martedì, febbraio 14, 2017
«La Chiesa potrebbe ammettere alla penitenza e alla eucaristia i fedeli che si trovano in unione non legittima», i quali «desiderano cambiare tale situazione, però non possono attuare il loro desiderio». 

di Andrea Tornielli

Vatican Insider - Questa la conclusione a cui arriva il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi, autore di un agile volumetto appena pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana (Il Capitolo ottavo della esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia), una cinquantina di pagine interamente dedicate alla questione della possibile ammissione ai sacramenti per coloro che vivono in situazioni «irregolari». «Credo che possiamo ritenere, con sicura e tranquilla coscienza, che la dottrina, nel caso, è rispettata», scrive il cardinale
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Una lettura attenta e critica
Da notare innanzitutto il metodo utilizzato dal porporato canonista: una lettura critica e attentissima del testo papale, con l’intento di coglierne, attraverso tutti i possibili rimandi interni, l’autentico significato. Coccopalmerio ricorda che questa parte del documento «non è molto ampia, perché è composta solo da ventidue numeri, dal n. 291 al n. 312, ma è molto densa e pertanto presenta maggiori difficoltà di analisi e di comprensione. A ciò deve aggiungersi - ammette con sincerità - una certa non organicità, cioè un susseguirsi non sempre ordinato dei temi trattati».

Ribadita l’indissolubilità
Il cardinale ricorda, citandoli, i testi dell’esortazione che contengono «con assoluta chiarezza tutti gli elementi della dottrina sul matrimonio in piena coerenza e fedeltà all’insegnamento tradizionale della Chiesa». L’esortazione afferma ripetutamente la «volontà ferma di restare fedeli alla dottrina della Chiesa su matrimonio e famiglia». E ricorda che «in nessun modo la Chiesa deve rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio, il progetto di Dio in tutta la sua grandezza… La tiepidezza, qualsiasi forma di relativismo, o un eccessivo rispetto al momento di proporlo, sarebbero una mancanza di fedeltà al Vangelo e anche una mancanza di amore della Chiesa verso i giovani stessi».

Le condizioni soggettive degli «irregolari»
Le pagine più dense e articolare del libro sono quelle relative alle «condizioni soggettive o condizioni di coscienza delle diverse persone nelle diverse situazioni non regolari e il connesso problema della ammissione ai sacramenti della penitenza e della eucaristia». Coccopalmerio sottolinea come limiti e ostacoli non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma vigente, perché, come già affermava Papa Wojtyla, «un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere valori insiti nella norma morale o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa». Sono tre le motivazioni che esimerebbero la persona «irregolare» dall’essere in condizione di peccato mortale: una eventuale «ignoranza della norma» e pertanto la non colpevolezza nel caso di infrazione della norma stessa; una «grande difficoltà nel comprendere i valori insiti nella norma morale»; «condizioni concrete che non… permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa», «fattori che limitano la capacità di decisione».

La consapevolezza dell’irregolarità
La terza delle tre motivazioni «è la più problematica». Amoris laetitia, citando anche Giovanni Paolo II, parla di coppie che pur nella «consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione» hanno «grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe», e «situazioni in cui «l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione». Coccopalmerio osserva che il testo, pur non affermandolo esplicitamente, presuppone in modo implicito che queste persone siano intenzionate a «cambiare la loro condizione illegittima». Cioè si pongano «il problema di cambiare» e quindi abbiano «l’intenzione o, almeno, il desiderio» di farlo.

Un caso concreto
Il cardinale fa un esempio concreto per spiegare quanto appena affermato, proponendo quello «di una donna che è andata a convivere con un uomo sposato canonicamente e abbandonato dalla moglie con tre bambini ancora piccoli. Orbene, questa donna ha salvato l’uomo da uno stato di profonda prostrazione, probabilmente dalla tentazione di suicidio; ha allevato i tre bambini non senza notevoli sacrifici; la loro unione dura ormai da dieci anni; è nato un nuovo figlio. La donna della quale parliamo ha piena coscienza di essere in una situazione irregolare. Vorrebbe sinceramente cambiare vita. Ma, evidentemente, non lo può. Se, infatti, lasciasse la unione, l’uomo tornerebbe nella condizione di prima, i figli resterebbero senza mamma. Lasciare l’unione significherebbe, dunque, non adempiere gravi doveri verso persone di per sé innocenti. È perciò evidente che non potrebbe avvenire “senza una nuova colpa”».

«Come fratello e sorella» e fedeltà in pericolo
Il cardinale ricorda quanto stabilito da Giovanni Paolo II in Familiaris consortio e cioè la possibilità di confessarsi e fare la comunione purché ci si impegni a vivere come «fratello e sorella», cioè astenendosi dai rapporti sessuali. E sottolinea anche che l’eccezione in proposito sollevata da Amoris laetitia si fonda su un testo della costituzione conciliare Gaudium et spes: «In queste situazioni, molti, conoscendo e accettando la possibilità di convivere ‘come fratello e sorella’ che la Chiesa offre loro, rilevano che, se mancano alcune espressioni di intimità, “non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli”». Dunque, suggerisce l’autore del libro, «qualora l’impegno di vivere “come fratello e sorella” si riveli possibile senza difficoltà per il rapporto di coppia, i due conviventi lo accettino volentieri». Se invece tale impegno «determini difficoltà, i due conviventi sembrano di per sé non obbligati, perché verificano il caso del soggetto del quale parla il n. 301 con questa chiara espressione: “si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa”».

Le due condizioni essenziali 
«La Chiesa, dunque, potrebbe ammettere alla penitenza e alla eucaristia - conclude Coccopalmerio - i fedeli che si trovano in unione non legittima, i quali però verifichino due condizioni essenziali: desiderano cambiare tale situazione, però non possono attuare il loro desiderio. È evidente che le condizioni essenziali di cui sopra dovranno essere sottoposte ad attento e autorevole discernimento da parte dell’autorità ecclesiale». Nessun soggettivismo, ma spazio al rapporto con il sacerdote. Il cardinale afferma che potrebbe essere «necessario» o almeno «assai utile un servizio presso la Curia», in cui il vescovo «offra una apposita consulenza o anche una specifica autorizzazione a questi casi di ammissione ai sacramenti».

L’ostacolo dello «scandalo»
Resta da superare, osserva ancora il cardinale, l’ostacolo dello «scandalo» e cioè il giudizio erroneo secondo il quale l’ammissione di alcuni di questi fedeli significherebbe affermare la regolarità della loro unione e dunque che «il matrimonio o non è necessario o non è indissolubile». Per evitare lo scandalo bisogna «istruire i fedeli offrendo loro» i parametri di giudizio fin quei esposti.

La dottrina rispettata
«Credo che possiamo ritenere, con sicura e tranquilla coscienza - spiega Coccopalmerio - che la dottrina, nel caso, è rispettata. La dottrina dell’indissolubilità del matrimonio è nel caso rispettata, perché i fedeli nella situazione ipotizzata si trovano in unioni non legittime, anzi, più precisamente, possiamo senz’altro affermare che tale condizione è oggettivamente di peccato grave. La dottrina del sincero pentimento che contiene il proposito di cambiare la propria condizione di vita come necessario requisito per essere ammessi al sacramento della penitenza è nel caso rispettata, perché i fedeli nelle situazioni ipotizzate, da una parte, hanno coscienza, hanno convinzione, della situazione di peccato oggettivo nella quale attualmente si trovano e, dall’altra, hanno il proposito di cambiare la loro condizione di vita, anche se, in questo momento, non sono in grado di attuare il loro proposito».

Chi non può essere ammesso
A chi invece la Chiesa «non può assolutamente – sarebbe una patente contraddizione – concedere» i sacramenti? Al fedele che, «sapendo di essere in peccato grave e potendo cambiare, non avesse però nessuna sincera intenzione di attuare tale proposito». È quanto afferma Amoris laetitia: «Ovviamente, se qualcuno ostenta un peccato oggettivo come se facesse parte dell’ideale cristiano, o vuole imporre qualcosa di diverso da quello che insegna la Chiesa, non può pretendere di fare catechesi o di predicare, e in questo senso c’è qualcosa che lo separa dalla comunità. Ha bisogno di ascoltare nuovamente l’annuncio del Vangelo e l’invito alla conversione…».


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