giovedì, dicembre 01, 2016
Oltre 2 milla città hanno illuminato ieri sera, assieme al Colosseo di Roma, un proprio monumento in segno di adesione all'iniziativa "Cities for life", promossa annualmente dalla Comunità di Sant'Egidio per chiedere l'abolizione della pena di morte nel mondo.

Radio Vaticana - (ndr. evento di ieri, 30 dicembre).  Durante la serata a Roma, che sarà condotta da Luca Barbarossa, verranno lette testimonianze dal braccio della morte tra cui quella di Susan Kigula, ex detenuta che oggi combatte per l'abolizione della pena di morte in Uganda. Francesco Gnagni ne ha parlato con Carlo Santoro, responsabile per gli Stati Uniti della Comunità di Sant'Egidio: ascolta

R. – Il 30 novembre di ogni anno - e ormai da molti anni - ricordiamo il primo anniversario dell’abolizione della pena di morte in uno Stato europeo. E in realtà iniziammo nell’anno Duemila, incoraggiati da Papa Giovanni Paolo II ad illuminare il Colosseo, illuminato per 18 volte, ogni volta che c’era una buona notizia sulla pena di morte, quindi per qualsiasi commutazione, abolizione o comunque quando veniva salvata una vita umana.

Dopo il Duemila, in realtà, non sapevamo bene come proseguire questa iniziativa; capimmo poi che sarebbe stato comunque il caso di farlo quando ci chiamarono da uno Stato americano per dire che avrebbero voluto far accendere il Colosseo anche per un commutazione… E quindi pensammo che in ogni città sarebbe potuta essere una buona occasione per coinvolgere la gente su un tema così importante come la pena di morte, ma anche come la violenza diffusa: decidemmo allora che ogni città avrebbe potuto avere un “piccolo Colosseo”, un proprio monumento da illuminare, tutti assieme il 30 novembre per dire “No" alla pena di morte, perché è un problema assolutamente globale, che ci coinvolge tutti.

D. – Infatti sarà una iniziativa promossa a Roma e non solo…

R. – Assolutamente sì! Più di 2 mila città diranno “No alla pena di morte. Sì alla vita”. Sono stato tre volte in Florida quest’anno e siamo particolarmente felici che i vescovi della Florida – tutta la Conferenza episcopale – abbiano deciso di aderire a questa iniziativa: tutte le otto diocesi illumineranno la propria cattedrale. Questo vuol anche dire che in uno Stato in cui c’è una situazione ancora così difficile dal punto di vista della pena di morte, la gente, i cristiani, i cattolici danno invece una risposta molto forte e positiva, anche alle parole del Papa.

D. – C’è anche una consapevolezza, che è quella del dovere di ogni cristiano di promuovere una cultura della vita…

R. – Esattamente questo mi sembra il problema. Mi sembra sempre più chiaro che bisogna difendere la vita a tutti gli livelli, come ci dice la Chiesa dal concepimento fino alla morte naturale. E questo è un messaggio sempre più forte. Io penso che vada difesa la vita ad ogni livello e anche per ogni strato sociale: il che vuol dire che – ad esempio – a noi è richiesto di difendere la vita dei poveri, perché spesso sappiamo che sono quelli che vivono in maniera più disagiata.

D. – Dopo Giovanni Paolo II, anche Papa Francesco ha detto che la pena di morte è inammissibile, che è un’offesa all’inviolabilità della vita e che non rende giustizia alle vittime, ma fomenta vendetta. Ecco, colpisce molto l’uso di questa parola “giustizia”…

R. – Penso che il Papa non abbia mai perso occasione per parlare in favore dell’abolizione della pena di morte: penso che una delle occasioni più importanti sia stata quando apertamente al Congresso americano ha detto che era il momento di abolire la pena capitale. Prima di lui, Benedetto e ancor prima Giovanni Paolo II sono riusciti a scalfire un po’ quella che era la cultura della morte, per cui spesso - anche per molti cristiani - era accettabile dire che un criminale dovesse morire per quanto commesso. Il Papa ci parla spesso della cultura dello scarto e devo dire che, andando a visitare diverse volte negli Stati Uniti le persone che sono nel braccio della morte e che attendono quindi l’esecuzione, ho capito bene che il braccio della morte - che è un carcere molto particolare - è la massima espressione della cultura dello scarto, perché lì vengono scartate e considerate irrecuperabili delle persone umane! E questo penso che per un cristiano non sia assolutamente accettabile, cioè poter scartare un essere umano perché considerato o improduttivo – come spesso succede con i poveri – o addirittura da sopprimere perché non c’è alcuna speranza. E spesso il Papa continua a dire che non c’è una pena umana senza speranza…


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