venerdì, aprile 22, 2016
Prima la frecciata di Juan Mendez, tecnico e relatore dell’Organizzazione e promotore del Rapporto sulle torture, adesso l’organismo europeo che accusa il Belpaese. Le critiche alle “bacchettate” internazionali però non tardano ad arrivare. 

di Dario Cataldo

Strumentalizzazione, opportunismo o congiura. I poveri obiettori di coscienza italiani non hanno pace. Una congiura da cui sembra non esserci via di fuga. E se anche Papa Francesco con l’esortazione post-sinodale Amoris Laetitia ribadisce “a coloro che operano nelle strutture sanitarie l’obbligo morale dell’obiezione di coscienza”, il contesto sociale sembra imporre un nuovo diktat.

Già con il “Report del relatore speciale sulla tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti”, presentato durante la ventiduesima sessione del Consiglio dei diritti umani dell’Onu, non mancarono le discussioni e i dibattiti accesi. L’iniziativa, sin dal titolo potrebbe di per sé essere condivisibile, se finalizzata a stigmatizzare tutte quelle pratiche che ledono i diritti delle donne. Una su tutte l’infibulazione, ancora oggi praticata e colpevole di morti senza senso.

È il concetto di tortura applicato all’obiezione della pratica abortiva che stride con termini quali crudeltà, degrado e inumano. Dal documento si evince l’esortazione agli Stati affinché si incentivi la depenalizzazione dell’aborto, rendendolo “sicuro e legale”, limitando la scelta del diritto all’obiezione di coscienza del personale sanitario. Le torture sono ben lontane dal “diritto alla vita”, sempre e comunque. Bisogna distinguere il fine terapeutico della pratica dal mero capriccio finalizzato alla mancata assunzione delle proprie responsabilità di futuri genitori.

In realtà, i problemi sono ben altri. Uno su tutti l’orribile “politica del figlio unico” cinese che finalmente sembra essere giunta al tramonto. Questo è motivo di scandalo e degrado umano, se le donne in Cina erano costrette da contratto a scegliere tra l’aborto o conservare il posto di lavoro. Segnali positivi comunque arrivano dal mondo sanitario. Gli obiettori continuano ad aumentare con percentuali esponenziali, anche in altre parti del globo. Forse è proprio per tale motivo che la campagna mediatica contro di loro non sembra cessare, anzi si infiamma sempre più.

Si ricorda come nel tanto discusso testo dell’Onu, la sezione B, al punto 46 dedicato ai “diritti riproduttivi”, fa esplicito riferimento alla tortura e al dolore inflitto alla donna quando gli operatori sanitari si rifiutano di intervenire con l’aborto. Della vita che porta in grembo e del doloro arrecato al povero “non nascituro”, nessuna traccia, neanche una parola. Anzi, sarebbero gli obiettori dei veri e propri aguzzini perché subdoli nel godere delle sofferenze altrui.

È ancora d’attualità la polemica sul “gender”. Bene, continuando alla sezione E del report, si fa luce su un altro aspetto che all’apparenza potrebbe essere non correlato ma che in realtà offre una visione d’insieme di come si voglia intendere la questione. Di fatto, si fa riferimento ai “gruppi emarginati” tra i quali bisessuali, transessuali, omosessuali e intersex, indicati adesso con la sigla “Lgbti”. A riguardo, il documento giudica come torture i cambiamenti di sesso finalizzati alle pratiche burocratiche perché promotori di sterilità o cambiamenti irreversibili del corpo.

Ecco che il cerchio si chiude, perché in linea con “l’ideologia gender”, si crea una sorta di interpretazione per la quale il sesso non sarebbe più una questione prettamente biologica ma mentale, frutto della decisione dell’individuo. Dal Vaticano si fa notare che il Comitato non prende spesso decisioni che riguardano tematiche sanitarie. Quando lo fanno, puntano il dito “stranamente sull’Italia” e sugli operatori di settore contrari all’aborto.

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