Migranti: è stato di emergenza in Ungheria lungo il confine con la Serbia, dove sono scattate le norme restrittive e l’arresto per chi entra illegalmente nel Paese.
Radio Vaticana - Un centinaio i migranti in manette oggi mentre altrettanti hanno iniziato lo sciopero della fame per protesta. Intanto resta la spaccatura nell’Ue dopo il rifiuto dei Paesi dell’Est all’ampliamento dell’obbligatorietà nel sistema delle quote: fissato per il 22 settembre un nuovo vertice straordinario dei ministri dell’Interno. Il servizio di Gabriella Ceraso. ascolta
Sul confine tra Serbia e Ungheria - dove solo ieri sono transitati 9380 migranti e dall’inizio dell’anno 200mila - "la situazione resta pericolosa". La segnalazione viene dal governo serbo che chiede a Budapest di collaborare invece di aumentare i poteri della polizia con la dichiarazione dello stato di emergenza. La tensione alta tutto il giorno, in serata è calata, ma un centinaio di migranti resta in sciopero della fame. Budapest tiene duro: già oltre 170 gli arresti in virtù delle nuove norme anti immigrati su cui l’Ue chiede chiarimenti; respinte tutte le richieste d’asilo mentre il premier Orban sta valutando l’idea di un altro muro al confine con la Romania. ”Ferisce lo spirito dell'Unione europea" commenta Bucarest “uno steccato fra due stati membri e partner strategici non e' un'azione giusta". Critiche all'Ungheria arrivano anche dalla Germania che ipotizza persino di tagliare i fondi agli Stati membri dell’Est che si oppongono alle quote di ridistribuzione. "La crisi va risolta dall’Ue nel suo insieme" spiega la Merkel: Italia, Grecia e Ungheria devono allestire rapidamente i centri per l'identificazione e occorre un vertice straordinario. Detto fatto: le pressioni servono e in serata arriva l'annuncio di un nuovo consiglio Affari interni il 22 settembre. Obiettivo far approvare una decisione su un meccanismo provvisorio per il ricollocamento di 120mila profughi.
Dunque l’Europa è ancora spaccata: irremovibile l’opposizione del blocco dei Paesi di Visegrad (Ungheria, Slovacchia, Repubblica ceca e Polonia) all’aumento fino a 160 mila profughi da accogliere e smistare, superando il tetto già deciso dei 40 mila. Nell’intervista di Fausta Speranza, la riflessione di Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento: ascolta
R. - Avevo sperato finalmente in una forte posizione da parte dell’Europa. Il dramma delle numerosi morte causate dal tentativo di immigrazione, da parte di coloro che ne hanno veramente bisogno, mi aveva fatto sperare che finalmente ci fosse un momento di comprensione tra tutti i Paesi europei. Purtroppo questo non è più così, perché il documento iniziale in cui erano state stabilite le quote di ripartizione dei migranti nei vari Paesi europei, giorno dopo giorno, è stato stravolto e strappato, a partire dall’impegno di ricollocare i migranti a quello di un accordo di principio, fino a quello di lasciare alla semplice volontà dei Paesi di accogliere o meno i migranti stessi.
D. - Il blocco dei Paesi dell’Est europeo è il problema …
R. - È il serio problema e dimostra ulteriormente – se ce ne fosse bisogno – l’incapacità dell’Europa di utilizzare una politica coercitiva, quando è necessario, nei confronti dei Paesi che aderiscono all’Unione Europea. Posso anche capire le difficoltà di Paesi come Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Romania: e noi italiani e la Grecia affrontiamo da anni situazioni simili. Ma dobbiamo ricordare che sono Paesi esclusivamente "di passaggio": i migranti siriani o di altri Paesi in guerra non si fermano in questi Paesi dell’Est europeo. Punto focale è la totale disparità di trattamento nei confronti dei migranti e la totale mancanza di assunzione di responsabilità. La Germania ha fatto i conti con il proprio passato negli anni precedenti ed oggi dimostra di sapere bene come non si possa chiudere la porta in faccia chi ha bisogno. Altri Paesi, per scelte politiche assolutamente non condivisibili, per la svolta autoritaria, hanno dimenticato quale sia stata la loro storia e dimenticano di essere stati loro stessi dei migranti nel momento in cui è caduto il Muro.
D. - Due ultimissimi dati: duemila morti del Mediterraneo dall’inizio dell’anno, oltre 200 mila arrivi in Ungheria; cifre da riflessione epocale …
R. - Sono cifre che sconvolgono se ci si ferma solo per un attimo a pensare. Ma se si leggono come semplici numeri potrebbero anche sembrare delle semplici statistiche. Le immagini sono assolutamente drammatiche, così come lo solo le migliaia e migliaia di persone che fuggono dai Paesi in guerra, ma soprattutto lo sono i numeri delle persone che riempiono il Mar Mediterraneo o la terra con i morti. Io vorrei sottolineare un’ultima cosa: la totale assenza non solo dell’Europa, o meglio l’incapacità in quel momento da parte dell’Europa di far fronte a questo problema, ma la totale assenza di aiuto da parte dei Paesi arabi. Queste sono persone che fuggono da Paesi in guerra, in difficoltà nel vicino e Medio Oriente. Eppure non c’è un solo Paese arabo - esclusa la Giordania per ovvie ragioni o il Libano per ragione di vicinanza - ad esempio, Emirati Arabi o Arabia Saudita, che non si sia fatto carico di un solo migrante o che abbia in maniera decisa affrontato la questione della migrazione dalla Siria, di persone che sono in seria difficoltà perché fuggono soprattutto da quello che è il nemico stesso dei Paesi Arabi: il Sedicente Stato islamico.
Radio Vaticana - Un centinaio i migranti in manette oggi mentre altrettanti hanno iniziato lo sciopero della fame per protesta. Intanto resta la spaccatura nell’Ue dopo il rifiuto dei Paesi dell’Est all’ampliamento dell’obbligatorietà nel sistema delle quote: fissato per il 22 settembre un nuovo vertice straordinario dei ministri dell’Interno. Il servizio di Gabriella Ceraso. ascolta
Sul confine tra Serbia e Ungheria - dove solo ieri sono transitati 9380 migranti e dall’inizio dell’anno 200mila - "la situazione resta pericolosa". La segnalazione viene dal governo serbo che chiede a Budapest di collaborare invece di aumentare i poteri della polizia con la dichiarazione dello stato di emergenza. La tensione alta tutto il giorno, in serata è calata, ma un centinaio di migranti resta in sciopero della fame. Budapest tiene duro: già oltre 170 gli arresti in virtù delle nuove norme anti immigrati su cui l’Ue chiede chiarimenti; respinte tutte le richieste d’asilo mentre il premier Orban sta valutando l’idea di un altro muro al confine con la Romania. ”Ferisce lo spirito dell'Unione europea" commenta Bucarest “uno steccato fra due stati membri e partner strategici non e' un'azione giusta". Critiche all'Ungheria arrivano anche dalla Germania che ipotizza persino di tagliare i fondi agli Stati membri dell’Est che si oppongono alle quote di ridistribuzione. "La crisi va risolta dall’Ue nel suo insieme" spiega la Merkel: Italia, Grecia e Ungheria devono allestire rapidamente i centri per l'identificazione e occorre un vertice straordinario. Detto fatto: le pressioni servono e in serata arriva l'annuncio di un nuovo consiglio Affari interni il 22 settembre. Obiettivo far approvare una decisione su un meccanismo provvisorio per il ricollocamento di 120mila profughi.
Dunque l’Europa è ancora spaccata: irremovibile l’opposizione del blocco dei Paesi di Visegrad (Ungheria, Slovacchia, Repubblica ceca e Polonia) all’aumento fino a 160 mila profughi da accogliere e smistare, superando il tetto già deciso dei 40 mila. Nell’intervista di Fausta Speranza, la riflessione di Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento: ascolta
R. - Avevo sperato finalmente in una forte posizione da parte dell’Europa. Il dramma delle numerosi morte causate dal tentativo di immigrazione, da parte di coloro che ne hanno veramente bisogno, mi aveva fatto sperare che finalmente ci fosse un momento di comprensione tra tutti i Paesi europei. Purtroppo questo non è più così, perché il documento iniziale in cui erano state stabilite le quote di ripartizione dei migranti nei vari Paesi europei, giorno dopo giorno, è stato stravolto e strappato, a partire dall’impegno di ricollocare i migranti a quello di un accordo di principio, fino a quello di lasciare alla semplice volontà dei Paesi di accogliere o meno i migranti stessi.
D. - Il blocco dei Paesi dell’Est europeo è il problema …
R. - È il serio problema e dimostra ulteriormente – se ce ne fosse bisogno – l’incapacità dell’Europa di utilizzare una politica coercitiva, quando è necessario, nei confronti dei Paesi che aderiscono all’Unione Europea. Posso anche capire le difficoltà di Paesi come Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Romania: e noi italiani e la Grecia affrontiamo da anni situazioni simili. Ma dobbiamo ricordare che sono Paesi esclusivamente "di passaggio": i migranti siriani o di altri Paesi in guerra non si fermano in questi Paesi dell’Est europeo. Punto focale è la totale disparità di trattamento nei confronti dei migranti e la totale mancanza di assunzione di responsabilità. La Germania ha fatto i conti con il proprio passato negli anni precedenti ed oggi dimostra di sapere bene come non si possa chiudere la porta in faccia chi ha bisogno. Altri Paesi, per scelte politiche assolutamente non condivisibili, per la svolta autoritaria, hanno dimenticato quale sia stata la loro storia e dimenticano di essere stati loro stessi dei migranti nel momento in cui è caduto il Muro.
D. - Due ultimissimi dati: duemila morti del Mediterraneo dall’inizio dell’anno, oltre 200 mila arrivi in Ungheria; cifre da riflessione epocale …
R. - Sono cifre che sconvolgono se ci si ferma solo per un attimo a pensare. Ma se si leggono come semplici numeri potrebbero anche sembrare delle semplici statistiche. Le immagini sono assolutamente drammatiche, così come lo solo le migliaia e migliaia di persone che fuggono dai Paesi in guerra, ma soprattutto lo sono i numeri delle persone che riempiono il Mar Mediterraneo o la terra con i morti. Io vorrei sottolineare un’ultima cosa: la totale assenza non solo dell’Europa, o meglio l’incapacità in quel momento da parte dell’Europa di far fronte a questo problema, ma la totale assenza di aiuto da parte dei Paesi arabi. Queste sono persone che fuggono da Paesi in guerra, in difficoltà nel vicino e Medio Oriente. Eppure non c’è un solo Paese arabo - esclusa la Giordania per ovvie ragioni o il Libano per ragione di vicinanza - ad esempio, Emirati Arabi o Arabia Saudita, che non si sia fatto carico di un solo migrante o che abbia in maniera decisa affrontato la questione della migrazione dalla Siria, di persone che sono in seria difficoltà perché fuggono soprattutto da quello che è il nemico stesso dei Paesi Arabi: il Sedicente Stato islamico.
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