Il primario inventò una malattia per beffare i nazisti. Il figlio: «Nascose una ricetrasmittente in ospedale»
Il primario inventò una malattia per beffare i nazisti. Il figlio: «Nascose una ricetrasmittente in ospedale» Giovanni Borromeo tra i «Giusti» del mausoleo israeliano di Yad Vashem. Il 2 marzo, con una breve cerimonia all’interno del Fatebenefratelli dell’Isola Tiberina, verrà ricordato Giovanni Borromeo, un intraprendente primario dell’ospedale che nei giorni oscuri del ‘43-‘44 riuscì a salvare la vita a un buon numero di ebrei inventandosi una malattia immaginaria, il morbo di K. Sarà l’ambasciatore d’Israele Ehud Gol a consegnare ai due figli del coraggioso primario, l’avvocato Pietro Borromeo e Beatrice Guerrieri, la medaglia di «Giusto». Il nome di Giovanni Borromeo verrà inciso tra quelli dei Giusti nel mausoleo di Yad Vashem a Gerusalemme, dove il nome dell’ingegnoso primario è già ricordato da sette ulivi piantati da alcuni ebrei salvati nel 1944, come i coniugi Tedesco.
Morbo di K. Almeno ventidue ebrei si sono salvati grazie a questa malattia. Un morbo tanto inquietante quanto inesistente, inventato da Giovanni Borromeo, un medico romano non privo di fantasia e di senso dello sfottò, nonostante i tempi bui che c’erano nell’autunno del 1943 a Roma.
«K»
stava per Kesselring: morbo del Feldmaresciallo che comandava le truppe tedesche in quei nove mesi a Roma. Era scritto sulle cartelle cliniche di alcuni ricoverati speciali di «Malattie infettive». I tedeschi guardavano e arretravano paurosi com’erano di epidemie.
E successo all’ospedale Fatebenefratelli dell’Isola Tiberina, a pochi passi dal tempietto clandestino
in cui un piccolo rabbino indomito come David Panzieri e un’infermiera cattolica come Dora Fogaroli che non arretrava di fronte ai problemi hanno salvato altri ebrei tenendo aperto un tempio sostitutivo della sinagoga centrale. Una pagina dimenticata, ma i nomi sono da coraggiosi.
«Mio padre Giovanni era nato nel 1898, era figlio di un medico e all’epoca dei fatti aveva dunque 45 anni, ma già da tredici anni era primario all’Isola Tiberina - ricorda il figlio Pietro - Invano gli avevano chiesto l’iscrizione al partito fascista, aveva sempre rifiutato. Suo padre era stato deputato del Partito Popolare di Don Sturzo ed era stato un antifascista della prima ora. Sull’isola trovò fra’
Maurizio, il priore dell’ordine ospedaliero, un polacco coraggioso, intraprendente e dalla vista lunga.
Mio padre era profondamente religioso e rimase molto turbato dalle leggi razziali. Fu questa la molla ultima che lo candidò a proteggere chi in quel momento stava per entrare in grave difficoltà».
Fu nel ‘43 che la sua attività si concretizzò. Col suo amico fra’ Maurizio istallò una ricetrasmittente
negli scantinati dell’ospedale e con quella cominciò a tenere i contatti con le prime brigate partigiane. «È un segreto che mio padre e fra’ Maurizio custodiranno gelosamente fino alla Liberazione – ricorda il figlio Pietro –. Contemporaneamente papà divenne amico del generale Lordi, un ufficiale che aveva radunato intorno a sé molti soldati e ufficiali sbandati dopo l’8 settembre ‘43. Ed è in quel momento che cominciano ad affluire in ospedale i primi ebrei. Mio padre ha un’idea: li ricovera tutti come affetti dal morbo di K. Malattia paurosa quanto inventata».
Nel pieno dei rastrellamenti i tedeschi irrompono sull’Isola Tiberina. Fra’ Maurizio smonta la radio
gettandola nel Tevere. Il professor Borromeo li aspetta all’ingresso del reparto. «Ai tedeschi snocciola nella loro lingua sintomi, decorso, pericoli di contagio - ricorda il figlio -. Riesce ad infinocchiare il loro ufficiale medico, che poi mi disse non era un genio della medicina. Comunque li convince ad andarsene. Passata la paura l’ospedale continua ad essere un centro di raccolta di perseguitati». Nel marzo ‘44 viene arrestato il generale Lordi. Lo portano a via Tasso. Una mattina Lordi chiede del suo medico, il professor Borromeo. «Papà viene prelevato dai nazisti, pensa che sia la fine, lo portano in via Tasso. Ma lì scopre che deve visitare Lordi. Con un sussurro il generale gli dice che non sa quanto potrà resistere alle torture, gli fa imparare a memoria una lista di nomi, gli chiede di avvertirli. Papà esce, fa quanto gli è stato chiesto, salva altre vite, più tardi verrà a sapere che il generale è morto d’infarto sotto tortura». Borromeo è morto il 24 agosto del 1961. Quante persone ha salvato? «Papà non le ha mai contate, gli bastava salvarle...».
di Paolo Brogi
Corriere della Sera
Il primario inventò una malattia per beffare i nazisti. Il figlio: «Nascose una ricetrasmittente in ospedale» Giovanni Borromeo tra i «Giusti» del mausoleo israeliano di Yad Vashem. Il 2 marzo, con una breve cerimonia all’interno del Fatebenefratelli dell’Isola Tiberina, verrà ricordato Giovanni Borromeo, un intraprendente primario dell’ospedale che nei giorni oscuri del ‘43-‘44 riuscì a salvare la vita a un buon numero di ebrei inventandosi una malattia immaginaria, il morbo di K. Sarà l’ambasciatore d’Israele Ehud Gol a consegnare ai due figli del coraggioso primario, l’avvocato Pietro Borromeo e Beatrice Guerrieri, la medaglia di «Giusto». Il nome di Giovanni Borromeo verrà inciso tra quelli dei Giusti nel mausoleo di Yad Vashem a Gerusalemme, dove il nome dell’ingegnoso primario è già ricordato da sette ulivi piantati da alcuni ebrei salvati nel 1944, come i coniugi Tedesco.
Morbo di K. Almeno ventidue ebrei si sono salvati grazie a questa malattia. Un morbo tanto inquietante quanto inesistente, inventato da Giovanni Borromeo, un medico romano non privo di fantasia e di senso dello sfottò, nonostante i tempi bui che c’erano nell’autunno del 1943 a Roma.
«K»
stava per Kesselring: morbo del Feldmaresciallo che comandava le truppe tedesche in quei nove mesi a Roma. Era scritto sulle cartelle cliniche di alcuni ricoverati speciali di «Malattie infettive». I tedeschi guardavano e arretravano paurosi com’erano di epidemie.
E successo all’ospedale Fatebenefratelli dell’Isola Tiberina, a pochi passi dal tempietto clandestino
in cui un piccolo rabbino indomito come David Panzieri e un’infermiera cattolica come Dora Fogaroli che non arretrava di fronte ai problemi hanno salvato altri ebrei tenendo aperto un tempio sostitutivo della sinagoga centrale. Una pagina dimenticata, ma i nomi sono da coraggiosi.
«Mio padre Giovanni era nato nel 1898, era figlio di un medico e all’epoca dei fatti aveva dunque 45 anni, ma già da tredici anni era primario all’Isola Tiberina - ricorda il figlio Pietro - Invano gli avevano chiesto l’iscrizione al partito fascista, aveva sempre rifiutato. Suo padre era stato deputato del Partito Popolare di Don Sturzo ed era stato un antifascista della prima ora. Sull’isola trovò fra’
Maurizio, il priore dell’ordine ospedaliero, un polacco coraggioso, intraprendente e dalla vista lunga.
Mio padre era profondamente religioso e rimase molto turbato dalle leggi razziali. Fu questa la molla ultima che lo candidò a proteggere chi in quel momento stava per entrare in grave difficoltà».
Fu nel ‘43 che la sua attività si concretizzò. Col suo amico fra’ Maurizio istallò una ricetrasmittente
negli scantinati dell’ospedale e con quella cominciò a tenere i contatti con le prime brigate partigiane. «È un segreto che mio padre e fra’ Maurizio custodiranno gelosamente fino alla Liberazione – ricorda il figlio Pietro –. Contemporaneamente papà divenne amico del generale Lordi, un ufficiale che aveva radunato intorno a sé molti soldati e ufficiali sbandati dopo l’8 settembre ‘43. Ed è in quel momento che cominciano ad affluire in ospedale i primi ebrei. Mio padre ha un’idea: li ricovera tutti come affetti dal morbo di K. Malattia paurosa quanto inventata».
Nel pieno dei rastrellamenti i tedeschi irrompono sull’Isola Tiberina. Fra’ Maurizio smonta la radio
gettandola nel Tevere. Il professor Borromeo li aspetta all’ingresso del reparto. «Ai tedeschi snocciola nella loro lingua sintomi, decorso, pericoli di contagio - ricorda il figlio -. Riesce ad infinocchiare il loro ufficiale medico, che poi mi disse non era un genio della medicina. Comunque li convince ad andarsene. Passata la paura l’ospedale continua ad essere un centro di raccolta di perseguitati». Nel marzo ‘44 viene arrestato il generale Lordi. Lo portano a via Tasso. Una mattina Lordi chiede del suo medico, il professor Borromeo. «Papà viene prelevato dai nazisti, pensa che sia la fine, lo portano in via Tasso. Ma lì scopre che deve visitare Lordi. Con un sussurro il generale gli dice che non sa quanto potrà resistere alle torture, gli fa imparare a memoria una lista di nomi, gli chiede di avvertirli. Papà esce, fa quanto gli è stato chiesto, salva altre vite, più tardi verrà a sapere che il generale è morto d’infarto sotto tortura». Borromeo è morto il 24 agosto del 1961. Quante persone ha salvato? «Papà non le ha mai contate, gli bastava salvarle...».
di Paolo Brogi
Corriere della Sera
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