Il ghostwriter della biografia del tycoon newyorkese esce allo scoperto e racconta il periodo trascorso insieme: "Un bugiardo cronico che non tollera le interviste; la possibilità che raggiunga la Casa Bianca rappresenta un pericolo per tutto il mondo".
La vita del ghostwriter non è affatto semplice. Si tratta di scrivere un libro, spesso una biografia, che alla fine verrà firmata da qualcun'altro che ne raccoglierà guadagni e fama, il nome del vero autore lo si potrà trovare nella copertina, ma nessuno ci farà caso. Quando Tony Schwartz si stava accingendo a scrivere "Trump: The Art of the Deal" (uscito in italiano come "L'arte di fare affari" per Sperling & Kupfer), nel lontano 1987, mai si sarebbe aspettato che quell'uomo "completamente fuori dagli schemi, ossessionato dalla pubblicità" potesse correre per un posto alla Casa Bianca.
"Rimasi sorpreso dalla sua infima soglia dell'attenzione". Durante la sua prima intervista il magnate newyorkese, racconta Schwartz, si stancò molto presto, sostenendo l'inutilità di tutto ciò: "Proprio non tollerava le interviste. Non riusciva a stare attento per più di qualche minuto e pensa un po', stavamo addirittura parlando del suo argomento preferito: sé stesso". Si stancava subito: "Un po' come un ragazzino che non riesce a star seduto".
"Si può dire che sia stato lui a creare il mostro", scherza (ma neppure troppo) Edward Kosner, ex editore del New York e collega. Così, raccontando la sua esperienza a diretto contatto con l'esuberante Trump, vivendo con lui la vita d'ufficio, i meeting, gli attici di Manhattan e la villa in Florida, Schwartz ritiene di essere, ad oggi, il solo a poter dire di aver conosciuto davvero l'uomo, aldilà della cerchia familiare, "e posso dire che non esiste un Trump privato, ama ricevere attenzioni, se potesse avere altre 300mila persone ad ascoltarlo sarebbe ancora più felice. Non gli interessa del prossimo e non ha amici, se non può sfruttarli a suo vantaggio".
"Provo un grande rimorso per aver contribuito a presentare Trump in un modo che lo abbia reso più appetibile alle attenzioni del pubblico di quanto in realtà sia", commenta amaro Schwartz: "Se lo dovessi scrivere oggi sicuramente non userei quel titolo, 'The Art of the Deal', piuttosto 'The Sociopath'". Eppure quella copertina ebbe un successo clamoroso, il nome a lettere cubitali d'oro in primo piano e la sua foto (scelte imposte dallo stesso Trump), in posa come un conquistatore, crearono un modello a cui altri imprenditori si sono affidati nel tempo nel tentativo di descrivere sé stessi.
Tutto da lui esce esagerato: "Mentire è la sua seconda natura", racconta Schwartz, "Più di chiunque altro abbia mai incontrato, Trump ha l'abilità di convincere sé stesso che qualunque cosa stia dicendo in qualsiasi momento sia vera, o quasi, quantomeno dovrebbe esserla". Dunque menzogne, ma "strategiche": "A riguardo mostra una completa mancanza di coscienza. Mentre la maggior parte delle persone possono essere 'vincolate' alla verità, l'indifferenza di Trump gli fornisce uno strano vantaggio".
Con questo quadro ci accingiamo, lunedì prossimo, al decisivo scontro televisivo fra il tycoon e Hillary Clinton. Ecco come la giocherebbe Schwartz per il New York Times:"Ciò che mi auguro è che Hillary non segua le stesse mosse fatte con Matt Lauer (Nbc), ovvero di aggrapparsi alla sua conoscenza, alla sua abilità di produrre centinaia di fatti in un brevissimo periodo di tempo, perché questo dibattito non riguarderà affatto questi temi, non sarà sulle questioni in gioco. Sarà interamente basato sulle emozioni, sulla capacità del candidato di farci sentire più al sicuro. E colui che vincerà qui non solo avrà vinto il dibattito, ma anche le elezioni".
La vita del ghostwriter non è affatto semplice. Si tratta di scrivere un libro, spesso una biografia, che alla fine verrà firmata da qualcun'altro che ne raccoglierà guadagni e fama, il nome del vero autore lo si potrà trovare nella copertina, ma nessuno ci farà caso. Quando Tony Schwartz si stava accingendo a scrivere "Trump: The Art of the Deal" (uscito in italiano come "L'arte di fare affari" per Sperling & Kupfer), nel lontano 1987, mai si sarebbe aspettato che quell'uomo "completamente fuori dagli schemi, ossessionato dalla pubblicità" potesse correre per un posto alla Casa Bianca.
"Rimasi sorpreso dalla sua infima soglia dell'attenzione". Durante la sua prima intervista il magnate newyorkese, racconta Schwartz, si stancò molto presto, sostenendo l'inutilità di tutto ciò: "Proprio non tollerava le interviste. Non riusciva a stare attento per più di qualche minuto e pensa un po', stavamo addirittura parlando del suo argomento preferito: sé stesso". Si stancava subito: "Un po' come un ragazzino che non riesce a star seduto".
"Si può dire che sia stato lui a creare il mostro", scherza (ma neppure troppo) Edward Kosner, ex editore del New York e collega. Così, raccontando la sua esperienza a diretto contatto con l'esuberante Trump, vivendo con lui la vita d'ufficio, i meeting, gli attici di Manhattan e la villa in Florida, Schwartz ritiene di essere, ad oggi, il solo a poter dire di aver conosciuto davvero l'uomo, aldilà della cerchia familiare, "e posso dire che non esiste un Trump privato, ama ricevere attenzioni, se potesse avere altre 300mila persone ad ascoltarlo sarebbe ancora più felice. Non gli interessa del prossimo e non ha amici, se non può sfruttarli a suo vantaggio".
"Provo un grande rimorso per aver contribuito a presentare Trump in un modo che lo abbia reso più appetibile alle attenzioni del pubblico di quanto in realtà sia", commenta amaro Schwartz: "Se lo dovessi scrivere oggi sicuramente non userei quel titolo, 'The Art of the Deal', piuttosto 'The Sociopath'". Eppure quella copertina ebbe un successo clamoroso, il nome a lettere cubitali d'oro in primo piano e la sua foto (scelte imposte dallo stesso Trump), in posa come un conquistatore, crearono un modello a cui altri imprenditori si sono affidati nel tempo nel tentativo di descrivere sé stessi.
Tutto da lui esce esagerato: "Mentire è la sua seconda natura", racconta Schwartz, "Più di chiunque altro abbia mai incontrato, Trump ha l'abilità di convincere sé stesso che qualunque cosa stia dicendo in qualsiasi momento sia vera, o quasi, quantomeno dovrebbe esserla". Dunque menzogne, ma "strategiche": "A riguardo mostra una completa mancanza di coscienza. Mentre la maggior parte delle persone possono essere 'vincolate' alla verità, l'indifferenza di Trump gli fornisce uno strano vantaggio".
Con questo quadro ci accingiamo, lunedì prossimo, al decisivo scontro televisivo fra il tycoon e Hillary Clinton. Ecco come la giocherebbe Schwartz per il New York Times:"Ciò che mi auguro è che Hillary non segua le stesse mosse fatte con Matt Lauer (Nbc), ovvero di aggrapparsi alla sua conoscenza, alla sua abilità di produrre centinaia di fatti in un brevissimo periodo di tempo, perché questo dibattito non riguarderà affatto questi temi, non sarà sulle questioni in gioco. Sarà interamente basato sulle emozioni, sulla capacità del candidato di farci sentire più al sicuro. E colui che vincerà qui non solo avrà vinto il dibattito, ma anche le elezioni".
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