Nell’udienza generale del mercoledì, da Piazza San Pietro il Santo Padre si sofferma sul brano della peccatrice pentita del Vangelo di Luca.
di Dario Cataldo
Una contrapposizione sempre attuale, che troviamo in qualsiasi contesto, da quello profano a quello sacro. È l’utopia di credersi perfetti, nella vita così come nella fede. L’errore di tacciare gli altri come peccatori è sintomo di un malessere ricorrente: l’ipocrisia. Papa Francesco trae spunto dal Vangelo di Luca per affrontare il tema, presentando Simone, il fariseo che invita Gesù a pranzo e la peccatrice, etichettata come una “poco di buono” che entra clandestinamente e si prostra ai piedi del Messia, lavandogli i piedi con le lacrime e asciugandoli con i propri capelli.
Osserva il Pontefice: “Risalta il confronto tra le due figure: quella di Simone, lo zelante servitore della legge, e quella dell’anonima donna peccatrice. Mentre il primo giudica gli altri in base alle apparenze, la seconda con i suoi gesti esprime con sincerità il suo cuore. Simone, pur avendo invitato Gesù, non vuole compromettersi né coinvolgere la sua vita con il Maestro; la donna, al contrario, si affida pienamente a Lui con amore e con venerazione”.
L’atteggiamento del fariseo è tipico di un certo modo di intendere la religione e le pratiche ad essa correlate. Per tale motivo dichiara Bergoglio che: “la Parola di Dio ci insegna a distinguere tra il peccato e il peccatore: con il peccato non bisogna scendere a compromessi, mentre i peccatori – cioè tutti noi! – siamo come dei malati, che vanno curati”.
Tra il falso perbenismo della perfezione e la presa di coscienza del peccato, da quale parte si schiera Gesù? Certamente con quest’ultima condizione, la più affine all’uomo, che essendo imperfetto, necessita costantemente del dono della grazia di Dio. In tale accezione – chiosa il Vicario di Cristo – il termine grazia “è sinonimo di misericordia, e viene detta abbondante, cioè oltre ogni nostra attesa, perché attua il progetto salvifico di Dio per ognuno di noi”.
A conclusione dell’udienza, un consiglio ai fedeli: “Lasciamo che l’amore di Cristo si riversi in noi: a questo amore il discepolo attinge e su di esso si fonda; di questo amore ognuno si può nutrire e alimentare”.
di Dario Cataldo
Una contrapposizione sempre attuale, che troviamo in qualsiasi contesto, da quello profano a quello sacro. È l’utopia di credersi perfetti, nella vita così come nella fede. L’errore di tacciare gli altri come peccatori è sintomo di un malessere ricorrente: l’ipocrisia. Papa Francesco trae spunto dal Vangelo di Luca per affrontare il tema, presentando Simone, il fariseo che invita Gesù a pranzo e la peccatrice, etichettata come una “poco di buono” che entra clandestinamente e si prostra ai piedi del Messia, lavandogli i piedi con le lacrime e asciugandoli con i propri capelli.
Osserva il Pontefice: “Risalta il confronto tra le due figure: quella di Simone, lo zelante servitore della legge, e quella dell’anonima donna peccatrice. Mentre il primo giudica gli altri in base alle apparenze, la seconda con i suoi gesti esprime con sincerità il suo cuore. Simone, pur avendo invitato Gesù, non vuole compromettersi né coinvolgere la sua vita con il Maestro; la donna, al contrario, si affida pienamente a Lui con amore e con venerazione”.
L’atteggiamento del fariseo è tipico di un certo modo di intendere la religione e le pratiche ad essa correlate. Per tale motivo dichiara Bergoglio che: “la Parola di Dio ci insegna a distinguere tra il peccato e il peccatore: con il peccato non bisogna scendere a compromessi, mentre i peccatori – cioè tutti noi! – siamo come dei malati, che vanno curati”.
Tra il falso perbenismo della perfezione e la presa di coscienza del peccato, da quale parte si schiera Gesù? Certamente con quest’ultima condizione, la più affine all’uomo, che essendo imperfetto, necessita costantemente del dono della grazia di Dio. In tale accezione – chiosa il Vicario di Cristo – il termine grazia “è sinonimo di misericordia, e viene detta abbondante, cioè oltre ogni nostra attesa, perché attua il progetto salvifico di Dio per ognuno di noi”.
A conclusione dell’udienza, un consiglio ai fedeli: “Lasciamo che l’amore di Cristo si riversi in noi: a questo amore il discepolo attinge e su di esso si fonda; di questo amore ognuno si può nutrire e alimentare”.
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