martedì, agosto 18, 2015
Una commissione parlamentare punta il dito contro l’ex Primo Ministro e 30 alti funzionari. L’ascesa dei jihadisti favorita dal crollo dell’esercito regolare, che avrebbe ricevuto l’ordine di non combattere. Oggi l’assemblea ha approvato il rinvio a giudizio, la parola ora passa alla magistratura. Per gli esperti vi sono anche responsabilità degli Stati Uniti.  

Baghdad (AsiaNews) - Una commissione parlamentare intende incriminare l’ex premier Nouri al Maliki, ritenendolo il primo responsabile della caduta di Mosul, seconda città per importanza dell’Iraq, nel nord del Paese, ormai da più di un anno nelle mani dello Stato islamico (SI). Assieme al precedente Primo Ministro, il rapporto punta il dito contro altri 30 alti funzionari, fra i quali l’ex governatore di Mosul Athil al-Nujaifi e alti ufficiali dell’esercito, che non avrebbero fermato l’ascesa dei miliziani jihadisti.

Al Maliki, uno dei politici di primo piano della fazione sciita, a capo dell’esecutivo dal 2006 al 2014, è considerato fra i fautori delle tensioni confessionali che hanno spaccato il Paese e fomentato il malcontento nelle zone a maggioranza araba sunnita, molte delle quali oggi in mano allo SI. Da capo delle Forze armate, egli ha cercato di centralizzare il controllo dell’esercito e ha nominato i vertici in base a criteri di amicizia e fedeltà, piuttosto che competenza e capacità.

Il rapporto sui fatti di Mosul è stato approvato da 16 dei 24 membri facenti parte della Commissione parlamentare di inchiesta. Oggi il Parlamento ha ratificato - a larga maggioranza, per alzata di mano - il rapporto, dando il via libera al processo contro l’ex Primo Ministro e decine di alti funzionari; ora la parola passa alla magistratura, che dovrà decidere se procedere in via giudiziaria. Commentando il documento, il presidente del Parlamento Salim al-Jaburi ha affermato che “nessuno è al di sopra della legge e della responsabilità verso il popolo”.

La seconda città per importanza dell’Iraq è caduta nelle mani dello Stato islamico il 10 giugno 2014, con l’esercito regolare che ha abbandonato armi e postazioni favorendo, di fatto, l’ingresso dei miliziani. Gli eventi repentini che si sono verificati nella metropoli del nord hanno creato profondo sconcerto non solo in Iraq ma in tutto il mondo, trasformando in pochi giorni i miliziani dello Stato islamico nella minaccia più grande per la pace e la convivenza in Medio oriente.

Interpellato dal quotidiano francofono libanese L’Orient-Le Jour (LOJ) il giornalista ed esperto di vicende irakene Gilles Munier, sottolinea che “è evidente e noto da tempo” il coinvolgimento dell’ex premier nella caduta di Mosul. Le forze irakene, aggiunge, hanno ricevuto l’ordine di non combattere favorendo l’avanzata dei miliziani che sono arrivati fino a Tikrit. A complicare però l’ipotesi di un processo vi è il fatto che “non si sa al momento dove si trovi Nouri al Maliki”, se in Siria, in Iran o nello stesso Iraq. Alle responsabilità dell’ex premier, conclude l’esperto, vanno sommate quelle degli Stati Uniti, che hanno “stanziato cifre enormi” per formare l’esercito irakeno, denaro che però “è finito nelle tasche dei dirigenti sciiti e sunniti”, senza garantire alcun addestramento alle truppe.

In questi giorni l’attuale premier Haider al-Abadi ha rinviato alla Corte marziale alcuni alti funzionari dell’esercito, che hanno abbandonato le loro postazioni favorendo - in una vicenda analoga a quella di Mosul - la caduta di Ramadi. Nel maggio scorso le milizie jihadiste hanno fatto il loro ingresso in città, senza incontrare resistenze da parte dei militari irakeni. Intanto prosegue la campagna governativa contro la corruzione e la cattiva amministrazione, nel tentativo di restituire unità e solidità al Paese.


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