lunedì, settembre 19, 2016
Se non cambiamo il modo in cui peschiamo, conseguenze negative per gli ecosistemi marini.

Green Report - Secondo il nuovo studio “Ecological selectivity of the emerging mass extinction in the oceans”, che verrà pubblicato domani su Science da un team di ricercatori statunitensi delle università di Stanford, Connecticut e California – Santa Barbara, gli animali marini più grossi hanno maggiori probabilità di estinguersi di creature più piccole e i ricercatori sottolineano che «E’ un modello senza precedenti di estinzione negli oceani oodierni, che colpisce selettivamente gli animali di grandi dimensioni rispetto alle creature più piccole ed è probabilmente guidato dalla pesca umana».

Jonathan Payne, un paleobiologo della School of Earth, "Energy e Environmental Sciences" di Stanford, spiega: «Abbiamo scoperto che la minaccia l’estinzione negli oceani moderni è fortemente associata alle maggiori dimensioni corporee. Questo è probabilmente dovuto al fatto che la gente prende prima di mira le specie più grandi per consumarle».

Payne e il suo team hanno esaminato il collegamento tra livello di minaccia di estinzione e caratteristiche ecologiche come la dimensione del corpo per due principali gruppi di animali marini: molluschi e vertebrati, negli ultimi 500 anni e lo hanno confrontato con le estinzioni di massa avvenute nel remoto passato della Terra, risalendo fino a 445 milioni di anni fa, ma con una particolare attenzione a quanto avvenuto sul nostro pianeta 66 milioni di anni.

Noel Heim , un ricercatore del laboratorio di Payne, spiega: «Abbiamo utilizzato la documentazione fossile per dimostrare, in modo concreto e convincente, che ciò che sta accadendo negli oceani moderni è davvero diverso da quanto è successo in passato».

In particolare, lo studio evidenzia che l’era moderna è unica perché sono le creature con le dimensioni del corpo più grandi ad essere più a rischio di estinzione. «Quello che la nostra analisi dimostra è che per ogni fattore 10 di aumento della massa corporea, le probabilità di essere minacciati di estinzione salgono di un fattore 13 o giù di lì – ha detto Payne – Più grandi si è, più possibilità ci sono di essere di fronte all’estinzione».

L’estinzione selettiva degli animali di grandi dimensioni potrebbe avere gravi conseguenze per la salute degli ecosistemi marini, dicono gli scienziati, perché queste specie tendono ad essere in cima alle reti alimentari e i loro spostamenti lungo la colonna d’acqua e i fondali marini favoriscono il ciclo delle sostanze nutritive negli oceani.

Judy Skog, direttode della Division of Earth sciences della National science foundation Usa, che ha finanziato la ricerca, ha detto che «I risultati dovrebbero essere inseriti nelle decisioni su come gestiamo le risorse oceaniche come la pesca. Questi risultati dimostrano che gli animali marini più grandi stanno per scomparire dai mari più velocemente di quelli più piccoli. Gli studi di reperti fossili indicano che questa tendenza non esisteva in passato: si tratta di un nuovo sviluppo nel mondo odierno».

Payne ed i suoi colleghi non hanno esaminato direttamente il motivo per cui i grandi animali marini moderni hanno un più alto rischio di estinzione, ma i loro risultati sono coerenti con un crescente corpo di letteratura scientifica individua negli esseri umani i principali colpevoli: «E’ in linea con la tendenza della pesca di sfruttare prima le specie più grandi e, successivamente, di spostarsi verso il basso della rete alimentare e prendere di mira le specie più piccole», aggiunge il co-autore Matthew Knope, che ha lavorato nel laboratorio di Payne e che ora è all’Università delle Hawaii – Hilo.

Heim spiega ancora: «E’ un modello che gli scienziati hanno già visto prima. Sulla terra, per esempio, c’è la prova che gli antichi esseri umani sono stati i responsabili del massacro dei mammut e dell’altra megafauna in tutto il mondo. Lo abbiamo visto moltissime volte. Gli esseri umani entrano in un nuovo ecosistema e gli animali più grandi vengono uccisi per primi. Finora i sistemi marini erano stati risparmiati perché fino a poco tempo fa gli esseri umani erano limitati alle zone costiere e non avevano a tecnologia per pescare nell’oceano profondo su scala industriale».

Per fortuna, secondo lo studio, siamo ancora in tempo per cambiare il nostro comportamento e Payne conclude: «Non possiamo fare molto per invertire rapidamente le tendenze del riscaldamento degli oceani e dell’acidificazione degli oceani, che sono entrambi vere e proprie minacce che devono essere affrontate. Ma siamo in grado di cambiare i comportamenti relativi al modo in cui cacciamo e peschiamo. Le popolazioni ittiche hanno anche la possibilità di recuperare molto più rapidamente del clima o della chimica dell’oceano. Possiamo cambiare questa situazione in tempi relativamente brevi, con decisioni di gestione appropriate a livello nazionale e internazionale».


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