giovedì, maggio 29, 2008

di Renzo Puccetti

Da pochi giorni è trascorso il trentennale della legge 194, il dispositivo che in Italia ha reso legale l’aborto volontario. Si tratta di un anniversario nel quale si possono “celebrare” cose tra loro diverse: il supposto venire meno dell’aborto clandestino e, come si diceva allora, di classe; ma come non ricordare che in questi trent’anni sono stati uccisi quasi cinque milioni di bambini prima del loro primo vagito? Certo, è possibile nascondere la realtà e reificare il concepito attraverso un’infinita serie di artifizi, è possibile chiamarlo “grumo di cellule”, “parassita della madre”, “prodotto del concepimento”, “persona potenziale”, è possibile mistificare la realtà dell’azione compiuta dietro un’abile manipolazione del linguaggio e chiamare l’aborto “interruzione volontaria di gravidanza”, “I.V.G.”, fino a “procreazione responsabile”; è possibile definire “induced miscarriage” (aborto spontaneo indotto) l’aborto con la RU 486 per illudersi di essere innocenti, ma la realtà inchioda i responsabili di tale azione, che a dispetto dei sofismi è, rimane e sempre sarà la soppressione di una vita umana innocente.

Certo, l’abortismo libertario, l’aborto inteso come diritto della donna all’autodeterminazione, cioè all’arbitrio, è appoggiato da una minoranza del popolo italiano, ma è pur vero che dopo trent’anni non si è riusciti a convincere della falsità dell’abortismo umanitario, dell’idea che l’aborto sia sì un male, anzi, come spesso si dice, “un dramma per tutte le donne”, ma che la sua legalizzazione sia un male minore. Con abilità si è in questi trent’anni attratta l’attenzione delle persone sul fine buono della legge, contrastare la piaga dell’aborto clandestino, omettendo di considerare la vigliaccheria del mezzo scelto: la legalizzazione, lo strumento che con semplicità, del male dell’aborto clandestino, elimina solamente l’aggettivo, lasciando intatto il sostantivo. E perché la legalizzazione dell’aborto appaia come strumento buono, almeno nella prospettiva etica proporzionalista (teoria morale che giudica la bontà delle azioni sulla base del bilancio delle conseguenze di esse, rifiutata dal Magistero [cfr. enc. Veritatis Splendor]), c’è bisogno di fare credere che la legalizzazione non conduca ad un aumento degli aborti, tentando persino di accreditarne la riduzione prendendo i dati del 1982 come parametro di riferimento. Ma la legge è del maggio 1978 e da allora fino al 1982 gli aborti sono andati in costante aumento. Come fa la stessa legge prima a determinare l’aumento degli aborti e poi la loro riduzione? Perché si omette di considerare che nel frattempo l’infertilità di coppia è aumentata vertiginosamente, così come i casi d’impotenza? Non hanno contato niente le associazioni pro-life e l’indefesso insegnamento del Magistero e della Chiesa?

Affermare che la legge in questi trent’anni ha ridotto gli aborti significa ripetere una bugia all’infinito con l’intento di renderla una verità. Si dice inoltre: “più pillola, meno aborti”, slogan ripetuto anche in questi giorni da esponenti radicali eletti in parlamento a seguito dell’accordo raggiunto col partito democratico. È con questo argomento che la stessa Chiesa viene messa sul banco degli imputati con l’accusa di favorire l’aborto con la sua opposizione alla contraccezione. Argomento, questo, talmente sgangherato che si dovrebbe arrossire al solo prenderlo in considerazione. Com’è pensabile che le persone siano scrupolose dell’insegnamento della Chiesa nel non usare i contraccettivi e poi dello stesso insegnamento se ne infischino, commettendo il ben più grave peccato di aborto volontario? Roba da neuro-deliri! Ed infatti mai l’aborto è conseguente al mancato uso della pillola per obbedienza alla Chiesa. In trent’anni hanno provato a sommergerci con pillole, spirali, preservativi, impianti sottocutanei che rilasciano ormoni ed oggi con cerotti ed anelli vaginali, ma l’aborto continua ad essere lì, non diminuisce, anzi, in molti paesi è in crescita. La divulgazione della contraccezione in una determinata popolazione non riduce affatto gli aborti. Lo attestano centinaia di dati convergenti e decine di studi clinici. In Spagna sono state vendute nel 2005 340.000 confezioni di pillola del giorno, un mercato di 6,5 milioni di euro, eppure il tasso di aborti è cresciuto vertiginosamente. Ben il 12% di donne che abortisce in Danimarca ha assunto la pillola del giorno dopo ed in Italia le confezioni vendute sono aumentate progressivamente fino a toccare quota 370.000, ma tra le donne con meno di 20 anni l’aborto è aumentato progressivamente. In Francia nonostante oltre un milione di pillole del giorno dopo vendute in un anno e il 95% delle donne che usa la contraccezione quando non desidera figli, si contano oltre 206.000 aborti all’anno. In olanda insegnano nelle scuole il “doppio olandese” (pillola e preservativo) a partire dai tredici anni di età, ma le adolescenti abortiscono lì più che da noi.

Perché? Perché la tecno-scienza progettata per agire sul corpo delle donne non realizza quanto ci si attenderebbe? Forse perché l’essere umano, nonostante quello che pensano alcuni, non è uno scimmione glabro, non è un animale solo un po’ più complesso, è molto di più, è un essere razionale e libero ed in quanto tale dotato di volontà. Una volta che si promuove l’uso della contraccezione si diffonde un messaggio parallelo: la sessualità può essere disgiunta dalla fecondità. Riducendo così la sessualità a genitalità e la fecondità a fertilità, il figlio cessa di essere un dono e diventa un manufatto e qualsiasi mezzo per evitare di avere una merce non voluta diventa uno strumento ammissibile per garantire questo presunto diritto. È a questa mentalità mortifera, sterile e stantia, ideologicamente auto-referenziale e antiscientifica, che si rifacevano le linee-guida che in “articulo mortis” ministeriale Livia Turco ha tentato d’introdurre, subendo la provvidenziale bocciatura della regioni Lombardia e Sicilia in sede di conferenza Stato-Regioni. Si pensava di ridurre l’aborto aumentando l’accesso all’aborto e promuovendo la diffusione della contraccezione: una follia per tutto quanto mostrano le evidenze scientifiche.

A trent’anni dalla legge sull’aborto è l’ora che la faziosità si dissolva, che le parole descrivano la realtà delle cose e non più i desideri, che si cominci davvero ad aiutare le donne in difficoltà iniziando a domandare loro quello che oggi non risulta conosciuto dalle relazioni ministeriali: “Perché pensi di dovere abortire?”. Solo da qui potrà partire la riconquista di uno status di civiltà che con quella legge il nostro paese ha smarrito.

Per approfondire: L'uomo indesiderato - dalla pillola di Pincus alla RU 486, Società Editrice Fiorentina, 2008

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