Una fuga di capitali a livelli "monstre" negli ultimi cinque anni. Investitori scappano a gambe levate dagli emergenti. In Europa meno tasse sul lavoro. Ancora spazi per riforme strutturali.
WSI - I timori sull’economia della Cina potrebbero scatenare un “bagno di sangue” globale sui mercati finanziari, nel caso in cui una situazione di hard landing, ovvero di atterraggio duro, dovesse concretizzarsi. Lo ha detto Gaston Gelos, responsabile della divisione dei mercati capitali e monetari dell’Fmi. L’Fmi ha inoltre lanciato, in generale, un nuovo alert. All’indomani delle dichiarazioni arrivate dal direttore Christine Lagarde, il Fondo Monetario Internazionale ha parlato infatti della continua fuga di capitali che sta colpendo i mercati emergenti.
Fuga di capitali monstre dai mercati emergenti
In un’analisi che fa parte del World Economic Outlook dell’Fmi, che sarà pubblicato la prossima settimana, con le previsioni di crescita aggiornate, l’Fmi ha reso noto che dal 2010 alla fine del 2015, i flussi netti di capitali in entrata nelle 45 economie dei paesi emergenti sono scesi di ben $1,1 trilioni, un valore pari al 4,9% del Pil. Il crollo dei flussi di capitali in entrata è stato spiegato con la riduzione del differenziale tra le prospettive di crescita del Pil dei paesi in via di sviluppo e quelle di crescita dei paesi avanzati. Una volta considerati il motore dell’economia globale, diversi paesi emergenti hanno infatti messo il freno a un boom che sembrava inarrestabile. Il problema è che la fuga di capitali è peggiore in termini relativi rispetto a quella che gli stessi mercati subirono durante la crisi finanziaria che colpì l’Asia alla fine degli anni ’90, e anche di quella che venne scatenata dalla crisi del debito in America Latina, negli anni ’80.
L’Fmi ha comunque fatto notare che la presenza di diversi fattori capaci di assorbire gli choc ha contribuito ad attutire il colpo: tra questi, i livelli più alti delle riserve di valute straniere presso le banche centrali, i rapporti di cambio tra le monete dei mercati emergenti più flessibili rispetto al passato, e i prezzi nazionali “apparentemente più ancorati”, probabilmente anche a causa delle politiche monetarie più attente al perseguimento di un determinato target di inflazione. “Fattore importante, la maggiore flessibilità dei regimi dei tassi di cambio ha facilitato deprezzamenti ordinati delle monete, che hanno mitigato gli effetti del ciclo dei flussi di capitali globali, in diverse economie dei mercati emergenti”.
Italia, Francia e Germania: barriere significative contro la concorrenza
Riferendosi al caso specifico della Cina, Gelos ha sottolineato che le scelte politiche del paese avranno “sempre più implicazioni per la stabilità finanziaria globale” nei prossimi anni, dal momento che la seconda economia più grande al mondo inizierà ad aprire i suoi mercati dei bond e azionari. Già in un report diffuso lunedì, l’Fmi aveva notato che le economie di paesi emergenti come Cina, India, Brasile e Russia hanno sostenuto più della metà della crescita economica globale nel corso degli ultimi 15 anni; di conseguenza, vista la correlazione crescente sia a livello commerciale che finanziario con il resto del mondo, gli effetti domino di questi paesi diventeranno “la norma” e non saranno più “una eccezione”. Sempre oggi, riguardo ai paesi avanzati, l’Fmi ha avvertito che la continua debolezza dell’economia globale mette in evidenza il bisogno di abbassare le tasse sul lavoro e di aumentare la spesa pubblica, in modo tale da riportare i disoccupati nelle fila dell’occupazione.
Nell’esprimere preoccupazione sulla crescita del Pil delle economie dell’Occidente dalla crisi del 2008-09, l’Fmi ha anche affermato che è il momento che le politiche monetarie di tassi di interesse estremamente bassi e di Quantitative easing vengano accompagnate da un ampio range di riforme strutturali. A tal proposito, l’istituzione di Washington ha parlato di ulteriori spazi per promuovere riforme strutturali in Italia, Francia e Germania. L’Fmi ha ribadito per le economie occidentali ancora una volta la necessità di tagliare il “cuneo fiscale”. In un capitolo dedicato alle riforme del mercato del lavoro all’interno del World economic outlook, ha affermato che: “le riforme che comportano uno stimolo fiscale sono le più preziose, compresa la riduzione cuneo fiscale e l’aumento della spesa pubblica per le politiche attive del mercato del lavoro. Anche le riforme del mercato dei prodotti dovrebbero essere la priorità”.
Un monito è stato rivolto tuttavia all’Italia, e per lo stesso motivo alla Francia e alla Germania. L’Fmi ha affermato che in questi paesi esistono ancora barriere che ostacolano la concorrenza. Barriere all’entrata sia nel commercio al dettaglio che nell’ambito dei servizi professionali che sono “significative e piuttosto stabili”, e che potrebbero e dovrebbero essere rimosse. “Esiste l’opportunità di rafforzare ulteriormente la concorrenza nei settori di beni non commerciabili, inclusi alcuni segmenti dei settori a rete, e anche nel commercio al dettaglio e nei servizi professionali dove restano significative e abbastanza stabili barriere all’entrata in alcuni paesi, ad esempio Canada, Francia, Germania, Italia e Giappone. Anche le riforme dei sistemi di protezione dell’occupazione potrebbero aumentare la produttività stimolando la riallocazione delle risorse tra aziende e settori”. Ancora, il Fondo Monetario Internazionale ha fatto notare che: “per molte economie avanzate questo è un periodo opportuno per sostenere ulteriori riforme: esiste un forte bisogno e un notevole spazio per le riforme, il panorama politico è favorevole e tali riforme potrebbero, nel medio periodo, aumentare il Pil potenziale e i livelli di occupazione“.
WSI - I timori sull’economia della Cina potrebbero scatenare un “bagno di sangue” globale sui mercati finanziari, nel caso in cui una situazione di hard landing, ovvero di atterraggio duro, dovesse concretizzarsi. Lo ha detto Gaston Gelos, responsabile della divisione dei mercati capitali e monetari dell’Fmi. L’Fmi ha inoltre lanciato, in generale, un nuovo alert. All’indomani delle dichiarazioni arrivate dal direttore Christine Lagarde, il Fondo Monetario Internazionale ha parlato infatti della continua fuga di capitali che sta colpendo i mercati emergenti.
Fuga di capitali monstre dai mercati emergenti
In un’analisi che fa parte del World Economic Outlook dell’Fmi, che sarà pubblicato la prossima settimana, con le previsioni di crescita aggiornate, l’Fmi ha reso noto che dal 2010 alla fine del 2015, i flussi netti di capitali in entrata nelle 45 economie dei paesi emergenti sono scesi di ben $1,1 trilioni, un valore pari al 4,9% del Pil. Il crollo dei flussi di capitali in entrata è stato spiegato con la riduzione del differenziale tra le prospettive di crescita del Pil dei paesi in via di sviluppo e quelle di crescita dei paesi avanzati. Una volta considerati il motore dell’economia globale, diversi paesi emergenti hanno infatti messo il freno a un boom che sembrava inarrestabile. Il problema è che la fuga di capitali è peggiore in termini relativi rispetto a quella che gli stessi mercati subirono durante la crisi finanziaria che colpì l’Asia alla fine degli anni ’90, e anche di quella che venne scatenata dalla crisi del debito in America Latina, negli anni ’80.
L’Fmi ha comunque fatto notare che la presenza di diversi fattori capaci di assorbire gli choc ha contribuito ad attutire il colpo: tra questi, i livelli più alti delle riserve di valute straniere presso le banche centrali, i rapporti di cambio tra le monete dei mercati emergenti più flessibili rispetto al passato, e i prezzi nazionali “apparentemente più ancorati”, probabilmente anche a causa delle politiche monetarie più attente al perseguimento di un determinato target di inflazione. “Fattore importante, la maggiore flessibilità dei regimi dei tassi di cambio ha facilitato deprezzamenti ordinati delle monete, che hanno mitigato gli effetti del ciclo dei flussi di capitali globali, in diverse economie dei mercati emergenti”.
Italia, Francia e Germania: barriere significative contro la concorrenza
Riferendosi al caso specifico della Cina, Gelos ha sottolineato che le scelte politiche del paese avranno “sempre più implicazioni per la stabilità finanziaria globale” nei prossimi anni, dal momento che la seconda economia più grande al mondo inizierà ad aprire i suoi mercati dei bond e azionari. Già in un report diffuso lunedì, l’Fmi aveva notato che le economie di paesi emergenti come Cina, India, Brasile e Russia hanno sostenuto più della metà della crescita economica globale nel corso degli ultimi 15 anni; di conseguenza, vista la correlazione crescente sia a livello commerciale che finanziario con il resto del mondo, gli effetti domino di questi paesi diventeranno “la norma” e non saranno più “una eccezione”. Sempre oggi, riguardo ai paesi avanzati, l’Fmi ha avvertito che la continua debolezza dell’economia globale mette in evidenza il bisogno di abbassare le tasse sul lavoro e di aumentare la spesa pubblica, in modo tale da riportare i disoccupati nelle fila dell’occupazione.
Nell’esprimere preoccupazione sulla crescita del Pil delle economie dell’Occidente dalla crisi del 2008-09, l’Fmi ha anche affermato che è il momento che le politiche monetarie di tassi di interesse estremamente bassi e di Quantitative easing vengano accompagnate da un ampio range di riforme strutturali. A tal proposito, l’istituzione di Washington ha parlato di ulteriori spazi per promuovere riforme strutturali in Italia, Francia e Germania. L’Fmi ha ribadito per le economie occidentali ancora una volta la necessità di tagliare il “cuneo fiscale”. In un capitolo dedicato alle riforme del mercato del lavoro all’interno del World economic outlook, ha affermato che: “le riforme che comportano uno stimolo fiscale sono le più preziose, compresa la riduzione cuneo fiscale e l’aumento della spesa pubblica per le politiche attive del mercato del lavoro. Anche le riforme del mercato dei prodotti dovrebbero essere la priorità”.
Un monito è stato rivolto tuttavia all’Italia, e per lo stesso motivo alla Francia e alla Germania. L’Fmi ha affermato che in questi paesi esistono ancora barriere che ostacolano la concorrenza. Barriere all’entrata sia nel commercio al dettaglio che nell’ambito dei servizi professionali che sono “significative e piuttosto stabili”, e che potrebbero e dovrebbero essere rimosse. “Esiste l’opportunità di rafforzare ulteriormente la concorrenza nei settori di beni non commerciabili, inclusi alcuni segmenti dei settori a rete, e anche nel commercio al dettaglio e nei servizi professionali dove restano significative e abbastanza stabili barriere all’entrata in alcuni paesi, ad esempio Canada, Francia, Germania, Italia e Giappone. Anche le riforme dei sistemi di protezione dell’occupazione potrebbero aumentare la produttività stimolando la riallocazione delle risorse tra aziende e settori”. Ancora, il Fondo Monetario Internazionale ha fatto notare che: “per molte economie avanzate questo è un periodo opportuno per sostenere ulteriori riforme: esiste un forte bisogno e un notevole spazio per le riforme, il panorama politico è favorevole e tali riforme potrebbero, nel medio periodo, aumentare il Pil potenziale e i livelli di occupazione“.
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