venerdì, luglio 08, 2016
Occupata per qualche ora la base militare all’aeroporto di Aden. Nel vacuum istituzionale, avanzano i jihadisti e arretra ancora il dialogo tra governo e Houthi.

Nena News - La base militare nell’aeroporto di Aden è tornata in mano governativa. Ma l’attacco di ieri, perpetrato dai miliziani di al Qaeda, svela ancora una volta la pervasiva presenza nel sud dello Yemen, ad oggi quasi completamente sotto il controllo del governo ufficiale sostenuto dall’Arabia Saudita.

Ieri un commando qaedista ha attaccato la base uccidendo un numero imprecisato di soldati: alcune fonti parlano di 6 morti, altre di 10.

Uccisi anche alcuni miliziani jihadisti, secondo quanto riportato dal comandante della base Nasser Sarie. A sostenere dall’alto i militari sul posto sono stati gli elicotteri Apache dell’Arabia Saudita che hanno colpito gli assalitori. Il commando è arrivato alla base aprendosi la strada con due attentatori suicidi, saltati in aria al checkpoint di ingresso. Poi uomini armati hanno aperto il fuoco, riuscendo per qualche ora ad impossessarsi della base.

La città di Aden resta luogo strategico, porto sul Golfo di Aden e il passaggio verso il Canale di Suez: occupata dai ribelli Houthi lo scorso anno, è tornata in mano governativa. Ma più di un rapporto dimostra che, al fianco dei soldati del governo, combatterono in chiave anti-Houthi anche i miliziani qaedisti. Una presenza che si è concretizzata nell’assunzione del controllo di alcuni quartieri della città costiera, poi ripuliti – ma non del tutto – dele cellule qaediste.

L’attacco di ieri è la prova del radicamento del suo braccio più potente, al Qaeda nella Penisola Arabica. Poco dopo l’assalto, online è comparsa la rivendicazione dell’azione, definita una vendetta per le operazioni condotte dal governo contro il gruppo nel sud dello Yemen. In particolare i qaedisti sono presenti a sud-est, nella regione storica di Hatramaut e nella città di Mukalla che hanno letteralmente governato e amministrato per mesi. E ancora oggi, nonostante la ripresa della città da parte del governo, quartieri di Mukalla restano in mano qaedista insieme ad altre zone nelle province vicine.

In tale vacuum istituzionale e politico, il negoziato promosso dall’Onu in Kuwait resta al palo. Tutto era stato rinviato, a giugno, al 15 luglio ma manca ancora una reale volontà politica di scendere a compromessi. Nei giorni scorsi il governo ha di nuovo espresso dubbi sulla fattibilità di un accordo con i ribelli Houthi, parlando di “differenze sostanziali” nelle posizioni delle due parti: “A causa della testardaggine [dei ribelli] e i loro ritardi, non è stato possibile raggiungere un accordo su nessuna delle questioni in agenda”, ha detto qualche giorno fa la delegazione governativa in Kuwait.

Quello che l’esecutivo appoggiato da Riyadh, in realtà, vuole è la capitolazione del movimento: l’abbandono delle armi e il ritiro dalle zone occupate prima di formare un governo di unità. Una tempistica che gli Houthi rifiutano perché convinti servirà solo ad estrometterli ancora dal potere politico. Gli Houthi hanno più volte accettato la risoluzione del Consiglio di Sicurezza che impone ritiro e abbandono delle armi ma chiedono prima garanzie, ovvero la firma di un accordo che apra la strada ad un governo di transizione di cui siano parte integrante.

Da parte sua l’inviato Onu per lo Yemen, Ould Cheikh Ahmed, ha promesso di tornare al tavolo di metà luglio con una road map, definita sui principi generali accettati dalle due parti ma per ora priva di scadenze temporali reali. Ma il conflitto non si ferma né la sofferenza del popolo yemenita. I bilanci non vengono quasi più aggiornati, fermi a 6.400 morti, una stima sicuramente al ribasso.


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