giovedì, marzo 31, 2016
Un naufragio, titola stamane l’editoriale firmato da Grogory Bevel per Liberation. Mai, infatti, nella storia della repubblica transalpina un’iniziativa presidenziale aveva raggiunto un risultato così lontano rispetto agli obiettivi dichiarati.  

di Lorenzo Carchini 

Sinistraineuropa - Dopo gli attacchi del 13 novembre, François Hollande aveva mirato a ricomporre frammentato mosaico sociale e politico nazionale invocando ad un’unità nazionale al di sopra delle parti. Un’operazione che però ha raccolto soltanto il dissenso tra i suoi socialisti ed un grottesco teatrino politico a noi così vicino, ma ai francesi così lontano da provocare un immediato senso di rifiuto.

Cercando di ripetere il colpo di mano di Jacques Chirac nel 1997 (quando fu sciolta l’Assemblea Nazionale), Hollande sognava di potersi riconquistare un ampia maggioranza, ma ha raccolto soltanto un altro anno di convivenza. Una giocata d’azzardo che non è riuscita. Un fallimento ancor più grave dal momento in cui la posta in palio (il diritto alla cittadinanza) costituiva un simbolo esemplare, che per aver successo avrebbe dovuto raccogliere l’intera popolazione. Per mesi la Francia, la “patrie des droits de l’homme” ha valutato di affossare uno dei pilastri democratici del paese, la parità dei francesi di fronte alla legge e la creazione di apolidi, in contraddizione con l’articolo 15 della Diritti Umani.

Mercoledì, dopo quattro mesi di clima bollente nel parlamento francese, Hollande ha abbandonato la riforma costituzionale emergenziale, che prevedeva anche la privazione della cittadinanza per reati di terrorismo: “Ho deciso di chiudere il dibattito costituzionale. Ma non voglio deviare dagli impegni che ho preso […] al fine di garantire la sicurezza del nostro Paese e per proteggere i francesi contro il terrorismo”.

Un progetto finito in fumo, ma che ne sarà ora della presidenza? Hollande è ovviamente il primo sconfitto in questo dramma politico. Ha fallito, giocandosi tutta la sua – scarsa – credibilità per una misura voluta dalle opposizioni, osteggiata da gran parte del partito e del suo elettorato di riferimento. Anche in Francia, come è stato a lungo anche da noi, il conservatorismo costituzionale, nei suoi valori e principi, è da tempo cavallo di battaglia del centro-sinistra, un dettaglio che il presidente socialista avrebbe dovuto tener presente, aggirando magari gli spauracchi securitari agitati dal fedele Valls.

Proprio il generale stato di incertezza neppure troppo latente da parte del presidente stesso non ha fatto che aggiungere disordine e confusione, in un panorama già reso illeggibile dall’ascesa nei consensi del fronte lepenista. Alla fine, la segreta speranza di lasciar naufragare il progetto da parte di Hollande ha prevalso su ogni altra considerazione. Meglio così, ma il presidente è finito dentro un cul de sac e la pazienza dell’elettorato non sembra più una sua preoccupazione. Dopotutto, a fronte di uno stato d’emergenza in cui non c’è stato alcun arresto per terrorismo ed ogni misura di controllo della rete e delle frontiere non ha praticamente dato frutti, vale la pena abbandonare lo stato democratico e le libertà civili per controllare poche centinaia di returnees già noti alla polizia?

Carnevalesca, infine, la sfilata delle dichiarazioni a caldo da parte dei protagonisti degli ultimi mesi. Dalle scuse ai francesi del segretario socialista Jean-Christophe Cambadélis e del deputato Le Roux, accusando le destre di aver respinto il progetto di modifica al Senato, “non tenendo conto dell’emergenza di un paese in lotta contro il terrorismo”, fino alle reazioni della sinistra e dei franchi tiratori socialisti secondo i quali è necessario “voltare pagina dopo un progetto di riforma che tanto ha diviso i cittadini francesi”. Toni duri quelle di Jean-Luc Mélenchon, Front de Gauche, che parlato di dilettantismo e caos di Hollande. Rispedite ai mittenti le accuse a destra di aver affossato l’iniziativa; per Nicolas Sarkozy, il presidente avrebbe posto egli stesso le condizioni del fallimento, condannando le ali moderate del paese all’inazione. Secondo Marine Le Pen, invece, si tratta di un fallimento storico da parte di un presidente “incapace di rispettare la parola data”.


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