domenica, luglio 12, 2015
Un mondo più umano è possibile se non si resta inerti davanti a tante ingiustizie, un mondo più giusto e fraterno in cui non si sacrificano le persone sull'altare del denaro e del profitto: è quanto ha detto il Papa incontrando i rappresentanti della società civile del Paraguay nel Palazzetto dello Sport "León Condou" di Asunción. Il servizio di Sergio Centofanti:  

Radio Vaticana - Ad aprire l'incontro un'orchestra giovanile di strumenti riciclati, applauditissima. Poi si sono susseguite alcune testimonianze: una contadina a rappresentare i popoli indigeni e un'altra donna, dirigente degli industriali cristiani, e quattro uomini in rappresentanza dei movimenti cattolici e dei lavoratori del Paese, hanno parlato delle speranze, delle difficoltà e delle lotte in Paraguay per una società migliore. Papa Francesco apprezza le loro testimonianze forti, perché “un popolo che vive nell’inerzia dell’accettazione passiva – dice - è un popolo morto”. “Dio è sempre a favore di tutto ciò che aiuta a sollevare, a migliorare la vita dei suoi figli”, a vincere le “tante inequità” che scartano un numero sempre maggiore di persone.

“Quanto è importante" – esclama il Papa - che i giovani comprendano che "la vera felicità passa attraverso la lotta per un mondo più fraterno“ e giusto. “La felicità e il piacere - osserva - non sono sinonimi” perché “la felicità richiede l’impegno e la dedizione”, esige “grandi ideali” per non vivere la vita come “anestetizzati”. Papa Francesco invita i giovani a dare il meglio di sé: "mi dà tristezza vedere un giovane pensionato" - dice - "giocatevela tutta", "non cercate la sistemazione per evitare la lotta", Ma "questa lotta non fatela da soli", fate tesoro dell’esperienza dei più anziani e trovate consolazione “nella forza della preghiera, in Gesù”, perché Dio è "la garanzia della nostra dignità di uomini”.

Papa Francesco indica un metodo: il dialogo. Certo, “non è facile”, perché esige la cultura dell’incontro:

“Un incontro che sappia riconoscere che la diversità non solo è buona: è necessaria. L'uniformità ci annulla, ci trasforma in automi". Quindi "il punto di partenza non può essere che l’altro si sta sbagliando". Invece, "il bene comune si cerca a partire dalle nostre differenze, dando sempre la possibilità a nuove alternative. Vale a dire: cerca qualcosa di nuovo”. Nello stesso tempo, "dialogare non è negoziare", perchè solo "con una forte identità posso dialogare". L'identità non si negozia.

La scelta del dialogo – aggiunge – significa non temere il conflitto, “al contrario siamo invitati a farcene carico” per “trasformarlo” in una “unità che non rompe le differenze, ma che le vive in comunione attraverso la solidarietà e la comprensione. Cercando di capire le ragioni dell’altro, cercando di ascoltare la sua esperienza, i suoi desideri, potremo vedere che in gran parte sono aspirazioni comuni”. Alla base c’è la consapevolezza che “siamo tutti fratelli, figli dello stesso Padre celeste", e che "ciascuno con la propria cultura, la propria lingua, le proprie tradizioni, ha molto da offrire alla comunità”:

“Le autentiche culture non sono chiuse in sé stesse, perché se si chiudono in se stesse muoiono, ma sono chiamate ad incontrarsi con altre culture e creare nuove realtà". "Senza questo presupposto essenziale, senza questa base di fraternità sarà molto difficile giungere al dialogo. Se qualcuno considera che ci sono persone, culture, situazioni di seconda, terza o quarta categoria... qualcosa di sicuro andrà male, perché manca semplicemente il minimo, il riconoscimento della dignità dell’altro”.

L’appello del Papa è ad “accogliere il grido dei poveri per costruire una società più inclusiva”:

“Un aspetto fondamentale per promuovere i poveri è nel modo in cui li vediamo. Non serve uno sguardo ideologico, che finisce per utilizzare i poveri al servizio di altri interessi politici o personali”. Il Papa afferma di avere l'allergia ai discorsi "magniloquenti" sui grandi ideali di fraternità, giustizia, pace, dignità, che si risolvono solo in parole vuote, bugiarde, senza concretezza. Parole che utilizzano le ideologie: "le ideologie finiscono male, non servono", "hanno una relazione incompleta o malata o cattiva con il popolo". E "per questo le ideologie finiscono sempre con le dittature...pensano per il popolo, ma non lasciano pensare il popolo ... tutto per il popolo, ma non con il popolo".

E’ necessario - prosegue - “avere una vera preoccupazione" per i poveri ed “essere disposti a imparare" da loro. I poveri "hanno molto da insegnarci in umanità, in bontà, in sacrificio e solidarietà. E noi cristiani abbiamo inoltre un motivo in più per amare e servire i poveri: in loro vediamo il volto e la carne di Cristo”.

Oggi - afferma il Papa - "l'adorazione dell'antico vitello d'oro ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una economia senza volto". Esorta quindi a costruire uno sviluppo economico dal “volto umano” in cui ci sia lavoro, casa, pane e dignità per tutti:

“Vi chiedo di non cedere ad un modello economico idolatrico che abbia bisogno di sacrificare vite umane sull’altare del denaro e del profitto. Nell’economia, nell’azienda, nella politica, la prima cosa è sempre la persona e l’ambiente in cui vive”.

Poi c'è l'appello contro la corruzione: "la corruzione è la cancrena, il marcio di un popolo".

Papa Francesco indica un modello: le missioni promosse dai Gesuiti in quest’area tra il 1600 e il 1700, le cosiddette “Riduzioni”, villaggi dove i popoli indigeni potevano vivere in pace e in autonomia, “una delle più interessanti esperienze di evangelizzazione e di organizzazione sociale della storia”:

“In esse, il Vangelo era l’anima e la vita di comunità dove non c’era fame, né disoccupazione, né analfabetismo né oppressione. Questa esperienza storica ci insegna che una società più umana è possibile anche oggi". "Quando c'è amore per l’uomo, e volontà di servirlo, è possibile creare le condizioni affinché tutti abbiano accesso a beni necessari, senza che nessuno sia escluso”.

L’amore per i poveri – ha concluso il Papa - testimonia che “un altro modello di sviluppo è possibile”.


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