Al termine dell'ultimo giro di consultazioni "non esiste un candidato che abbia il sostegno necessario per avere la fiducia in Parlamento". Così il comunicato di re Felipe VI, che ha riferito del fallimento dei colloqui con i leader dei partiti, avviando di fatto il paese verso nuove elezioni. Il 2 maggio si scioglieranno le camere.
E' andata come doveva andare. Dopo quattro interminabili mesi di stallo anche re Felipe VI, sovrano di Spagna, ha dovuto gettare la spugna e certificare, con un secco comunicato stampa, che "non esiste un candidato che abbia il sostegno necessario per avere la fiducia in Parlamento".
Il terzo giro di consultazioni del sovrano iberico si è concluso con un nulla di fatto: niente intesa "last minute" per dare alla Spagna un nuovo governo. Se entro il 2 maggio non ci sarà una clamorosa svolta, sarà inevitabile lo scioglimento del Parlamento eletto lo scorso 20 dicembre, richiamando gli elettori alle urne il prossimo 26 giugno.
Infruttuoso, dunque, anche il tentativo di Pedro Sanchez, leader del Partito socialista (Psoe). Dopo aver rifiutato di formare con il Partito popolare di Rajoy un governo di grande coalizione, Sánchez aveva trovato un accordo con il partito di centro-destra Ciudadanos ma ha dovuto capitolare di fronte al rifiuto di Podemos.
Un fallimento che era già nell'aria, tanto che il presidente uscente Rajoy non aveva neppure atteso il comunicato regio, avviando la campagna elettorale già sabato scorso, con un comizio a Cordova in cui ha rispolverato lo stesso slogan utilizzato lo scorso anno - "España en serio" - ed ha accusato i socialisti di non essersi dimostrati all'altezza.
Secondo gli ultimi sondaggi, anche a giugno nessun partito otterrà la maggioranza dei seggi e si riproporrà una frammentazione simile a quella uscita dal voto del dicembre scorso, col solo aumento dell'astensionismo. Il bipartitismo perfetto della Spagna post-franchista sembra ormai destinato a finire in cantina.
E' andata come doveva andare. Dopo quattro interminabili mesi di stallo anche re Felipe VI, sovrano di Spagna, ha dovuto gettare la spugna e certificare, con un secco comunicato stampa, che "non esiste un candidato che abbia il sostegno necessario per avere la fiducia in Parlamento".
Il terzo giro di consultazioni del sovrano iberico si è concluso con un nulla di fatto: niente intesa "last minute" per dare alla Spagna un nuovo governo. Se entro il 2 maggio non ci sarà una clamorosa svolta, sarà inevitabile lo scioglimento del Parlamento eletto lo scorso 20 dicembre, richiamando gli elettori alle urne il prossimo 26 giugno.
Infruttuoso, dunque, anche il tentativo di Pedro Sanchez, leader del Partito socialista (Psoe). Dopo aver rifiutato di formare con il Partito popolare di Rajoy un governo di grande coalizione, Sánchez aveva trovato un accordo con il partito di centro-destra Ciudadanos ma ha dovuto capitolare di fronte al rifiuto di Podemos.
Un fallimento che era già nell'aria, tanto che il presidente uscente Rajoy non aveva neppure atteso il comunicato regio, avviando la campagna elettorale già sabato scorso, con un comizio a Cordova in cui ha rispolverato lo stesso slogan utilizzato lo scorso anno - "España en serio" - ed ha accusato i socialisti di non essersi dimostrati all'altezza.
Secondo gli ultimi sondaggi, anche a giugno nessun partito otterrà la maggioranza dei seggi e si riproporrà una frammentazione simile a quella uscita dal voto del dicembre scorso, col solo aumento dell'astensionismo. Il bipartitismo perfetto della Spagna post-franchista sembra ormai destinato a finire in cantina.
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