dal sito dei PapaBoys
CONTROCORRENTE - “Un poco di zucchero e la pillola va giù…” avrebbe cantato Mary Poppins, tanti anni fa. Ma oggi non si tratta di prendere la dolce euchessina o le pillole di olio di merluzzo. L’uso degli psicofarmaci sta diventando sempre più diffuso e accanto ad essi il dilagare degli antidolorifici. Segno che non si è capaci a sopportare. - Non si scappa! Anche tra gli adolescenti si soffre di ansia e depressione. Non è più solo l’anziano o la donna in menopausa o chi ha raggiunto la mezza età o chi, comunque, deve elaborare una delusione esistenziale o un lutto, a costituire il profilo classico di chi si ammala con il male di vivere. “Depresso” lo è anche chi è nel fiore degli anni, chi dovrebbe sprizzare energia da tutti i pori perché ha quasi o ancora vent’anni…
E per curare la crisi, basta inghiottire una pillola. Un antidepressivo. Uno psicofarmaco che – declama il marketing – ha del miracoloso, discendente dal quel prozac, la cui vendita esplose e fece sensazione alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, in tutte le farmacie e ricette mediche del pianeta. I giovani del terzo millennio, ora, ne stanno facendo un uso… spropositato. Succede infatti che i giovani tendono a imbottirsi di pasticche e deglutire gocce appena si trovano di fronte alla più piccola difficoltà. Solo per superare un esame o un’interrogazione, per esempio, o affrontare un’esperienza di lavoro o sentirsi più adeguati in una relazione affettiva. Quando ci si sente malinconici, si prova il minimo disagio o pseudo-disagio, si ritiene comunemente che si è colti dalla depressione. Ma questo è un pregiudizio su cui i giovani non riflettono abbastanza, e la malinconia o un piccolo disagio diventano sinonimo di… depressione. Si va dal medico e si fa dunque ricorso agli psicofarmaci. Ma, secondo il parere degli specialisti, i quali invitano sempre alla prudenza e a una corretta terapia, prescritta e seguita sempre da un medico esperto, questo modo superficiale, azzardato e generalizzato di assumere farmaci non è assolutamente opportuno per guarire dall’ansia, dalla depressione, dagli attacchi di panico, dai disturbi dell’umore, mentali, ossessivo-compulsivi, o alimentari.
Il consumo degli antidepressivi rischia, in tal caso, di diventare controproducente e dannoso. Insomma: «Attenti, ragazzi!», non sono noccioline o caramelle allo zucchero. Sono sostanze chimiche, che generano complessi processi e alterazioni nell’organismo umano non indifferenti e ancora per molti versi sconosciuti, giovevoli solo se veramente necessari. Statistiche autorevoli (lo ha confermato il settimanale Espresso in un articolo apparso alla fine di settembre del 2007) hanno di recente documentato, con un po’ di allarmismo e preoccupazione, che nel nostro Paese si è verificato un incremento annuo dell’8% nel consumo di questo genere di medicine. Per un totale di guadagni pari a 650 milioni di euro.
La terapia psicologica - Consultare uno psicologo, sottoporsi a una seduta psicanalitica, resta ancora, di primo acchito, la strategia più efficace per curare i disturbi del comportamento. Il farmaco deve risultare un passo successivo, o integrativo, ma a deciderlo deve essere lo specialista, psichiatra o neuro-psichiatra, una volta misurata o analizzata la gravità o la fragilità del singolo caso. D’altro canto si ricorre – più sbrigativamente – ai farmaci, perché si pensa che si guarisce più in fretta. Quest’opinione comune ha comportato un sensazionale boom degli psicofarmaci. Anche tra i giovani. Da un’indagine condotta ultimamente dall’Oms, il numero di chi assume antidepressivi si è elevato a 35 milioni in tutto il mondo. E giovani, in sempre più larga maggioranza.
Il rischio del suicidio - Gli specialisti mettono allora in guardia: tra gli effetti nocivi di questa faciloneria irresponsabile nell’adottare tali rimedi farmacologici, si suppone si sia incrementato il rischio di suicidio tra i giovani con meno di 24 anni. Il dibattito scientifico su questo delicatissimo punto è molto acceso. Altre conseguenze negative sono le malformazioni dei feti per le donne che assumono antidepressivi nei primi tre mesi di gravidanza. Altri effetti collaterali sono ascrivibili nell’eccessiva sudorazione, nei disturbi cardiovascolari o respiratori. Tali segnali di pericolo devono indurre alla massima prudenza i medici quando ritengono di prescrivere uno psicofarmaco. Si tratta di medicine che contengono molecole, la cui introduzione nell’organismo umano è ancora oggetto di studi e approfondimenti scientifici non del tutto chiari.
Tempi e dosi - Occorrono almeno venti giorni perché le sostanze chimiche degli antidepressivi (si fa riferimento alla serotonina, alla noradrenalina o alla dopamina, per esempio) facciano effetto. E – confermano sempre gli specialisti – ci vogliono almeno sei mesi per ottenere risultati di guarigione soddisfacenti. Ma le dosi e i tempi di queste sostanze che agiscono nelle e con le cellule nervose, e il come agiscono, sono ancora una materia da esplorare da parte degli scienziati. Altre indagini hanno riscontrato che da parte dei pazienti affetti di depressione, in Italia, si commette altresì l’errore di interrompere la cura prima del previsto: il 50% dopo solo novanta giorni, il 70% prima dei sei mesi ordinari (dati Osmed). L’universo giovanile in cura con gli antidepressivi, in base a una statistica condotta nel 2006 dall’Osservatorio Arno, ha decifrato questi numeri: fino ai diciott’anni, ricorre all’antidepressivo un giovane su 271. Fino ai 40 anni, uno su 34. Nel parafrasare un motivo di successo di Vasco Rossi, si potrebbe cantare: «Voglio una vita… impasticcata!» Ed è questo che sta succedendo nel mondo giovanile. La depressione si può curare. Anche con gli antidepressivi. Ma l’uso degli psicofarmaci non deve essere né superficiale, né irresponsabile. Le conseguenze potrebbero essere irreparabili.
CONTROCORRENTE - “Un poco di zucchero e la pillola va giù…” avrebbe cantato Mary Poppins, tanti anni fa. Ma oggi non si tratta di prendere la dolce euchessina o le pillole di olio di merluzzo. L’uso degli psicofarmaci sta diventando sempre più diffuso e accanto ad essi il dilagare degli antidolorifici. Segno che non si è capaci a sopportare. - Non si scappa! Anche tra gli adolescenti si soffre di ansia e depressione. Non è più solo l’anziano o la donna in menopausa o chi ha raggiunto la mezza età o chi, comunque, deve elaborare una delusione esistenziale o un lutto, a costituire il profilo classico di chi si ammala con il male di vivere. “Depresso” lo è anche chi è nel fiore degli anni, chi dovrebbe sprizzare energia da tutti i pori perché ha quasi o ancora vent’anni…
E per curare la crisi, basta inghiottire una pillola. Un antidepressivo. Uno psicofarmaco che – declama il marketing – ha del miracoloso, discendente dal quel prozac, la cui vendita esplose e fece sensazione alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, in tutte le farmacie e ricette mediche del pianeta. I giovani del terzo millennio, ora, ne stanno facendo un uso… spropositato. Succede infatti che i giovani tendono a imbottirsi di pasticche e deglutire gocce appena si trovano di fronte alla più piccola difficoltà. Solo per superare un esame o un’interrogazione, per esempio, o affrontare un’esperienza di lavoro o sentirsi più adeguati in una relazione affettiva. Quando ci si sente malinconici, si prova il minimo disagio o pseudo-disagio, si ritiene comunemente che si è colti dalla depressione. Ma questo è un pregiudizio su cui i giovani non riflettono abbastanza, e la malinconia o un piccolo disagio diventano sinonimo di… depressione. Si va dal medico e si fa dunque ricorso agli psicofarmaci. Ma, secondo il parere degli specialisti, i quali invitano sempre alla prudenza e a una corretta terapia, prescritta e seguita sempre da un medico esperto, questo modo superficiale, azzardato e generalizzato di assumere farmaci non è assolutamente opportuno per guarire dall’ansia, dalla depressione, dagli attacchi di panico, dai disturbi dell’umore, mentali, ossessivo-compulsivi, o alimentari.
Il consumo degli antidepressivi rischia, in tal caso, di diventare controproducente e dannoso. Insomma: «Attenti, ragazzi!», non sono noccioline o caramelle allo zucchero. Sono sostanze chimiche, che generano complessi processi e alterazioni nell’organismo umano non indifferenti e ancora per molti versi sconosciuti, giovevoli solo se veramente necessari. Statistiche autorevoli (lo ha confermato il settimanale Espresso in un articolo apparso alla fine di settembre del 2007) hanno di recente documentato, con un po’ di allarmismo e preoccupazione, che nel nostro Paese si è verificato un incremento annuo dell’8% nel consumo di questo genere di medicine. Per un totale di guadagni pari a 650 milioni di euro.
La terapia psicologica - Consultare uno psicologo, sottoporsi a una seduta psicanalitica, resta ancora, di primo acchito, la strategia più efficace per curare i disturbi del comportamento. Il farmaco deve risultare un passo successivo, o integrativo, ma a deciderlo deve essere lo specialista, psichiatra o neuro-psichiatra, una volta misurata o analizzata la gravità o la fragilità del singolo caso. D’altro canto si ricorre – più sbrigativamente – ai farmaci, perché si pensa che si guarisce più in fretta. Quest’opinione comune ha comportato un sensazionale boom degli psicofarmaci. Anche tra i giovani. Da un’indagine condotta ultimamente dall’Oms, il numero di chi assume antidepressivi si è elevato a 35 milioni in tutto il mondo. E giovani, in sempre più larga maggioranza.
Il rischio del suicidio - Gli specialisti mettono allora in guardia: tra gli effetti nocivi di questa faciloneria irresponsabile nell’adottare tali rimedi farmacologici, si suppone si sia incrementato il rischio di suicidio tra i giovani con meno di 24 anni. Il dibattito scientifico su questo delicatissimo punto è molto acceso. Altre conseguenze negative sono le malformazioni dei feti per le donne che assumono antidepressivi nei primi tre mesi di gravidanza. Altri effetti collaterali sono ascrivibili nell’eccessiva sudorazione, nei disturbi cardiovascolari o respiratori. Tali segnali di pericolo devono indurre alla massima prudenza i medici quando ritengono di prescrivere uno psicofarmaco. Si tratta di medicine che contengono molecole, la cui introduzione nell’organismo umano è ancora oggetto di studi e approfondimenti scientifici non del tutto chiari.
Tempi e dosi - Occorrono almeno venti giorni perché le sostanze chimiche degli antidepressivi (si fa riferimento alla serotonina, alla noradrenalina o alla dopamina, per esempio) facciano effetto. E – confermano sempre gli specialisti – ci vogliono almeno sei mesi per ottenere risultati di guarigione soddisfacenti. Ma le dosi e i tempi di queste sostanze che agiscono nelle e con le cellule nervose, e il come agiscono, sono ancora una materia da esplorare da parte degli scienziati. Altre indagini hanno riscontrato che da parte dei pazienti affetti di depressione, in Italia, si commette altresì l’errore di interrompere la cura prima del previsto: il 50% dopo solo novanta giorni, il 70% prima dei sei mesi ordinari (dati Osmed). L’universo giovanile in cura con gli antidepressivi, in base a una statistica condotta nel 2006 dall’Osservatorio Arno, ha decifrato questi numeri: fino ai diciott’anni, ricorre all’antidepressivo un giovane su 271. Fino ai 40 anni, uno su 34. Nel parafrasare un motivo di successo di Vasco Rossi, si potrebbe cantare: «Voglio una vita… impasticcata!» Ed è questo che sta succedendo nel mondo giovanile. La depressione si può curare. Anche con gli antidepressivi. Ma l’uso degli psicofarmaci non deve essere né superficiale, né irresponsabile. Le conseguenze potrebbero essere irreparabili.
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