sabato, luglio 25, 2015
Svolta nella guerra contro il sedicente Stato islamico: la Turchia per la prima volta ha bombardato postazioni jihadiste nel nord della Siria. Nelle stesse ore, nell'ambito di una vasta operazione anti-terrorismo, in 16 province turche sono state arrestate più di 290 persone, tra cui militanti di Al Qaida e del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk). Il servizio di Amedeo Lomonaco:  



Radio Vaticana - La Turchia si aggiunge ai Paesi che combattono il sedicente Stato islamico. La decisione di sferrare raid mirati nel nord della Siria, costati la vita ad almeno 35 militanti jihadisti, è arrivata dopo gli ultimi drammatici episodi che hanno sconvolto il Paese: la strage di matrice jihadista avvenuta lunedì scorso nella città di Suruc e l’uccisione, ieri, di un soldato turco durante un blitz compiuto da miliziani integralisti islamici. La Turchia ha anche accettato di concedere alla coalizione, guidata dagli Stati Uniti, l'uso della base Nato di Incirlik. In Turchia, intanto, le forze di polizia hanno condotto retate in 16 province e arrestato oltre 290 persone, sospettate di appartenere a varie organizzazioni terroristiche. Tra gli arrestati anche un importante leader di Al Qaeda, un altro dello Stato islamico e militanti curdi del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), che nei giorni scorsi ha rivendicato l’uccisione di due poliziotti turchi. Secondo il Pkk, l'attentato a Suruc - costato la vita a molti giovani curdi - sarebbe stato compiuto con la complicità del governo turco.

Intanto in Siria continua l’emergenza umanitaria, come spiega al microfono di Michele Raviart, padre Ghassani Sahoui, direttore del Jesuit Refugee Service di Aleppo:



R. – Viviamo ad Aleppo, quindi stiamo imparando a vivere giorno dopo giorno la vita con quello che ci presenta. Infatti ad Aleppo diciamo sempre: “Siamo nelle mani di Dio”, perché viviamo sempre con il rischio di morire, in ogni momento… Questa crisi ha fatto sì che vivessimo insieme, cristiani e musulmani. Siamo in contatto quotidiano con i musulmani. E anche i musulmani mi chiamano “padre”.

D. – Come si vive quotidianamente ad Aleppo? Come si va avanti?

R. – Le famiglie devono pagare per avere l’elettricità, talvolta – menomale – un’ora viene fornita dallo Stato. Ma la maggior parte del tempo non c'è perché ci sono dei problemi. Anche per l’acqua è la stessa cosa. E quindi la gente si trova talvolta ad aspettare in fila - una lunga fila - davanti ai rubinetti delle strade, delle chiese o delle moschee per avere dell’acqua.

D. – E come si affrontano i bombardamenti?

R. – Purtroppo siamo esposti in ogni momento al rischio della caduta di una bomba o di un missile. Nella maggior parte della zona dove ci troviamo sono poche le bombe che cadono. Certamente ci sono vittime, però purtroppo questo è un po’ il disastro della guerra: trovare gente senza mani, senza piedi, che ha perso qualcosa: un figlio o la loro casa… è un dramma!

D. – La comunità cristiana come sta vivendo nello specifico questa situazione?

R. – Dall’inizio della crisi credo che la metà degli abitanti della città di Aleppo siano già partiti. La gente, anche i cristiani, quasi la metà o anche di più, hanno lasciato Aleppo, sia per altre città in Siria, più sicure, sia per l’Europa. Quelli che vivono ora ad Aleppo, o non hanno la possibilità di viaggiare - sono quindi destinati a vivere lì e a subire tutto questo ambiente di guerra - oppure hanno scelto di rimanere, malgrado tutto. E questo non è facile: per quanto riguarda le famiglie cristiane, ad esempio, queste provano ad uscire, però ci sono tanti problemi. Talvolta la moglie vuole rimanere e invece il marito vuole partire, oppure accade l’inverso. Facciamo un lavoro di discernimento spirituale con le famiglie. Talvolta i bambini e i giovani vogliono partire, perché non c’è un futuro... È difficile lasciare i luoghi dove sono stati abituati a vivere, a lavorare, trovare un po’ di vita, è difficile! Perciò sono crisi talvolta che viviamo nelle famiglie. Dobbiamo accompagnare sempre questi cristiani che pongono delle domande.

D. – Due anni fa circa spariva padre Dall’Oglio: lei lo ha conosciuto personalmente…

R. – È un grande uomo, un nostro amico e un nostro compagno. Credo che abbia avuto voluto dare tutta la sua vita per la causa del popolo siriano. Ha preso una direzione sulla base delle sue convinzioni. Però io ho sempre lodato il suo coraggio… Purtroppo lui è assente da due anni, non sappiamo niente del suo destino. Ci sono solo delle voci secondo le quali forse sarebbe stato ucciso. Vivere in questa crisi in alcune zone è difficile, siamo a rischio di essere uccisi o rapiti. Però non posso trovare un senso alla mia vita senza questa gente.


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