«Chiedo personalmente al governo italiano di aiutarci, attraverso il riconoscimento ufficiale del genocidio, a tornare nelle nostre terre e a continuare a vivere nel nostro paese».
Con queste parole monsignor Petros Mouche, arcivescovo siro-cattolico di Mosul, aderisce alla campagna di Aiuto alla Chiesa che Soffre per richiedere alle istituzioni italiane di riconoscere come genocidio quanto commesso dallo Stato Islamico in Iraq e in Siria ai danni delle minoranze religiose. Un appello che nei giorni scorsi è stato raccolto in Parlamento, con due mozioni presentate alla Camera e al Senato e firmate da circa cento parlamentari. La campagna ha ricevuto anche l’appoggio del cardinale Jean Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso.
«Ringrazio Dio che tante persone e alcune istituzioni hanno finalmente iniziato a riconoscere quanto è accaduto alla nostra comunità – continua monsignor Mouche – che è un autentico genocidio». Il 10 giugno scorso è ricorso il triste secondo anniversario della presa di Mosul da parte dello Stato Islamico. Meno di due mesi dopo la conquista della seconda città irachena, nella notte tra il 6 ed il 7 agosto 2014, Isis ha preso possesso di tredici villaggi cristiani della Piana di Ninive. Da allora gli oltre 50mila fedeli della diocesi guidata da monsignor Mouche – che rappresentano un terzo dell’intera comunità siro-cattolica mondiale – vivono in condizione di rifugiati.
«Per conservare la nostra fede abbiamo lasciato tutto: le nostre case, i nostri averi – continua il presule - I jihadisti hanno distrutto il nostro patrimonio storico, religioso e culturale, hanno impedito ai nostri bambini di tornare a scuola, vietano la celebrazione della liturgia in molte aree storicamente cristiane. Per noi questo è un grande genocidio». Monsignor Mouche sottolinea come un riconoscimento ufficiale del genocidio da parte di più paesi, possa esercitare pressione sul governo iracheno affinché si impegni maggiormente nella protezione delle minoranze e nel sostegno alle migliaia di rifugiati fuggiti dallo Stato islamico.
«Se non fosse stato per la Chiesa locale e per quanti ci hanno aiutato, come Aiuto alla Chiesa che Soffre e la Conferenza episcopale italiana, queste persone non avrebbero di che vivere». Secondo il presule la definizione degli orrori dei jihadisti come genocidio, faciliterebbe e accelererebbe inoltre la liberazione delle terre in mano all’Isis. «In questo modo il governo iracheno si impegnerebbe maggiormente ad aiutarci a tornare nei nostri villaggi, a ricostruire le case distrutte e a garantirci sicurezza».
Infine il riconoscimento rappresenterebbe un passo importante per le migliaia di appartenenti alle minoranze religiose che hanno subito le violenze degli uomini di al Baghdadi. «È per noi una grande gioia sapere che il mondo pensa a noi, e che giudica e condanna quanto ci è accaduto. Ecco perché chiedo al governo italiano di aiutarci».
“Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS), Fondazione di diritto pontificio fondata nel 1947 da padre Werenfried van Straaten, si contraddistingue come l’unica organizzazione che realizza progetti per sostenere la pastorale della Chiesa laddove essa è perseguitata o priva di mezzi per adempiere la sua missione. Nel 2015 ha raccolto oltre 124 milioni di euro nei 22 Paesi dove è presente con Sedi Nazionali e ha realizzato 6.209 progetti in 148 nazioni.
Con queste parole monsignor Petros Mouche, arcivescovo siro-cattolico di Mosul, aderisce alla campagna di Aiuto alla Chiesa che Soffre per richiedere alle istituzioni italiane di riconoscere come genocidio quanto commesso dallo Stato Islamico in Iraq e in Siria ai danni delle minoranze religiose. Un appello che nei giorni scorsi è stato raccolto in Parlamento, con due mozioni presentate alla Camera e al Senato e firmate da circa cento parlamentari. La campagna ha ricevuto anche l’appoggio del cardinale Jean Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso.
«Ringrazio Dio che tante persone e alcune istituzioni hanno finalmente iniziato a riconoscere quanto è accaduto alla nostra comunità – continua monsignor Mouche – che è un autentico genocidio». Il 10 giugno scorso è ricorso il triste secondo anniversario della presa di Mosul da parte dello Stato Islamico. Meno di due mesi dopo la conquista della seconda città irachena, nella notte tra il 6 ed il 7 agosto 2014, Isis ha preso possesso di tredici villaggi cristiani della Piana di Ninive. Da allora gli oltre 50mila fedeli della diocesi guidata da monsignor Mouche – che rappresentano un terzo dell’intera comunità siro-cattolica mondiale – vivono in condizione di rifugiati.
«Per conservare la nostra fede abbiamo lasciato tutto: le nostre case, i nostri averi – continua il presule - I jihadisti hanno distrutto il nostro patrimonio storico, religioso e culturale, hanno impedito ai nostri bambini di tornare a scuola, vietano la celebrazione della liturgia in molte aree storicamente cristiane. Per noi questo è un grande genocidio». Monsignor Mouche sottolinea come un riconoscimento ufficiale del genocidio da parte di più paesi, possa esercitare pressione sul governo iracheno affinché si impegni maggiormente nella protezione delle minoranze e nel sostegno alle migliaia di rifugiati fuggiti dallo Stato islamico.
«Se non fosse stato per la Chiesa locale e per quanti ci hanno aiutato, come Aiuto alla Chiesa che Soffre e la Conferenza episcopale italiana, queste persone non avrebbero di che vivere». Secondo il presule la definizione degli orrori dei jihadisti come genocidio, faciliterebbe e accelererebbe inoltre la liberazione delle terre in mano all’Isis. «In questo modo il governo iracheno si impegnerebbe maggiormente ad aiutarci a tornare nei nostri villaggi, a ricostruire le case distrutte e a garantirci sicurezza».
Infine il riconoscimento rappresenterebbe un passo importante per le migliaia di appartenenti alle minoranze religiose che hanno subito le violenze degli uomini di al Baghdadi. «È per noi una grande gioia sapere che il mondo pensa a noi, e che giudica e condanna quanto ci è accaduto. Ecco perché chiedo al governo italiano di aiutarci».
“Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS), Fondazione di diritto pontificio fondata nel 1947 da padre Werenfried van Straaten, si contraddistingue come l’unica organizzazione che realizza progetti per sostenere la pastorale della Chiesa laddove essa è perseguitata o priva di mezzi per adempiere la sua missione. Nel 2015 ha raccolto oltre 124 milioni di euro nei 22 Paesi dove è presente con Sedi Nazionali e ha realizzato 6.209 progetti in 148 nazioni.
Tweet |
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.