Il presidente turco, da sempre avverso ai social e ai mezzi d'informazione, chiede ai cittadini di scendere in piazza attraverso il programma di videochiamata di Apple nel corso di un’intervista con la Cnn turca. Si tratta del primo golpe fallito attraverso i network.
di Lorenzo Carchini
Mentre più di mille golpisti vengono arrestati ed i lealisti cantano per le strade "Allah Akbar", risalta la dicotomia tecnologica tra il blocco e il rallentamento dei social network e l'utilizzo di FaceTime, da parte di Erdogan, per invitare il popolo a scendere in piazza. Sullo sfondo del fallito colpo di Stato in Turchia si trova un modello di comunicazione e fare informazione destinato a passare alla storia.
I golpisti si apprestavano ad occupare le strade di Istanbul e Ankara, prendendo il controllo dei centri nevralgici del Paese, quando il presidente Erdogan, sulla cui sorte si discettava in tutte le reti televisive, concedeva un'intervista alla Cnn turca.
La giornalista mostrava alla telecamera un iPhone. Sullo schermo il volto di Erdogan, connesso via FaceTime. Nel corso del dialogo, il viso del presidente è persino scomparso per alcuni secondi, quando la giornalista ha ricevuto una telefonata. Un prime time del tutto nuovo e che getta nel futuro un paese da tempo afflitto da un severo controllo mediatico e delle comunicazioni.
La tecnologia ai piedi del "Sultano". I due hanno sfruttato il programma di videochiamate di Apple che permette ai possessori di Iphone di dialogare rivolgendosi alla fotocamera frontale e appoggiandosi a Internet e non alla rete telefonica.
Mentre i cittadini turchi non erano in grado, come ormai da tradizione, di accedere a Facebook, Twitter, Vimeo, Instagram e Youtube, Erdogan si aggrappava proprio a Internet per lanciare il suo appello alla popolazione: "Scendete in piazza e date la vostra risposta ai golpisti". Non solo, ma giocava anche la carta del cinguettio, proprio lui da sempre avverso ai media e ai social network, responsabile in passato di numerosi blocchi di Twitter.
Il blocco ai social sarebbe, però, avvenuto solo nelle primissime fasi del golpe. Nonostante la legge del 2007 che consente all'esecutivo di intervenire sui portali, i social potrebbero aver subito solo un rallentamento e non un blocco totale. Periscope, per i video in diretta, funzionava correttamente. Stesso discorso per Whatsapp di Facebook. Youtube ha fatto sapere di non aver notato anomalie.
Numerosi i live streaming sul social network, una nuova frontiera per giornalisti e reporter, che possono attingere da questi video. Abituati ai blackout dei social imposti dal governo, nel solo 2016 ce ne sono già stati tre, i cittadini turchi potrebbero, infatti, aver aggirato il muro con una virtual private network (Vpn) o cambiando i server Dns.
di Lorenzo Carchini
Mentre più di mille golpisti vengono arrestati ed i lealisti cantano per le strade "Allah Akbar", risalta la dicotomia tecnologica tra il blocco e il rallentamento dei social network e l'utilizzo di FaceTime, da parte di Erdogan, per invitare il popolo a scendere in piazza. Sullo sfondo del fallito colpo di Stato in Turchia si trova un modello di comunicazione e fare informazione destinato a passare alla storia.
I golpisti si apprestavano ad occupare le strade di Istanbul e Ankara, prendendo il controllo dei centri nevralgici del Paese, quando il presidente Erdogan, sulla cui sorte si discettava in tutte le reti televisive, concedeva un'intervista alla Cnn turca.
La giornalista mostrava alla telecamera un iPhone. Sullo schermo il volto di Erdogan, connesso via FaceTime. Nel corso del dialogo, il viso del presidente è persino scomparso per alcuni secondi, quando la giornalista ha ricevuto una telefonata. Un prime time del tutto nuovo e che getta nel futuro un paese da tempo afflitto da un severo controllo mediatico e delle comunicazioni.
La tecnologia ai piedi del "Sultano". I due hanno sfruttato il programma di videochiamate di Apple che permette ai possessori di Iphone di dialogare rivolgendosi alla fotocamera frontale e appoggiandosi a Internet e non alla rete telefonica.
Mentre i cittadini turchi non erano in grado, come ormai da tradizione, di accedere a Facebook, Twitter, Vimeo, Instagram e Youtube, Erdogan si aggrappava proprio a Internet per lanciare il suo appello alla popolazione: "Scendete in piazza e date la vostra risposta ai golpisti". Non solo, ma giocava anche la carta del cinguettio, proprio lui da sempre avverso ai media e ai social network, responsabile in passato di numerosi blocchi di Twitter.
Il blocco ai social sarebbe, però, avvenuto solo nelle primissime fasi del golpe. Nonostante la legge del 2007 che consente all'esecutivo di intervenire sui portali, i social potrebbero aver subito solo un rallentamento e non un blocco totale. Periscope, per i video in diretta, funzionava correttamente. Stesso discorso per Whatsapp di Facebook. Youtube ha fatto sapere di non aver notato anomalie.
Numerosi i live streaming sul social network, una nuova frontiera per giornalisti e reporter, che possono attingere da questi video. Abituati ai blackout dei social imposti dal governo, nel solo 2016 ce ne sono già stati tre, i cittadini turchi potrebbero, infatti, aver aggirato il muro con una virtual private network (Vpn) o cambiando i server Dns.
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