giovedì, gennaio 31, 2008
Riflessioni dal convegno di pastorale giovanile.

dal sito dei PapBoys


SALSOMAGGIORE - Viaggio tra gli Uffici di Pastorale giovanile che non solo utilizzano internet, ma riescono a dialogare con istituzioni e mondo civile, proponendo i loro progetti educativi. La pastorale giovanile riparte dal­la «rete». E non solo perché ormai dimostra sufficiente maturità per fare propri tutti gli strumenti infor­matici, come internet, che oggi caratterizzano il vissuto delle nuove gene­razioni, ma anche perché sa mettere in campo relazioni significative con tutte le «agenzie educative». Termine sociologico che include tutti coloro che lavorano all’interno delle migliaia di realtà abitate dai giovani: dalle scuo­le agli stadi, dalle piazze ai locali pub­blici, fino agli ambienti di lavoro e di formazione. Non sono rare, infatti, le diocesi dove all’ormai consolidato dia­logo con tutti gli uffici di Pastorale si aggiunge la collaborazione con le i­stituzioni sociali che popolano gli spazi esterni alle aule di catechesi e alle attività oratoriali: un mosaico di ini­ziative e progetti emerso nei giorni scorsi a Salsomaggiore, dove si è te­nuto il X Convegno nazionale di pastorale giovanile.

Un esempio di pastorale giovanile or­mai talmente matura da fare da apri­pista in campo educativo anche alle i­stituzioni civili viene dalla diocesi di Piazza Armerina, dove l’Ufficio che si occupa delle nuove generazioni vie­ne guidato da due responsabili, un lai­co, Enzo Madonia, e un sacerdote, don Giuseppe Fausciana. «A Salsomaggio­re è stata confermata la linea sulla qua­le noi stiamo lavorando – dice Ma­donia – che parte dalla consapevo­lezza che l’educazione è una missio­ne che appartiene a tutti all’interno di un progetto che coinvolge comunità cristiana e società civile. Vanno in que­sto senso, ad esempio, i meeting gio­vanili diocesani di Piazza Armerina – aggiunge il responsabile laico dioce­sano –, oppure i numerosi forum cit­tadini dei giovani, diventati punto di riferimento per i diversi centri abitati della diocesi. Un progetto, che per la sua capacità di cogliere le urgenze più attuali è stato indicato come esem­plare dal vicepresidente della Com- missione nazionale antimafia».

Ma perché fare «rete»? Prima di tutto perché la rete permette di cogliere ciò che oggi i giovani chiedono, si è det­to a Salsomaggiore, realizzando così l’obiettivo dell’ascolto, così come è sta­to messo a fuoco durante il primo an­no dell’Agorà dei giovani italiani. Lo sa bene don Roberto D’Annibale, che da poche settimane è responsabile del­la pastorale giovanile della diocesi di Urbino-Urbania-Sant’Angelo in Va­do. «A Urbino vivono almeno 20 mi­la universitari – dice don Roberto –, ecco perché il dialogo con l’università è una delle nostre prime priorità». A mostrare il volto di una «rete dio­cesana » in ascolto delle nuove gene­razioni, infine, è Marco Cerruti, che con sua moglie è ormai da 11 anni re­sponsabile a tempo pieno della pa­storale giovanile di Firenze. «Lavoria­mo da tempo in stretta collaborazio­ne con il Centro diocesano delle vo­cazioni – racconta –, assieme pro­grammiamo e proponiamo diverse iniziative. Tre la più 'sperimentali' c’è un percorso per fidanzati pensato non per prepararli immediatamente al matrimonio ma per aiutarli a vivere pro­prio il fidanzamento».

E cosa chiedo­no i giovani fiorentini? «Un’iniziativa che è nata dal basso, richiesta da più parti – risponde Cerruti –, è un per­corso di sette incontri dedicato alla Bibbia per i giovani. E forse non è u­na casualità che da qualche tempo e­sistesse già un’iniziativa analoga per gli adulti...»: se l’educazione è un’opera «in rete» è necessario che anche gli a­dulti della comunità siano parte inte­grante di questo tessuto vivo.
Per Modena, infine, fare rete significa anche aprirsi al mondo: a Salsomag­giore, infatti, don Federico Pigoni, re­sponsabile modenese della pastorale giovanile, ha riportato l’esperienza di alcuni giovani della sua diocesi che hanno viaggiato in Cina, toccandone ferite e urgenze, grazie alla guida del­la Caritas di Hong Kong. Anche que­sto è un modo per incontrare i giova­ni fino «agli estremi confini».

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