di Patrizio Ricci
Per ora, se non fossero per i successi recenti dell'esercito siriano, non si vedrebbe certo una 'nuova Siria' all'orizzonte ma piuttosto una ummah islamica. Tra i combattenti dell'opposizione (escludendo le forze curde che non combattono contro lo stato), le forze non fondamentaliste sono fortemente minoritarie; la situazione sul reale apporto dei moderati nelle forze combattenti anti-Assad viene esagerata in maniera sproporzionata.
Le circostanze che si sono verificate in questi giorni ad Idlib, una cittadina situata nella Siria nord-occidentale, vicino al confine con la Turchia, rispecchiano quelle di molte altre località della Siria in mano ai ribelli, dove esistono formazioni armate di varia ispirazione e spesso in disaccordo.
Ad Idlib, dopo il 27 di febbraio, è entrato in vigore il cessate il fuoco: senza il pericolo dei combattimenti, molti simpatizzanti dei ribelli sono scesi in piazza, come in altre in decine di località. Parecchi filmati hanno mostrato gruppi di manifestanti esprimersi pacificamente sul futuro assetto politico del paese.
Però nei giorni successivi, quando i cittadini hanno provato a manifestare di nuovo, la repressione dei jadisti di al Nusra è stata dura: ci sono stati arresti e intimidazioni. L'ordine alla popolazione è stato perentorio: vietato manifestare con la bandiera della rivoluzione, consentita esporre solo la bandiera nera della jahad.
Tra tutte le unità dell'esercito libero siriano presenti nel governatorato, solo una, la Divisione 13 (molto
popolare tra la gente anche perché ha un'ala umanitaria che fornisce assistenza), se l'è sentita di alzare la voce in difesa dei diritti dei cittadini. Per tutta risposta, il 13 marzo, al Nusra ha assaltato il quartier generale della Divisione 13, uccidendo 4 miliziani e ferendone 20.
L'indomani all'Unità del ESL è stato sequestrato il quartier generale, confiscate tutte le armi e due depositi munizioni.
Ora il Free Syrian Army, vista l'inferiorità numerica, sta cercando il sostegno della popolazione, che non si è fatto attendere: lunedì scorso gruppi d manifestanti hanno preso d'assalto gli uffici di al Nusra, ed hanno bruciando diversi edifici e abbattuto le bandiere della nere della jihad in risposta agli attacchi del gruppo salafita contro le manifestazioni anti-governative. Anche i miliziani del FSA fatti prigionieri sono stati liberati.
Vedremo come andrà a finire, al-Nusra che finora ha fatto vedere una versione 'più soft' per guadagnare la fiducia della gente e proporsi come partito di governo, dovrà scegliere se continuare a reprimere le manifestazioni e perdere così il sostegno di parte della popolazione, oppure mutare a livello nazionale il tipo di approccio avuto finora.
Ma le odierne conflittualità erano prevedibili.
I rivoluzionari a patto che si vincesse contro l'odiato Assad, sono stati disposti ad allearsi con il diavolo. Ad Idlib, come in altre località, la vittoria sull'esercito governativo è stata per il Free Syrian Army possibile (nel marzo 2015) solo accettando l'unificazione di tutte le sigle ribelli sotto 'Jaish al-Fath' (Esercito della Conquista), un unico comando unificato antigovernativo.
Ora bisogna sapere che dei sette membri che compongono Jaish al-Fatah, tre (al-Nusra , Ahrar ash-Sham, e Jund al-Aqsa) sono direttamente riconducibili ad Al Qaeda: rappresentano il 90% per cento delle forze ribelli. Solo il restante 10% è composto dal Free Syrian Army e dai fratelli musulmani della milizia Faylaq Al-Sham.
Da questi dati si evince in primo luogo che i ribelli moderati considerano più dignitosa e democratica l'alleanza con al Qaeda che scendere a patti con il governo siriano; in secondo luogo che hanno accettato una alleanza in chiara inferiorità numerica pur di accaparrarsi comunque una fetta di potere.
Molte le opzioni sono in campo per i jadisti di al Nusra: ad Aleppo alcuni gruppi salafiti hanno cambiando sigla, e così possono ora partecipare al nuovo assetto del paese. L'occidente e le potenze regionali del Golfo hanno ammiccato facendo finta di niente. Vedremo cosa accadrà ad Idlib, se al Nusra, cercherà di sdoganarsi adattandosi, se la guerra siriana è servita in definitiva solo a sdoganare i gruppi salafiti per dare loro democraticamente un posto nel futuro del paese.
Se esaminiamo non ideologicamente i fatti, ci accorgiamo che nell'enfasi di voler cambiare tutto, e di regalare forzatamente la democrazia ai popoli si fanno disastri. Come rimediare? La risposta in un proverbio arabo citato qualche tempo fa da mons. Abou Kazen, vescovo cattolico di Aleppo: ''chi ha portato sul minareto l'asino, se vuole, sa come farlo scendere''.
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