Nelle isole orientali dell’Indonesia sono detenuti e sfruttati migliaia di migranti provenienti da Myanmar, Cambogia e Thailandia. Alcuni colossi alimentari statunitensi sono stati denunciati per aver acquistato prodotti marittimi provenienti da lavoro schiavo. In Thailandia, il 20% dei minori sfruttati nell’industria peschiera subisce infortuni o mutilazioni.
Bangkok (AsiaNews) - Più di 2mila lavoratori schiavizzati nel settore della pesca sono stati liberati nei primi sei mesi di quest’anno nei Paesi del sud-est asiatico. È il risultato di un inchiesta iniziata più di un anno fa da alcuni cronisti dell’Associated Press, che ha portato alla scoperta di un vero e proprio mercato dello sfruttamento umano che ha il proprio fulcro nelle isole orientali dell’Indonesia e che coinvolge lavoratori provenienti da Thailandia, Myanmar, Cambogia e Laos.
Un rapporto dell’International Organization for Migration (Iom) mostra che i lavoratori vengono bloccati sulle isole (come quella di Benjina, nelle Maluku indonesiane), sfruttati, torturati e rinchiusi in gabbie. Uno studio della London School of Hygene and Tropicl Meicine, basato su interviste a più di mille sopravvissuti, rivela che metà dei pescatori che riescono a tornare casa soffrono di depressione e circa il 40% di sindrome post-traumatica da stress o ansia. Molti di loro riportano cicatrici o mutilazioni.
Tin Lin Tun, 25enne, non vede la sua famiglia da cinque anni, da quando un agente thailandese lo ha portato via promettendogli un lavoro nelle costruzioni: “Sono sicuro che i miei genitori pensino che io sia morto”. Invece che entrare in cantiere, il ragazzo è stato venduto su un peschereccio e portato in Indonesia.
L’inchiesta ha rivelato che i prodotti marittimi provenienti da lavoro schiavo sono acquistati anche da alcuni giganti alimentari statunitensi. Le aziende importatrici hanno condannato ogni tipo di sfruttamento, ma cause legali sono state aperte contro aziende come Proctor & Gamble, Nestle USA Inc. e Nestle Purina Petcare Co.
Lo sfruttamento lavorativo nel settore della pesca è una delle piaghe sociali più pericolose in Thailandia, dove sono coinvolti centinaia di migliaia di minori. Secondo i dati del governo, il tasso di infortuni dei ragazzi sotto i 15 anni che lavorano illegalmente su barconi e pescherecci è molto più alto di coloro che sono sfruttati nel settore petrolifero o del gas. Secondo i dati del Labor Organization and the Asia Foundation, il 20% dei giovani pescatori è vittima di incidenti, contro l’8,4% dei “colleghi” di altri settori.
La Thailandia è il terzo esportatore di pescato al mondo, per un mercato che, secondo i dati della Thai Frozen Foods Association, l’anno scorso ha raggiunto i 3 miliardi di dollari. Il giro d’affari con l’Europa ammonta tra i 575 e i 730 milioni di euro l’anno. Il settore che occupa circa 300mila persone, soprattutto migranti illegali dai Paesi confinanti.
I ragazzi sfruttati nell’industria peschiera thai – molti dei quali provenienti da Cambogia e dal Myanmar – lavorano anche 50 ore a settimana. Solo il 30% degli operai legali (di almeno 15 anni) gode della protezione di un contratto.
Bangkok (AsiaNews) - Più di 2mila lavoratori schiavizzati nel settore della pesca sono stati liberati nei primi sei mesi di quest’anno nei Paesi del sud-est asiatico. È il risultato di un inchiesta iniziata più di un anno fa da alcuni cronisti dell’Associated Press, che ha portato alla scoperta di un vero e proprio mercato dello sfruttamento umano che ha il proprio fulcro nelle isole orientali dell’Indonesia e che coinvolge lavoratori provenienti da Thailandia, Myanmar, Cambogia e Laos.
Un rapporto dell’International Organization for Migration (Iom) mostra che i lavoratori vengono bloccati sulle isole (come quella di Benjina, nelle Maluku indonesiane), sfruttati, torturati e rinchiusi in gabbie. Uno studio della London School of Hygene and Tropicl Meicine, basato su interviste a più di mille sopravvissuti, rivela che metà dei pescatori che riescono a tornare casa soffrono di depressione e circa il 40% di sindrome post-traumatica da stress o ansia. Molti di loro riportano cicatrici o mutilazioni.
Tin Lin Tun, 25enne, non vede la sua famiglia da cinque anni, da quando un agente thailandese lo ha portato via promettendogli un lavoro nelle costruzioni: “Sono sicuro che i miei genitori pensino che io sia morto”. Invece che entrare in cantiere, il ragazzo è stato venduto su un peschereccio e portato in Indonesia.
L’inchiesta ha rivelato che i prodotti marittimi provenienti da lavoro schiavo sono acquistati anche da alcuni giganti alimentari statunitensi. Le aziende importatrici hanno condannato ogni tipo di sfruttamento, ma cause legali sono state aperte contro aziende come Proctor & Gamble, Nestle USA Inc. e Nestle Purina Petcare Co.
Lo sfruttamento lavorativo nel settore della pesca è una delle piaghe sociali più pericolose in Thailandia, dove sono coinvolti centinaia di migliaia di minori. Secondo i dati del governo, il tasso di infortuni dei ragazzi sotto i 15 anni che lavorano illegalmente su barconi e pescherecci è molto più alto di coloro che sono sfruttati nel settore petrolifero o del gas. Secondo i dati del Labor Organization and the Asia Foundation, il 20% dei giovani pescatori è vittima di incidenti, contro l’8,4% dei “colleghi” di altri settori.
La Thailandia è il terzo esportatore di pescato al mondo, per un mercato che, secondo i dati della Thai Frozen Foods Association, l’anno scorso ha raggiunto i 3 miliardi di dollari. Il giro d’affari con l’Europa ammonta tra i 575 e i 730 milioni di euro l’anno. Il settore che occupa circa 300mila persone, soprattutto migranti illegali dai Paesi confinanti.
I ragazzi sfruttati nell’industria peschiera thai – molti dei quali provenienti da Cambogia e dal Myanmar – lavorano anche 50 ore a settimana. Solo il 30% degli operai legali (di almeno 15 anni) gode della protezione di un contratto.
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