«I miei fedeli hanno perso tutto perché hanno conservato la loro fede. Non sappiamo quale futuro ci attende, ma continuiamo ad avere fiducia in Dio».
Così dichiara ad Aiuto alla Chiesa che Soffre monsignor Yoanna Petros Mouche, arcivescovo siro-cattolico di Mosul, durante una visita alla sede italiana di ACS. Il presule ha ricordato la presa di Mosul da parte dello Stato Islamico, avvenuta nella notte tra il 9 e il 10 giugno 2014. «Ci siamo sentiti traditi dall’esercito iracheno, che si è ritirato rapidamente lasciando la città nelle mani di Isis». Monsignor Mouche racconta inoltre come nei giorni successivi alla conquista di Mosul, gli uomini dello Stato Islamico si siano mostrati amichevoli nei confronti dei cristiani. «Ovviamente volevano convincerci a restare per colpirci poi con più facilità». A fine giugno il presule è stato contattato da uno degli uomini di al Baghdadi che desiderava incontrarlo in quanto rappresentante della Chiesa locale. Il presule ha compreso immediatamente che la riunione non sarebbe servita a trovare un’intesa, bensì ad imporre ai cristiani le condizioni dello Stato Islamico: convertirsi, pagare la jizya – la tassa imposta ai non musulmani – oppure lasciare la città.
La notte tra il 6 ed il 7 agosto monsignor Mouche si trovava a Qaraqosh, sua città natale e da qualche anno sede della diocesi, quando alle 11.30 di sera è giunta la notizia che l’esercito curdo era in procinto di ritirarsi permettendo allo Stato Islamico di entrare nel villaggio a maggioranza cristiana. «Per paura abbiamo abbandonato le nostre case senza prendere nulla, neanche i vestiti. Eravamo convinti che saremmo tornati il giorno dopo, ma sono ormai trascorsi più di otto mesi». Quella notte Qaraqosh è caduta nelle mani di Isis, assieme ad altri dodici villaggi cristiani.
Gli oltre 50mila fedeli della diocesi siro-cattolica di Mosul – circa 12mila famiglie – vivono ora nella condizione di rifugiati. La maggior parte di loro si trova in Kurdistan, ma circa 3mila famiglie sono già emigrate all’estero. «Cerco di tener insieme la mia diocesi e di incontrare tutti i miei fedeli per assisterli e svolgere quel poco di servizio pastorale che mi è possibile. Purtroppo non è semplice, soltanto in Kurdistan i siro-cattolici risiedono in 57 località diverse. Senza contare chi si è trasferito in Libano, Giordania, Turchia o in Europa». Alla diocesi guidata da monsignor Mouche appartiene un terzo dell’intera comunità siro-cattolica mondiale. «Non so se la mia diocesi esisterà ancora. Oggi non abbiamo certezza. Ma io non ho perso la speranza e continuo ad esortare i miei fedeli a pregare, affinché Dio converta il cuore dei nostri nemici e noi possiamo continuare a vivere nella nostra terra». Il suo pensiero va in particolare a Qaraqosh, simbolo della presenza cristiana in Iraq. «Senza una Qaraqosh cristiana, per noi l’Iraq non ha più valore. È meglio cercare un altro angolo di mondo dove possiamo vivere liberamente la nostra fede e ritrovare diritti e dignità umana». Dall’inizio della crisi irachena Aiuto alla Chiesa che Soffre ha donato oltre 4milioni e 800mila euro in progetti di assistenza ai rifugiati e di sostegno alla Chiesa locale.
Roma, 21 maggio 2015
“Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS), Fondazione di diritto pontificio fondata nel 1947 da padre Werenfried van Straaten, si contraddistingue come l’unica organizzazione che realizza progetti per sostenere la pastorale della Chiesa laddove essa è perseguitata o priva di mezzi per adempiere la sua missione. Nel 2013 ha raccolto oltre 88,3 milioni di euro nei 17 Paesi dove è presente con Sedi Nazionali e ha realizzato 5.420 progetti in 140 nazioni.
Così dichiara ad Aiuto alla Chiesa che Soffre monsignor Yoanna Petros Mouche, arcivescovo siro-cattolico di Mosul, durante una visita alla sede italiana di ACS. Il presule ha ricordato la presa di Mosul da parte dello Stato Islamico, avvenuta nella notte tra il 9 e il 10 giugno 2014. «Ci siamo sentiti traditi dall’esercito iracheno, che si è ritirato rapidamente lasciando la città nelle mani di Isis». Monsignor Mouche racconta inoltre come nei giorni successivi alla conquista di Mosul, gli uomini dello Stato Islamico si siano mostrati amichevoli nei confronti dei cristiani. «Ovviamente volevano convincerci a restare per colpirci poi con più facilità». A fine giugno il presule è stato contattato da uno degli uomini di al Baghdadi che desiderava incontrarlo in quanto rappresentante della Chiesa locale. Il presule ha compreso immediatamente che la riunione non sarebbe servita a trovare un’intesa, bensì ad imporre ai cristiani le condizioni dello Stato Islamico: convertirsi, pagare la jizya – la tassa imposta ai non musulmani – oppure lasciare la città.
La notte tra il 6 ed il 7 agosto monsignor Mouche si trovava a Qaraqosh, sua città natale e da qualche anno sede della diocesi, quando alle 11.30 di sera è giunta la notizia che l’esercito curdo era in procinto di ritirarsi permettendo allo Stato Islamico di entrare nel villaggio a maggioranza cristiana. «Per paura abbiamo abbandonato le nostre case senza prendere nulla, neanche i vestiti. Eravamo convinti che saremmo tornati il giorno dopo, ma sono ormai trascorsi più di otto mesi». Quella notte Qaraqosh è caduta nelle mani di Isis, assieme ad altri dodici villaggi cristiani.
Gli oltre 50mila fedeli della diocesi siro-cattolica di Mosul – circa 12mila famiglie – vivono ora nella condizione di rifugiati. La maggior parte di loro si trova in Kurdistan, ma circa 3mila famiglie sono già emigrate all’estero. «Cerco di tener insieme la mia diocesi e di incontrare tutti i miei fedeli per assisterli e svolgere quel poco di servizio pastorale che mi è possibile. Purtroppo non è semplice, soltanto in Kurdistan i siro-cattolici risiedono in 57 località diverse. Senza contare chi si è trasferito in Libano, Giordania, Turchia o in Europa». Alla diocesi guidata da monsignor Mouche appartiene un terzo dell’intera comunità siro-cattolica mondiale. «Non so se la mia diocesi esisterà ancora. Oggi non abbiamo certezza. Ma io non ho perso la speranza e continuo ad esortare i miei fedeli a pregare, affinché Dio converta il cuore dei nostri nemici e noi possiamo continuare a vivere nella nostra terra». Il suo pensiero va in particolare a Qaraqosh, simbolo della presenza cristiana in Iraq. «Senza una Qaraqosh cristiana, per noi l’Iraq non ha più valore. È meglio cercare un altro angolo di mondo dove possiamo vivere liberamente la nostra fede e ritrovare diritti e dignità umana». Dall’inizio della crisi irachena Aiuto alla Chiesa che Soffre ha donato oltre 4milioni e 800mila euro in progetti di assistenza ai rifugiati e di sostegno alla Chiesa locale.
Roma, 21 maggio 2015
“Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS), Fondazione di diritto pontificio fondata nel 1947 da padre Werenfried van Straaten, si contraddistingue come l’unica organizzazione che realizza progetti per sostenere la pastorale della Chiesa laddove essa è perseguitata o priva di mezzi per adempiere la sua missione. Nel 2013 ha raccolto oltre 88,3 milioni di euro nei 17 Paesi dove è presente con Sedi Nazionali e ha realizzato 5.420 progetti in 140 nazioni.
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