Cinquant’anni fa Montini fu il primo Papa a visitare il santuario mariano portoghese: era preoccupato per le minacce della guerra nucleare. Non volle incontrare a tu per tu suor Lucia.
di Andrea Tornielli
Vatican Insider - Città del Vaticano. Il viaggio di Papa Francesco a Fatima avviene esattamente cinquant’anni dopo quello compiuto da Paolo VI, il primo Pontefice a recarci in pellegrinaggio nel santuario mariano portoghese.
Paolo VI era stato invitato l’anno precedente dall’episcopato portoghese, che gli chiedeva di presenziare alle celebrazioni per il cinquantesimo anniversario delle apparizioni. La decisione iniziale era stata però quella di non accettare, tanto che il 15 aprile 1967 il Papa aveva nominato suo legato per le celebrazioni il cardinale curiale di origini portoghesi José da Costa Nuñes
.
Il 25 aprile, il vescovo di Leiria João Pereira Venâncio, nella cui diocesi si trova Fatima, viene ricevuto in udienza dal Pontefice, che si aspetta una reiterazione dell’invito.
Il vescovo non si esprime con la dovuta decisione, e poche ore dopo viene raggiunto nella sua temporanea residenza romana da un gentiluomo di Su a Santità inviato da don Pasquale Macchi, segretario di Montini, che gli suggerisce di mettere nuovamente per iscritto l’invito al Papa, preannunciadogli che la risposta questa volta sarà positiva.
«La mia umile supplica a Vostra Santità di venire a Fatima, forse a causa della mia naturale timidezza, non si è manifestata con tutto il calore e l’ardore del mio proposito», scrive il prelato nella missiva inviata in Vaticano quello stesso giorno e scritta praticamente sotto dettatura.
È noto che Giovanni Battista Montini si era formato in una famiglia e in un ambiente, quello del cattolicesimo bresciano, dove si viveva una sincera devozione mariana, ma decisamente poco avvezzo alle manifestazioni miracolistiche. Che cosa aveva fatto cambiare idea al pontefice rispetto al viaggio nel luogo dell’apparizione mariana che, avvenuta alla vigilia della Rivoluzione d’Ottobre, aveva in qualche modo segnato il Novecento con il suo «segreto» diviso in tre parti? La volontà di un omaggio a Maria, certo, ma soprattutto la preoccupazione per le minacce sempre più incombenti sulla pace mondiale, come dirà il Papa nel dare l’annuncio, durante l’udienza generale del 3 maggio: «Il motivo spirituale, che vuol dare a questo viaggio il suo proprio significato, è quello di pregare, ancora una volta, e più umilmente e vivamente, in favore della pace».
La pace nel mondo, e, secondo una confidenza di don Macchi, anche la pace interna alla Chiesa, che appare in quel periodo sempre più minata dalla contestazione, dalla crisi delle vocazioni, dall’alto numero di preti che abbandonano l’abito. Pochi giorni dopo l’elezione, Paolo VI aveva voluto prendere visione del testo del segreto scritto da suor Lucia e conservato in Vaticano già da anni, e non trovandolo si era fatto spiegare da don Loris Capovilla, già segretario di Giovanni XXIII, dove fosse conservato. Ora, nell’imminenza del viaggio, Montini riapre il fascicolo su Fatima e chiede al Sant’Uffizio di esaminarlo. Il segreto, dunque, non viene conosciuto soltanto da poche persone, ma da una «plenaria» della suprema congregazione, che si tiene in Vaticano il 1° marzo 1967. L’iniziativa lascia supporre che in quella data il papa avesse già deciso di recarsi in Portogallo, o comunque che fosse sul punto di prendere la decisione.
Al momento del viaggio, il Portogallo è un Paese ancora governato da António de Oliveira Salazar, che negli anni Trenta, ispirandosi a Mussolini, aveva instaurato una sorta di fascismo portoghese, teorizzato come «Estado Novo», stato nuovo, e manteneva da allora il potere grazie al sostegno degli agrari, degli industriali e dei banchieri, dopo aver soppresso i sindacati, la libertà di stampa e ogni altro tipo di opposizione politica. Salazar aveva censurato «per ragioni di stato» l’enciclica Populorum progressio, pubblicata da Papa Montini poche settimane prima del pellegrinaggio a Fatima. Il viaggio di Paolo VI, che pure incontrerà il presidente, ha un carattere «eminentemente religioso» e dura un solo giorno: «Sarà un pellegrinaggio rapidissimo (i nostri viaggi hanno questo carattere della rapidità e della brevità, che i mezzi moderni di trasporto ci concedono, e che gli impegni del nostro ufficio apostolico ci impongono)».
Montini, che nell’annunciarlo dice di aver accettato l’invito «pressante e insistente» dell’episcopato portoghese, è dunque il primo Pontefice a presiedere una celebrazione alla Cova da Iria, nel luogo delle apparizioni, dove la cappellina sorta nei primi anni è stata affiancata da un grande santuario che accoglie migliaia di persone. Per rendere nota la visita, il papa pubblica l’esortazione apostolica Signum Magnum, datata 13 maggio, nella quale ricorda nuovamente la consacrazione del mondo al cuore di Maria fatta da Pio XII e invita «tutti i figli della Chiesa a rinnovare personalmente la propria consacrazione al cuore immacolato di Maria madre della Chiesa». Il documento papale si apre con l’accenno al «segno grandioso» di cui parla l’apostolo Giovanni nell’Apocalisse: la Donna vestita di sole. È il brano in cui si parla dell’enorme «drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste dieci diademi; la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle dal cielo e le precipitava sulla terra», lo stesso che nel maggio 2000 citerà Giovanni Paolo II annunciando la pubblicazione del Terzo segreto.
Il 13 maggio il papa vola da Roma su un bimotore della «Tap», la compagnia aerea portoghese, e atterra all’aeroporto militare di Monte Real, mentre le campane di tutte le chiese del Portogallo suonano a distesa. Salazar e il suo governo sono ad attenderlo. Poi Paolo VI arriva a Fatima, accolto da una folla immensa, che si accalca lungo tutto il tragitto di 50 chilometri che separa l’aerostazione dal santuario. In una tribuna, alla destra dell’altare, c’è la famiglia reale italiana, guidata da Umberto II, che vive esiliato a Cascais. Il papa lo riceverà per un breve saluto insieme ai familiari nel pomeriggio.
Nell’omelia della messa celebrata nella spianata antistante il santuario di Fatima quel 13 maggio 1967, Paolo VI parla dell’urgenza della pace «all’interno della Chiesa e in quei Paesi dove la libertà religiosa è soppressa» e anche della pace nel mondo «che non è né felice né tranquillo».
«Uomini, […] procurate d’essere degni del dono divino della pace. […] Non pensate a progetti di distruzione e di morte, di rivoluzione […] pensate a progetti di comune conforto e di solidale collaborazione. Uomini, pensate alla gravità e alla grandezza di quest’ora, che può essere decisiva per la storia della presente e della futura generazione». Montini descrive la gravità della situazione storica con toni tutt’altro che rassicuranti: da una parte «il grande arsenale di armi terribilmente mortali» e un progresso morale che non va di pari passo con quello scientifico e tecnico, dall’altra lo stato di povertà e di indigenza in cui si trova «la gran parte dell’umanità». «È per questo motivo che diciamo», spiega il papa, «che il mondo è in pericolo. È per questo motivo che siamo venuti ai piedi della Regina a chiederle la pace, un dono che solo Dio può dare […]. Vedete come il quadro del mondo e dei suoi destini qui si presenti immenso e drammatico».
Paolo VI dà un’immagine escatologica dell’evento: «Come una ripetizione o un’annunciazione di una scena della fine dei tempi o per un’umanità interamente riunita; era anche, come lo si doveva comprendere più tardi, dopo Hiroshima, un bacio del sole alla terra, possibile definizione di un’esplosione atomica».
In occasione della venuta del vescovo di Roma a Fatima, suor Lucia dos Santos lascia la clausura del monastero di Coimbra e assiste alla celebrazione. Paolo VI, la prende per un braccio come per presentarla alla folla che acclama la veggente. Ma non vuole parlare in privato con lei, se si esclude un brevissimo saluto alla presenza del vescovo di Leiria nella sua residenza. Il rifiuto del Papa viene fissato sulle pellicole dei cineoperatori: suor Lucia gli si inginocchia di fronte e Paolo VI, assiso sul trono, con un gesto gentile le scosta un po’ il velo che le copre parte del volto, come per fissarla meglio negli occhi.
Poi l’atteggiamento del Pontefice cambia improvvisamente, si percepisce dai gesti che dice di no, e invita la religiosa a non insistere, con gesti inequivocabili. A fianco di Montini c’è don Loris Capovilla. Lucia avrebbe voluto un colloquio a quattr’occhi, il papa la invita cortesemente ma con fermezza, a rivolgersi al suo vescovo. «Paolo VI», ricorda Jean Guitton, «aveva una sorta di generica avversione per i veggenti. Sosteneva che, poiché la rivelazione si è compiuta, la Chiesa non ha bisogno di queste cose, alle quali si dà un’importanza esagerata».
Prima di ripartire per Roma, il papa incontra anche i rappresentanti delle altre confessioni cristiane. A Fiumicino, rispondendo all’indirizzo di saluto del presidente del consiglio Aldo Moro, venuto a riceverlo, Paolo VI dice: «Abbiamo pregato la Madonna per questo: per la pace nella Chiesa e per la pace nel mondo».
di Andrea Tornielli
Vatican Insider - Città del Vaticano. Il viaggio di Papa Francesco a Fatima avviene esattamente cinquant’anni dopo quello compiuto da Paolo VI, il primo Pontefice a recarci in pellegrinaggio nel santuario mariano portoghese.
Paolo VI era stato invitato l’anno precedente dall’episcopato portoghese, che gli chiedeva di presenziare alle celebrazioni per il cinquantesimo anniversario delle apparizioni. La decisione iniziale era stata però quella di non accettare, tanto che il 15 aprile 1967 il Papa aveva nominato suo legato per le celebrazioni il cardinale curiale di origini portoghesi José da Costa Nuñes
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Il 25 aprile, il vescovo di Leiria João Pereira Venâncio, nella cui diocesi si trova Fatima, viene ricevuto in udienza dal Pontefice, che si aspetta una reiterazione dell’invito.
Il vescovo non si esprime con la dovuta decisione, e poche ore dopo viene raggiunto nella sua temporanea residenza romana da un gentiluomo di Su a Santità inviato da don Pasquale Macchi, segretario di Montini, che gli suggerisce di mettere nuovamente per iscritto l’invito al Papa, preannunciadogli che la risposta questa volta sarà positiva.
«La mia umile supplica a Vostra Santità di venire a Fatima, forse a causa della mia naturale timidezza, non si è manifestata con tutto il calore e l’ardore del mio proposito», scrive il prelato nella missiva inviata in Vaticano quello stesso giorno e scritta praticamente sotto dettatura.
È noto che Giovanni Battista Montini si era formato in una famiglia e in un ambiente, quello del cattolicesimo bresciano, dove si viveva una sincera devozione mariana, ma decisamente poco avvezzo alle manifestazioni miracolistiche. Che cosa aveva fatto cambiare idea al pontefice rispetto al viaggio nel luogo dell’apparizione mariana che, avvenuta alla vigilia della Rivoluzione d’Ottobre, aveva in qualche modo segnato il Novecento con il suo «segreto» diviso in tre parti? La volontà di un omaggio a Maria, certo, ma soprattutto la preoccupazione per le minacce sempre più incombenti sulla pace mondiale, come dirà il Papa nel dare l’annuncio, durante l’udienza generale del 3 maggio: «Il motivo spirituale, che vuol dare a questo viaggio il suo proprio significato, è quello di pregare, ancora una volta, e più umilmente e vivamente, in favore della pace».
La pace nel mondo, e, secondo una confidenza di don Macchi, anche la pace interna alla Chiesa, che appare in quel periodo sempre più minata dalla contestazione, dalla crisi delle vocazioni, dall’alto numero di preti che abbandonano l’abito. Pochi giorni dopo l’elezione, Paolo VI aveva voluto prendere visione del testo del segreto scritto da suor Lucia e conservato in Vaticano già da anni, e non trovandolo si era fatto spiegare da don Loris Capovilla, già segretario di Giovanni XXIII, dove fosse conservato. Ora, nell’imminenza del viaggio, Montini riapre il fascicolo su Fatima e chiede al Sant’Uffizio di esaminarlo. Il segreto, dunque, non viene conosciuto soltanto da poche persone, ma da una «plenaria» della suprema congregazione, che si tiene in Vaticano il 1° marzo 1967. L’iniziativa lascia supporre che in quella data il papa avesse già deciso di recarsi in Portogallo, o comunque che fosse sul punto di prendere la decisione.
Al momento del viaggio, il Portogallo è un Paese ancora governato da António de Oliveira Salazar, che negli anni Trenta, ispirandosi a Mussolini, aveva instaurato una sorta di fascismo portoghese, teorizzato come «Estado Novo», stato nuovo, e manteneva da allora il potere grazie al sostegno degli agrari, degli industriali e dei banchieri, dopo aver soppresso i sindacati, la libertà di stampa e ogni altro tipo di opposizione politica. Salazar aveva censurato «per ragioni di stato» l’enciclica Populorum progressio, pubblicata da Papa Montini poche settimane prima del pellegrinaggio a Fatima. Il viaggio di Paolo VI, che pure incontrerà il presidente, ha un carattere «eminentemente religioso» e dura un solo giorno: «Sarà un pellegrinaggio rapidissimo (i nostri viaggi hanno questo carattere della rapidità e della brevità, che i mezzi moderni di trasporto ci concedono, e che gli impegni del nostro ufficio apostolico ci impongono)».
Montini, che nell’annunciarlo dice di aver accettato l’invito «pressante e insistente» dell’episcopato portoghese, è dunque il primo Pontefice a presiedere una celebrazione alla Cova da Iria, nel luogo delle apparizioni, dove la cappellina sorta nei primi anni è stata affiancata da un grande santuario che accoglie migliaia di persone. Per rendere nota la visita, il papa pubblica l’esortazione apostolica Signum Magnum, datata 13 maggio, nella quale ricorda nuovamente la consacrazione del mondo al cuore di Maria fatta da Pio XII e invita «tutti i figli della Chiesa a rinnovare personalmente la propria consacrazione al cuore immacolato di Maria madre della Chiesa». Il documento papale si apre con l’accenno al «segno grandioso» di cui parla l’apostolo Giovanni nell’Apocalisse: la Donna vestita di sole. È il brano in cui si parla dell’enorme «drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste dieci diademi; la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle dal cielo e le precipitava sulla terra», lo stesso che nel maggio 2000 citerà Giovanni Paolo II annunciando la pubblicazione del Terzo segreto.
Il 13 maggio il papa vola da Roma su un bimotore della «Tap», la compagnia aerea portoghese, e atterra all’aeroporto militare di Monte Real, mentre le campane di tutte le chiese del Portogallo suonano a distesa. Salazar e il suo governo sono ad attenderlo. Poi Paolo VI arriva a Fatima, accolto da una folla immensa, che si accalca lungo tutto il tragitto di 50 chilometri che separa l’aerostazione dal santuario. In una tribuna, alla destra dell’altare, c’è la famiglia reale italiana, guidata da Umberto II, che vive esiliato a Cascais. Il papa lo riceverà per un breve saluto insieme ai familiari nel pomeriggio.
Nell’omelia della messa celebrata nella spianata antistante il santuario di Fatima quel 13 maggio 1967, Paolo VI parla dell’urgenza della pace «all’interno della Chiesa e in quei Paesi dove la libertà religiosa è soppressa» e anche della pace nel mondo «che non è né felice né tranquillo».
«Uomini, […] procurate d’essere degni del dono divino della pace. […] Non pensate a progetti di distruzione e di morte, di rivoluzione […] pensate a progetti di comune conforto e di solidale collaborazione. Uomini, pensate alla gravità e alla grandezza di quest’ora, che può essere decisiva per la storia della presente e della futura generazione». Montini descrive la gravità della situazione storica con toni tutt’altro che rassicuranti: da una parte «il grande arsenale di armi terribilmente mortali» e un progresso morale che non va di pari passo con quello scientifico e tecnico, dall’altra lo stato di povertà e di indigenza in cui si trova «la gran parte dell’umanità». «È per questo motivo che diciamo», spiega il papa, «che il mondo è in pericolo. È per questo motivo che siamo venuti ai piedi della Regina a chiederle la pace, un dono che solo Dio può dare […]. Vedete come il quadro del mondo e dei suoi destini qui si presenti immenso e drammatico».
Paolo VI dà un’immagine escatologica dell’evento: «Come una ripetizione o un’annunciazione di una scena della fine dei tempi o per un’umanità interamente riunita; era anche, come lo si doveva comprendere più tardi, dopo Hiroshima, un bacio del sole alla terra, possibile definizione di un’esplosione atomica».
In occasione della venuta del vescovo di Roma a Fatima, suor Lucia dos Santos lascia la clausura del monastero di Coimbra e assiste alla celebrazione. Paolo VI, la prende per un braccio come per presentarla alla folla che acclama la veggente. Ma non vuole parlare in privato con lei, se si esclude un brevissimo saluto alla presenza del vescovo di Leiria nella sua residenza. Il rifiuto del Papa viene fissato sulle pellicole dei cineoperatori: suor Lucia gli si inginocchia di fronte e Paolo VI, assiso sul trono, con un gesto gentile le scosta un po’ il velo che le copre parte del volto, come per fissarla meglio negli occhi.
Poi l’atteggiamento del Pontefice cambia improvvisamente, si percepisce dai gesti che dice di no, e invita la religiosa a non insistere, con gesti inequivocabili. A fianco di Montini c’è don Loris Capovilla. Lucia avrebbe voluto un colloquio a quattr’occhi, il papa la invita cortesemente ma con fermezza, a rivolgersi al suo vescovo. «Paolo VI», ricorda Jean Guitton, «aveva una sorta di generica avversione per i veggenti. Sosteneva che, poiché la rivelazione si è compiuta, la Chiesa non ha bisogno di queste cose, alle quali si dà un’importanza esagerata».
Prima di ripartire per Roma, il papa incontra anche i rappresentanti delle altre confessioni cristiane. A Fiumicino, rispondendo all’indirizzo di saluto del presidente del consiglio Aldo Moro, venuto a riceverlo, Paolo VI dice: «Abbiamo pregato la Madonna per questo: per la pace nella Chiesa e per la pace nel mondo».
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