martedì, settembre 22, 2015
La crisi in Siria e la lotta ai terroristi del sedicente Stato Islamico sempre più coinvolge gli equilibri di pace oltre i confini del Medio Oriente CVati.

Radio Vaticana - Da un lato il fronte anti Is, che vede gli Stati Uniti alla guida della Coalizione internazionale, affiancati da Francia e Gran Bretagna, anche nel richiedere le dimissioni di Assad, dall’altro lato la Russia che sostiene il presidente siriano nella sua battaglia al terrorismo interno e che ha dispiegato 28 aerei da combattimento in Siria, creando allarme in Israele per la sua sicurezza. Roberta Gisotti ha intervistato Stefano Torelli, ricercatore dell’Ispi-Istituto per gli studi di politica internazionale: ascolta

D. – Dottor Torelli, con queste forze in campo, quali possibili sbocchi alla crisi? Ora ci sono anche timori di scontri accidentali tra i due fronti… 

R. – Eh sì! Non possiamo neanche più dire che vi siano soltanto due fronti, perché in realtà anche le stesse opposizioni sono frastagliate. E’ difficile immaginare una soluzione di breve e medio termine all’orizzonte, anche perché c’è l’intervento di interessi anche esterni che - in un modo o nell’altro - cercano di indirizzare il conflitto verso una possibile soluzione, ma che in realtà non fanno altro che contribuire a complicare la situazione. Questo perché i diversi attori esterni che operano in Siria - che da un lato la Russia e in parte l’Iran, se vogliamo anche con le milizie sciite sia iraniane che di hezbollah libanesi; e dall’altro, invece, le forze sia occidentali e soprattutto Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, sia anche regionali come Arabia Saudita e in parte la Turchia con tutte le sue ambiguità - hanno comunque interessi divergenti. Quindi anche se operano direttamente sul territorio siriano lo fanno appoggiando parti diverse. L’unico nemico in comune sembra essere proprio lo Stato Islamico.

D. – Vorrei sottolineare i timori di Israele: proprio ieri Netanyahu in visita a Mosca ha chiesto rassicurazioni al presidente Putin. Israele cosa teme esattamente?

R. – Il dilemma di Israele è quello di trovarsi di fronte ad un conflitto, in cui le due parti in causa - le due parti principali - sono da un lato le forze jihadiste e estremiste dello Stato Islamico, che - anche se non lo hanno ancora detto in maniera aperta – hanno in Israele un potenziale nemico; e dall’altra Assad, che sulla carta è sempre stato un nemico di Israele; ricordiamo che anche prima del conflitto civile, la Siria era in uno stato tecnicamente di guerra con Israele, però un nemico con cui Israele aveva imparato a convivere. Quindi sarebbe, per Israele, probabilmente il male minore, quello di avere Assad ancora al potere in Siria. I timori quali sono? Che gli alleati di Assad sono, invece, più ostili - apertamente! – ad Israele, soprattutto Hezbollah, che ha combattuto anche diversi conflitti, l’ultimo nel 2006, contro Israele e che indirettamente sarebbe avvantaggiato da una vittoria di Assad e quindi anche dall’appoggio russo ad Assad stesso. L’alleanza tra Israele e Russia, dal punto di vista militare e strategico, è una alleanza di lunga data: Netanyahu vorrebbe però delle garanzie sul fatto che l’appoggio russo al fronte filo-Assad non si trasformi in un vantaggio strategico anche per Hezbollah, che invece ha dichiaratamente in Israele un nemico da combattere.

D. – Tra Usa e Russia sarebbe allo studio un ‘meccanismo di prevenzione’ per evitare scontri tra le forze messe in campo in Siria: ma questo è credibile, sappiamo pure che la Russia ha dispiegato 28 aerei da combattimento in Siria? In una situazione così confusa? Sembrano davvero più parole che ragionamenti seri…

R. – Devo dire purtroppo che penso di sì. Mi sembra abbastanza evidente che in questo momento, cercare soltanto di immaginare come possano limitarsi gli scontri sul campo, quando la situazione è così complicata – come abbiamo appena descritto – e quando gli interessi delle forze in campo sono così tante, risulta veramente difficile. Soprattutto vi sono molti critici della dottrina – diciamo – statunitense o occidentale, che è quella di intervenire, anche se sostanzialmente in maniera abbastanza defilata, con questi raid aerei che possono magari indebolire in maniera contingente le forze islamiste, che però sicuramente non possono cambiare le sorti del conflitto nel lungo termine.


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