lunedì, luglio 13, 2015
Un tempo terreno di scontro tra le due super potenze, il ‘Dalni Vostok’ diventa palcoscenico per le prove di alleanza tra Mosca e Pechino. 

di Nina Achmatova 

Mosca (AsiaNews) - Dal vertice Brics, il capo di Stato russo invita le società della Repubblica popolare al prossimo Forum di Vladivostok e punta ad ottenere i necessari investimenti stranieri per le immense e remote regioni dell’Est, ricche di risorse. Analisti: Pechino non punta al controllo di asset russi ma ad assicurarsi la fornitura di materie prime necessarie alla sua crescita.

 Storicamente terra di rivalità territoriali e teatro di sanguinosi scontri tra i due eserciti, il cosiddetto ‘Lontano oriente russo’ (Dalni Vostok) è oggi il terreno su cui prova a concretizzarsi la nuova alleanza tra Mosca e Pechino, i cui legami - almeno economici e commerciali - sono stati rafforzati dal congelamento delle relazioni del Cremlino con l’Occidente per via della crisi ucraina. Un nuovo appello della Russia gli investitori cinesi, perché sviluppino con i loro capitali questo immenso territorio dalle grandi potenzialità, ma per decenni trascurato dal potere centrale, è arrivato di recente dal presidente Vladimir Putin.

Dal summit del Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), da lui ospitato a Ufa, ha auspicato il diretto contributo della Repubblica popolare a un progetto di sviluppo impensabile da sostenere solo con le forze russe e ha invitato il business cinese a partecipare al "Forum economico del Lontano Oriente russo", che si terrà il 4-5 settembre a Vladivostok. “Penso che le società cinesi potrebbero partecipare e dare un contributo alla realizzazione di quegli obiettivi che ci siamo prefissati in questa regione e, si capisce, anche con loro vantaggio”, ha dichiarato dall’appuntamento che ha riunito il blocco ‘alternativo’ all’Occidente dall’8 al 9 luglio scorsi.

Della questione si è discusso nel bilaterale con l’omologo Xi Jinping, a margine del summit, in cui si è parlato anche della visita Pechino del capo di Stato russo il prossimo 3 settembre e della volatilità dei mercati azionari cinesi, sulla cui stabilizzazione, però, le autorità russe hanno espresso fiducia nelle misure intraprese da Pechino.

L’idillio tra i due presidenti si è consumato mentre in Russia, però, l’opinione pubblica continua a vedere con sospetto la possibile “avanzata” cinese da Est. La firma di una lettera d’intenti fra il Territorio Trans-Baikal, in Siberia orientale, e la cinese Huae Sinban, in base alla quale quest’ultima prevede di investire circa 24 miliardi di rubli (circa 500 milioni di dollari) per lo sviluppo dell’agroalimentare locale, con un contratto di leasing a lungo termine per l’utilizzo di terreni agricoli attualmente non coltivati, ha sollevato diverse polemiche e le critiche dei deputati nazionalisti.

Data la vicinanza del ‘Dalni Vostok’ al confine cinese, i rapporti commerciali tra i due Paesi in quelle zone sono sempre stati fiorenti, ma quello che si sta compiendo in questi ultimi anni è un notevole salto di livello, con capitali dalla Repubblica popolare direttamente investiti in queste regioni, ricche di risorse: minerali di ferro, oro, carbone, idrocarburi, metalli e terre rare, tutti indispensabili a sfamare la crescita cinese. Con migliaia di chilometri quadrati di terre inesplorate, il Lontano oriente è il più grande degli otto distretti federali russi ed è abitato da appena 7,4 milioni di persone contro i 90 milioni di cinesi che abitano le zone oltre frontiera.

In seguito alla guerra di confine, nel 1969, Mosca e Pechino non hanno mai smesso di guardarsi con sospetto, ma i benefici reciproci che arrivano da commercio e investimenti hanno iniziato a erodere le vecchie ostilità. Si sono iniziate a creare Zone economiche speciali nella regione dell’Amur, la Regione autonoma ebraica e nei territori di Primorye e Khabarovsk; i cinesi vi hanno investito 3 miliardi di dollari in diversi progetti solo nel 2013, come ha riportato il China Daily. L’interscambio commerciale tra i due vicini è arrivato a 95,3 miliardi di dollari l’anno scorso, rendendo la Cina oggi il “partner commerciale numero uno” per la Russia, come ha detto Putin, che si è prefissato l’obiettivo di portare il dato a 200 miliardi.

“La Russia ha bisogno di cooperare con un altro Paese per aprire il Far East e il partner naturale è la Cina, che ha molte più risorse finanziarie di Giappone e Corea del Sud”, ha detto Boris Krasnojenov, analista di Renaissance Capital. Il maggiore problema risiede nelle infrastrutture: “La Cina non è interessata ad acquistare il controllo societario di compagnie russe - ha aggiunto l’analista - quello che vuole è garantirsi la fornitura stabile di materie prime e costruire le infrastrutture che le permettano di portarle sul suo mercato domestico”. La Cina si assicura materie prime e le società russe gli investimenti esteri di cui hanno bisogno: “è una soluzione win-win” ha fatto notare Svtelana Kostromitinov, esperta del settore dell’attività mineraria.

Per molti però la rilanciata alleanza sino-russa non si fermerà al campo degli investimenti. Quello che nella Federazione si teme più di tutto e su cui già ora si conducono controlli è l’immigrazione illegale: il Far East russo potrebbe diventare una valvola di sfogo per il miliardo e 300 milioni abitanti della Cina, otto volte il numero di quelli della Federazione. Con l’agricoltura che rappresenta una delle attività più in crescita nella regione e dall’impiego più stabile, rispetto al commercio su strada o l’edilizia (tipico dei migranti temporanei), si teme che sempre più cinesi aspirino a stabilirsi in territorio russo i modo permanente.


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