Il 21 e il 26 luglio. Sono due date cruciali per il Venezuela, in profonda crisi economica e politica.
Radio Vaticana - In quei giorni, Caracas rispettivamente prenderà la presidenza di turno del Mercosur e si pronuncerà, attraverso il Consiglio nazionale elettorale, sul referendum chiesto con quattro milioni di firme dall’opposizione per revocare il mandato presidenziale di Nicolas Maduro. Nel frattempo, si aggrava il contesto sociale del Paese: centinaia di donne hanno attraversato il confine nord orientale con la Colombia per acquistare cibo e altri generi di prima necessità, che scarseggiano nei supermercati venezuelani; e anche gli ospedali sono a corto di medicinali essenziali. Giada Aquilino ne ha parlato con Gennaro Carotenuto, docente di Storia contemporanea all’Università di Macerata e studioso di questioni latinoamericane:
R. – La situazione così grave si è creata essenzialmente per il crollo del prezzo del petrolio. Il governo di Hugo Chavez e, dopo la sua morte, quello di Nicolas Maduro non hanno modificato praticamente di una virgola la dipendenza del Paese dal petrolio. Quando questo è passato da 180 dollari, del periodo di massima auge, a meno di 40 dollari la situazione non è stata più sostenibile. Si è aperta una crisi economica oggettivamente brutale per la quale né il governo Maduro né un eventuale governo dell’opposizione hanno strumenti di difesa. Tutto questo si aggiunge alla crisi dei governi latino-americani integrazionisti, di centrosinistra, che sono andati al potere negli ultimi 15 anni, arrivati tutti alla fine di un ciclo storico. Una delle grandi conquiste riguarda una serie di istituzioni integrazioniste che hanno garantito la pace e tutta una serie di altre cose nella regione nell’ultimo decennio abbondante e hanno per esempio impedito che l’America Latina diventasse parte di quell’Alca (Area di libero commercio delle Americhe, ndr) voluta da George Bush. Anche queste istituzioni, espressioni di una politica di integrazione della regione che in qualche modo sta passando di moda, con i nuovi governi si trovano in difficoltà e questi Paesi stanno quindi ricominciando una relazione diretta con quelli che sono i Paesi centrali: essenzialmente gli Stati Uniti, ma anche per esempio i Paesi europei come la Spagna e in particolar modo le multinazionali spagnole.
D. - Il braccio di ferro tra Maduro e l’opposizione ha aggravato questa crisi o è solo una faccia della crisi?
R. - Penso che sia una faccia della crisi dovuta dal fatto che, durante la maggior parte degli ultimi 18 anni della vita del Paese, una parte dell’opposizione – attenzione: non tutta - ha sempre visto un’uscita violenta dal chavismo come opzione principale, in un contesto nel quale evidentemente il gruppo di potere intorno a Nicolas Maduro e le varie anime diverse del chavismo - che a volte sono contaminate da fenomeni corruttivi importanti - cercano di difendere un potere per il quale un cambio di segno politico non sarebbe la fine di un progetto di cambiamento sociale quale era quello di Hugo Cahavez, ma anche la fine di un potere personale e quindi della possibilità di arricchimento spesso illecito.
D. - Argentina e Brasile, membri principali del Mercosur, hanno criticato il governo Maduro, accusandolo di violare i diritti umani dei venezuelani. Tra due settimane Caracas prenderà la presidenza di turno di questo blocco regionale. Cosa accadrà?
R. - La questione dei diritti umani è importantissima. Ma è evidente che c’è stato bisogno di un cambio di segno politico totale sia in Argentina sia in Brasile per criticare la violazione dei diritti umani. Quello latino-americano è un continente molto complicato: se pensiamo che l’altro giorno la polizia in Messico ha sparato ad altezza d’uomo sui maestri che, nello Stato di Oaxaca, si opponevano al governo, vediamo che c’è anche un uso strumentale di queste questioni. La situazione dei diritti umani in Venezuela non è sicuramente peggiore di altre realtà.
D. - Centinaia di venezuelani hanno attraversato il confine con la Colombia per acquistare cibo e generi di prima necessità. Perché scarseggia il cibo e perché è venuto così “naturale” oltrepassare il confine?
R. - Il processo bolivariano ha comportato un’enorme nazionalizzazione della distribuzione del cibo. Quindi c’erano prezzi concordati e decisi dallo Stato al di fuori di una logica mercatista e questo ha delle enormi quote di inefficienza, anche se può garantire la distribuzione di alimenti o altri beni di prima necessità a quote della popolazione che prima ne erano escluse. Ma per molti anni c’è stato un contrabbando all’inverso: le persone compravano i prodotti anche di primissima necessità in Venezuela e li esportavano in Colombia. Ma esportare e contrabbandare in Colombia vuol dire spesso e volentieri attraversare semplicemente una strada.
Radio Vaticana - In quei giorni, Caracas rispettivamente prenderà la presidenza di turno del Mercosur e si pronuncerà, attraverso il Consiglio nazionale elettorale, sul referendum chiesto con quattro milioni di firme dall’opposizione per revocare il mandato presidenziale di Nicolas Maduro. Nel frattempo, si aggrava il contesto sociale del Paese: centinaia di donne hanno attraversato il confine nord orientale con la Colombia per acquistare cibo e altri generi di prima necessità, che scarseggiano nei supermercati venezuelani; e anche gli ospedali sono a corto di medicinali essenziali. Giada Aquilino ne ha parlato con Gennaro Carotenuto, docente di Storia contemporanea all’Università di Macerata e studioso di questioni latinoamericane:
R. – La situazione così grave si è creata essenzialmente per il crollo del prezzo del petrolio. Il governo di Hugo Chavez e, dopo la sua morte, quello di Nicolas Maduro non hanno modificato praticamente di una virgola la dipendenza del Paese dal petrolio. Quando questo è passato da 180 dollari, del periodo di massima auge, a meno di 40 dollari la situazione non è stata più sostenibile. Si è aperta una crisi economica oggettivamente brutale per la quale né il governo Maduro né un eventuale governo dell’opposizione hanno strumenti di difesa. Tutto questo si aggiunge alla crisi dei governi latino-americani integrazionisti, di centrosinistra, che sono andati al potere negli ultimi 15 anni, arrivati tutti alla fine di un ciclo storico. Una delle grandi conquiste riguarda una serie di istituzioni integrazioniste che hanno garantito la pace e tutta una serie di altre cose nella regione nell’ultimo decennio abbondante e hanno per esempio impedito che l’America Latina diventasse parte di quell’Alca (Area di libero commercio delle Americhe, ndr) voluta da George Bush. Anche queste istituzioni, espressioni di una politica di integrazione della regione che in qualche modo sta passando di moda, con i nuovi governi si trovano in difficoltà e questi Paesi stanno quindi ricominciando una relazione diretta con quelli che sono i Paesi centrali: essenzialmente gli Stati Uniti, ma anche per esempio i Paesi europei come la Spagna e in particolar modo le multinazionali spagnole.
R. - Penso che sia una faccia della crisi dovuta dal fatto che, durante la maggior parte degli ultimi 18 anni della vita del Paese, una parte dell’opposizione – attenzione: non tutta - ha sempre visto un’uscita violenta dal chavismo come opzione principale, in un contesto nel quale evidentemente il gruppo di potere intorno a Nicolas Maduro e le varie anime diverse del chavismo - che a volte sono contaminate da fenomeni corruttivi importanti - cercano di difendere un potere per il quale un cambio di segno politico non sarebbe la fine di un progetto di cambiamento sociale quale era quello di Hugo Cahavez, ma anche la fine di un potere personale e quindi della possibilità di arricchimento spesso illecito.
D. - Argentina e Brasile, membri principali del Mercosur, hanno criticato il governo Maduro, accusandolo di violare i diritti umani dei venezuelani. Tra due settimane Caracas prenderà la presidenza di turno di questo blocco regionale. Cosa accadrà?
R. - La questione dei diritti umani è importantissima. Ma è evidente che c’è stato bisogno di un cambio di segno politico totale sia in Argentina sia in Brasile per criticare la violazione dei diritti umani. Quello latino-americano è un continente molto complicato: se pensiamo che l’altro giorno la polizia in Messico ha sparato ad altezza d’uomo sui maestri che, nello Stato di Oaxaca, si opponevano al governo, vediamo che c’è anche un uso strumentale di queste questioni. La situazione dei diritti umani in Venezuela non è sicuramente peggiore di altre realtà.
D. - Centinaia di venezuelani hanno attraversato il confine con la Colombia per acquistare cibo e generi di prima necessità. Perché scarseggia il cibo e perché è venuto così “naturale” oltrepassare il confine?
R. - Il processo bolivariano ha comportato un’enorme nazionalizzazione della distribuzione del cibo. Quindi c’erano prezzi concordati e decisi dallo Stato al di fuori di una logica mercatista e questo ha delle enormi quote di inefficienza, anche se può garantire la distribuzione di alimenti o altri beni di prima necessità a quote della popolazione che prima ne erano escluse. Ma per molti anni c’è stato un contrabbando all’inverso: le persone compravano i prodotti anche di primissima necessità in Venezuela e li esportavano in Colombia. Ma esportare e contrabbandare in Colombia vuol dire spesso e volentieri attraversare semplicemente una strada.
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