Stallo parziale dei gas serra. In Cina -1,5%, in Usa -2% mentre in Ue aumentano.
GreenReport - A livello globale l’economia cresce, mentre la CO2 no. Secondo l’elaborazione dei dati sull’emissione di gas climalteranti diffusa dall’autorevole International energy agency (Iea), nel 2015 le emissioni globali di anidride carbonica sono state pari a 32,1 miliardi di tonnellate, sostanzialmente pari a quelle emesse nel 2013. Nel frattempo però il Pil del mondo è cresciuto, del 3,4% nel 2014 e 3,1% nel 2015. Pur sottolineando che i dati sulla CO2 messi in fila dalla International energy agencysi riferiscono al solo settore energetico, si tratta indubbiamente di una buona notizia: il comparto, infatti, è il maggio responsabile per l’emissione di gas serra da parte dell’uomo, il che offre «un’ulteriore prova di come il legame tra crescita economica e crescita delle emissioni – osserva la Iea – si stia indebolendo».
E in effetti anche l’anno scorso dall’Agenzia arrivò un’identica notizia: anche nel 2014 non si è registrato un aumento nelle emissioni di CO2 legate al settore energetico. Fa bene però il direttore esecutivo della Iea, Fatih Birol, a misurare bene le parole: «Abbiamo visto due anni consecutivi in cui l’emissione di gas serra è disaccoppiata dalla crescita economica». Il dato, per quanto importante, si delimita difatti ad un solo, preciso ambito. Quello delle emissioni climalteranti. Se si allarga lo sguardo al complesso degli impatti dell’attività umana sull’ambiente, e in particolare sul consumo di risorse naturali, il disaccoppiamento purtroppo risulta ancora molto lontano.
L’estrazione di risorse nel mondo continua senza sosta, è decuplicata nell’ultimo secolo e – secondo le stime dell’Agenzia europea per l’ambiente (Eea) – raddoppierà ancora al 2030, comportando gravi scompensi. Come si muovono si questo rischiosissimo terreno l’Italia, l’Europa e il mondo? Nella seconda edizione del rapporto Eu resource efficiency scoreboard, pubblicata proprio dall’Eea, si certifica che quanto a produttività delle risorse (che misura con quanta efficienza i materiali sono convertiti in prodotti e servizi) alcuni successi l’Italia e l’Europa li hanno già raggiunti. Il consumo di materiali procapite in Unione europea è infatti calato dalle 15,4 tonnellate del 2002 alle 13,3 del 2014 – una diminuzione modesta ma significativa – e negli stessi anni la produttività delle risorse è aumentata da 1,52€/kg a 1,95€/kg, un miglioramento del 27,8%.
In questa tendenza, l’Italia si scopre migliore della media, con una produttività delle risorse al 2014 pari a 2,89€/kg, migliorata del 56,9% rispetto a quanto conseguito lungo lo Stivale nel 2002. Anche questi numeri però non dicono tutto, e non è un caso che dall’Eea sottolineino come «in ogni caso, rimane molto di più da fare». Rispetto ai 7 miliardi di abitanti del piante, i 508 milioni di abitanti dell’Ue – compresi i 60 milioni di italiani – continuano ad avere un grandissimo impatto procapite sull’ambiente. Non è un caso se il commercio globale di risorse è arrivato già nel 2010 a superare le 65 miliardi di tonnellate/anno: per il 40%, i materiali estratti in un paese servono a soddisfare i consumi di un paese diverso, e frequentemente questo “altro” paese è europeo. Nel mentre, il resto del mondo non sta certo a guardare. Nel 2015 il Pil globale è cresciuto del 3% (e altrettanto si stima farà nel 2016), ma la media Ue è stata del 2%, e in Italia dello 0,7%.
Ciò significa che i famosi “paesi in via di sviluppo” stanno rendendo onore alla loro definizione, la loro economia corre ancora – nonostante alcune frenate qua e là –, sfornando prodotti utili a soddisfare i bisogni propri ma anche parte di (sempre nuovi) quelli occidentali: come ha efficacemente spiegato sulle nostre pagine l’economista Giovanni Marina, un terzo dei gas serra (e dei posti di lavoro) generati per soddisfare i consumi europei arriva da fuori Ue. Per l’Europa e l’Italia in particolare, che importano la stragrande maggioranza delle risorse naturali necessarie allo stile di vita dei propri cittadini, sarebbe assai utile porre un’elevata attenzione politica su queste dinamiche. Le azioni messe in campo, anche recentemente con la proposta Ue per l’economia circolare e il Collegato ambientale in Italia, di certo non sono sufficienti. Anzi, il rapporto Iea sulle emissioni climalteranti certifica che la crescita della CO2 per il momento si è sì fermata, ma non grazie a noi.
Nel 2015 i gas serra emessi dalla Cina sono diminuiti dell’1,5%, negli Usa del 2% mentre in Europa (insieme alla maggior parte degli stati asiatici e al Medio oriente) sono cresciuti. Migliorare (e molto) è tecnicamente fattibile, investendo in innovazione e cultura, impostando politiche industriali mirate, praticando una politica fiscale più verde e facendosi promotori nel mondo – con l’esempio, più che con le parole – di un coordinamento per lo sviluppo sostenibile, ad oggi grande assente. Peccato che di queste priorità, guardando allo splendido quanto ristretto orticello della nostra nazione, ancora nessuna compaia davvero ai vertici dell’agenda politica.
GreenReport - A livello globale l’economia cresce, mentre la CO2 no. Secondo l’elaborazione dei dati sull’emissione di gas climalteranti diffusa dall’autorevole International energy agency (Iea), nel 2015 le emissioni globali di anidride carbonica sono state pari a 32,1 miliardi di tonnellate, sostanzialmente pari a quelle emesse nel 2013. Nel frattempo però il Pil del mondo è cresciuto, del 3,4% nel 2014 e 3,1% nel 2015. Pur sottolineando che i dati sulla CO2 messi in fila dalla International energy agencysi riferiscono al solo settore energetico, si tratta indubbiamente di una buona notizia: il comparto, infatti, è il maggio responsabile per l’emissione di gas serra da parte dell’uomo, il che offre «un’ulteriore prova di come il legame tra crescita economica e crescita delle emissioni – osserva la Iea – si stia indebolendo».
E in effetti anche l’anno scorso dall’Agenzia arrivò un’identica notizia: anche nel 2014 non si è registrato un aumento nelle emissioni di CO2 legate al settore energetico. Fa bene però il direttore esecutivo della Iea, Fatih Birol, a misurare bene le parole: «Abbiamo visto due anni consecutivi in cui l’emissione di gas serra è disaccoppiata dalla crescita economica». Il dato, per quanto importante, si delimita difatti ad un solo, preciso ambito. Quello delle emissioni climalteranti. Se si allarga lo sguardo al complesso degli impatti dell’attività umana sull’ambiente, e in particolare sul consumo di risorse naturali, il disaccoppiamento purtroppo risulta ancora molto lontano.
L’estrazione di risorse nel mondo continua senza sosta, è decuplicata nell’ultimo secolo e – secondo le stime dell’Agenzia europea per l’ambiente (Eea) – raddoppierà ancora al 2030, comportando gravi scompensi. Come si muovono si questo rischiosissimo terreno l’Italia, l’Europa e il mondo? Nella seconda edizione del rapporto Eu resource efficiency scoreboard, pubblicata proprio dall’Eea, si certifica che quanto a produttività delle risorse (che misura con quanta efficienza i materiali sono convertiti in prodotti e servizi) alcuni successi l’Italia e l’Europa li hanno già raggiunti. Il consumo di materiali procapite in Unione europea è infatti calato dalle 15,4 tonnellate del 2002 alle 13,3 del 2014 – una diminuzione modesta ma significativa – e negli stessi anni la produttività delle risorse è aumentata da 1,52€/kg a 1,95€/kg, un miglioramento del 27,8%.
In questa tendenza, l’Italia si scopre migliore della media, con una produttività delle risorse al 2014 pari a 2,89€/kg, migliorata del 56,9% rispetto a quanto conseguito lungo lo Stivale nel 2002. Anche questi numeri però non dicono tutto, e non è un caso che dall’Eea sottolineino come «in ogni caso, rimane molto di più da fare». Rispetto ai 7 miliardi di abitanti del piante, i 508 milioni di abitanti dell’Ue – compresi i 60 milioni di italiani – continuano ad avere un grandissimo impatto procapite sull’ambiente. Non è un caso se il commercio globale di risorse è arrivato già nel 2010 a superare le 65 miliardi di tonnellate/anno: per il 40%, i materiali estratti in un paese servono a soddisfare i consumi di un paese diverso, e frequentemente questo “altro” paese è europeo. Nel mentre, il resto del mondo non sta certo a guardare. Nel 2015 il Pil globale è cresciuto del 3% (e altrettanto si stima farà nel 2016), ma la media Ue è stata del 2%, e in Italia dello 0,7%.
Ciò significa che i famosi “paesi in via di sviluppo” stanno rendendo onore alla loro definizione, la loro economia corre ancora – nonostante alcune frenate qua e là –, sfornando prodotti utili a soddisfare i bisogni propri ma anche parte di (sempre nuovi) quelli occidentali: come ha efficacemente spiegato sulle nostre pagine l’economista Giovanni Marina, un terzo dei gas serra (e dei posti di lavoro) generati per soddisfare i consumi europei arriva da fuori Ue. Per l’Europa e l’Italia in particolare, che importano la stragrande maggioranza delle risorse naturali necessarie allo stile di vita dei propri cittadini, sarebbe assai utile porre un’elevata attenzione politica su queste dinamiche. Le azioni messe in campo, anche recentemente con la proposta Ue per l’economia circolare e il Collegato ambientale in Italia, di certo non sono sufficienti. Anzi, il rapporto Iea sulle emissioni climalteranti certifica che la crescita della CO2 per il momento si è sì fermata, ma non grazie a noi.
Nel 2015 i gas serra emessi dalla Cina sono diminuiti dell’1,5%, negli Usa del 2% mentre in Europa (insieme alla maggior parte degli stati asiatici e al Medio oriente) sono cresciuti. Migliorare (e molto) è tecnicamente fattibile, investendo in innovazione e cultura, impostando politiche industriali mirate, praticando una politica fiscale più verde e facendosi promotori nel mondo – con l’esempio, più che con le parole – di un coordinamento per lo sviluppo sostenibile, ad oggi grande assente. Peccato che di queste priorità, guardando allo splendido quanto ristretto orticello della nostra nazione, ancora nessuna compaia davvero ai vertici dell’agenda politica.
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