Dopo 54 anni la bandiera americana è tornata a sventolare a Cuba, a conclusione della cerimonia di apertura dell’ambasciata Usa all’Avana.
Radio Vaticana - “Non più rivali né nemici, ma vicini”: sono state le parole del segretario di Stato americano John Kerry, primo capo della diplomazia di Washington a mettere piede su suolo cubano dal 1945. Tra i ringraziamenti Kerry cita per primo “Papa Francesco, e il Vaticano, che hanno reso possibile tutto questo”. Cuba ora dovrà onorare gli impegni a proposito del capitolo diritti umani: “Devono modellare il loro futuro – ha detto Kerry – sono meglio serviti da una genuina democrazia”. A issare la bandiera a stelle e strisce sono stati tre marine, che l’hanno ricevuta da altrettanti commilitoni, oggi tutti ultrasettantenni, che 54 anni fa la ammainarono. Ora si aspetta la revoca dell’embargo americano, ulteriore passo che riporterà alla normalità totale i rapporti Usa-Cuba, ma questo spetterà non più ad Obama, bensì al Congresso, ormai a maggioranza repubblicana.
Ma su quali basi potranno ripartire i rapporti tra Stati Uniti e Cuba? Giancarlo La Vella ne ha parlato con Mario Del Pero, americanista docente di Relazioni Internazionali all’Istituto Studi Politici di Parigi: ascolta
R. – Quello che si è aperto, in una certa misura, è un processo irreversibile. E’ chiaro che 50 anni e più di reciproca e assoluta ostilità lasciano oggi un retaggio pesante di diffidenza, di antagonismo, forse anche culturale, prima ancora che politico. Ci vorrà molto tempo per superarlo. Lo si farà, credo, anzitutto, agganciando sempre più Cuba all’economia americana, facendo sì che gli Stati Uniti, o gli investitori statunitensi, possano contribuire allo sviluppo economico, in primis attraverso il turismo.
D. – Un altro dei temi caldi è quello degli esuli cubani e della gestione del dissenso all’interno dell’isola caraibica, uno dei punti su cui gli Stati Uniti e i Paesi occidentali cercano di premere su L’Avana…
R. - Cuba, credo, abbia poche scelte, se non quella di procedere ad una graduale liberalizzazione politica. Tempi, modi e forme sono tutti da vedere. E’ chiaro che si chiederà a L’Avana gesti simbolicamente rilevanti, che in parte sono già stati compiuti. La questione dei cubani che vivono in Florida è una situazione che è andata modificandosi radicalmente negli ultimi anni. La prima generazione di emigrati, infatti, ferocemente anticastristi, sta uscendo progressivamente di scena. La generazione più giovane sostiene l’apertura e ha un atteggiamento meno intransigente verso il regime. Crede che attraverso questa apertura si possa procedere all’auspicata liberalizzazione del regime.
D. – L’apertura a Cuba vuol dire anche un miglioramento dei rapporti tra Washington e il resto dell’America Latina…
R. – Io credo che il processo vada letto primariamente in questa chiave. L’amministrazione Obama – gli Stati Uniti – si sono trovati sempre più isolati rispetto alla questione cubana. La rigidità di Washington nuoceva alla propria posizione nel panorama latino-americano e metteva in difficoltà le relazioni americane degli Stati Uniti. Aprire a Cuba serve anche per riportare gli Stati Uniti al centro della scena nella regione, ovvero a riallacciare rapporti con alcuni Paesi - il Brasile, anzitutto – e per evitare che gli Stati Uniti si trovino isolati nelle Americhe.
Radio Vaticana - “Non più rivali né nemici, ma vicini”: sono state le parole del segretario di Stato americano John Kerry, primo capo della diplomazia di Washington a mettere piede su suolo cubano dal 1945. Tra i ringraziamenti Kerry cita per primo “Papa Francesco, e il Vaticano, che hanno reso possibile tutto questo”. Cuba ora dovrà onorare gli impegni a proposito del capitolo diritti umani: “Devono modellare il loro futuro – ha detto Kerry – sono meglio serviti da una genuina democrazia”. A issare la bandiera a stelle e strisce sono stati tre marine, che l’hanno ricevuta da altrettanti commilitoni, oggi tutti ultrasettantenni, che 54 anni fa la ammainarono. Ora si aspetta la revoca dell’embargo americano, ulteriore passo che riporterà alla normalità totale i rapporti Usa-Cuba, ma questo spetterà non più ad Obama, bensì al Congresso, ormai a maggioranza repubblicana.
Ma su quali basi potranno ripartire i rapporti tra Stati Uniti e Cuba? Giancarlo La Vella ne ha parlato con Mario Del Pero, americanista docente di Relazioni Internazionali all’Istituto Studi Politici di Parigi: ascolta
R. – Quello che si è aperto, in una certa misura, è un processo irreversibile. E’ chiaro che 50 anni e più di reciproca e assoluta ostilità lasciano oggi un retaggio pesante di diffidenza, di antagonismo, forse anche culturale, prima ancora che politico. Ci vorrà molto tempo per superarlo. Lo si farà, credo, anzitutto, agganciando sempre più Cuba all’economia americana, facendo sì che gli Stati Uniti, o gli investitori statunitensi, possano contribuire allo sviluppo economico, in primis attraverso il turismo.
D. – Un altro dei temi caldi è quello degli esuli cubani e della gestione del dissenso all’interno dell’isola caraibica, uno dei punti su cui gli Stati Uniti e i Paesi occidentali cercano di premere su L’Avana…
R. - Cuba, credo, abbia poche scelte, se non quella di procedere ad una graduale liberalizzazione politica. Tempi, modi e forme sono tutti da vedere. E’ chiaro che si chiederà a L’Avana gesti simbolicamente rilevanti, che in parte sono già stati compiuti. La questione dei cubani che vivono in Florida è una situazione che è andata modificandosi radicalmente negli ultimi anni. La prima generazione di emigrati, infatti, ferocemente anticastristi, sta uscendo progressivamente di scena. La generazione più giovane sostiene l’apertura e ha un atteggiamento meno intransigente verso il regime. Crede che attraverso questa apertura si possa procedere all’auspicata liberalizzazione del regime.
D. – L’apertura a Cuba vuol dire anche un miglioramento dei rapporti tra Washington e il resto dell’America Latina…
R. – Io credo che il processo vada letto primariamente in questa chiave. L’amministrazione Obama – gli Stati Uniti – si sono trovati sempre più isolati rispetto alla questione cubana. La rigidità di Washington nuoceva alla propria posizione nel panorama latino-americano e metteva in difficoltà le relazioni americane degli Stati Uniti. Aprire a Cuba serve anche per riportare gli Stati Uniti al centro della scena nella regione, ovvero a riallacciare rapporti con alcuni Paesi - il Brasile, anzitutto – e per evitare che gli Stati Uniti si trovino isolati nelle Americhe.
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