiscano il Papa dei poveri”?, chiede il giornalista. “La povertà – è la risposta di Francesco – è al centro del Vangelo. Gesù è venuto a predicare ai poveri, se voi togliete la povertà dal Vangelo non si comprende nulla”. E afferma che i mali peggiori del mondo di oggi sono: “la povertà, la corruzione, la tratta di persone”. Ancora, rileva che “sradicare la povertà” può essere considerata un’utopia, ma “le utopie ci mandano avanti” e sarebbe triste che un giovane non le avesse. Francesco enumera, dunque, tre punti che dovremmo tutti tenere a mente per affrontare i problemi della vita: “memoria, capacità di vedere il presente, utopia rivolta al futuro”. Infine, alla domanda su come vorrebbe essere ricordato, Francesco risponde con semplicità: “Come una persona che si è impegnata a fare del bene, non ho altra pretesa”.
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