Agenzia Misna - 20/12/2007 Stava raccogliendo legna da ardere Mohammed Hamza, ultima vittima di una sub-munizione ‘cluster’, uno dei piccoli e letali ordigni rilasciati da una bomba a grappolo. L’uomo, 35 anni di età e padre di tre bambini, è morto nel villaggio di Zebqine in quel sud del paese che nell’estate del 2006, durante l’offensiva di un mese di Israele contro le milizie del movimento politico-militare sciita di Hezbollah, venne ripetutamente bombardato dall’aviazione di Tel Aviv anche con bombe ‘cluster’. Secondo stime di varie organizzazioni furono sganciate almeno quattro milioni di sub-munizioni ‘cluster’ e un quarto di queste non sarebbe esploso a contatto con il suolo rappresentando tuttora una costante minaccia per gli abitanti e un freno alla ripresa dell’economia. A ottobre in circostanze simili erano morti un bambino di sei anni, un uomo di 45 e uno sminatore inglese di 36 anni; molte di più sono invece le vittime che pur restando in vita hanno subito lesioni fisiche permanenti. Lavori di bonifica del territorio sono in corso, ma occorre tempo perché come ha detto tempo fa alla MISNA Dalya Farran, portavoce del centro di Coordinamento dell’Onu contro le mine, “Israele non ha fornito le mappe con le aree colpite né ha informato su quantità e tipo di ordigni sganciati”. Le Nazioni Unite hanno finora riferito di 946 siti ricoperti da ‘cluster’ e individuati per un’area di 38 milioni di metri quadrati. Il costo in vite umane non è l’unico elemento che rende urgente terminare i lavori di bonifica: “Noi avvertiamo la gente dei rischi e dei pericoli che si corrono – aveva ancora detto alla MISNA Dalya Farran – ma sono in tanti a doversi comunque recare nei campi perché altrimenti verrebbe meno un’importante entrata; i contadini e le loro famiglie non hanno altra fonte di reddito se non quella che deriva dai raccolti.
4/10/2007 “Ogni volta che mi avvicinavo a uno di quegli ordigni mi chiedevo se chi l’aveva costruito riusciva a immaginare il risultato del suo lavoro; e speravo di morire nel caso in cui avessi sbagliato qualcosa e la munizione fosse esplosa”: Sladjan Vukovic di professione era sminatore e in 15 anni aveva avuto a che fare con migliaia di mine, anti-uomo e anti-carro. Ne era uscito sempre “vittorioso”. Ma quel giorno del 1999 che vorrebbe dimenticare, era stato chiamato a bonificare un’area bombardata da bombe cluster sganciate da aerei della Nato contro la Jugoslavia di Slodoban Milosevic. Il vivo racconto di Vukovic arriva alla MISNA da Belgrado, dove i rappresentanti di 23 paesi colpiti dalle cluster stanno lavorando per identificare principi comuni da inserire in un trattato per la messa al bando delle bombe a grappolo che dovrebbe essere definito entro l’autunno. Una bomba a grappolo (cluster) è costituita da un contenitore lanciato da aerei o pezzi di artiglieria che si apre a mezz’aria rilasciando anche centinaia di munizioni contenute all’interno e disperdendole in un’area ampia fino a un chilometro quadrato. Non tutte le munizioni esplodono una volta toccato il suolo; il 20-40% resta intatto e letale. Come quella che ha cambiato per sempre la vita di Sladjan: “Mi trovavo lungo una normalissima strada, lontano da obiettivi militari che potessero mettermi in guardia; l’ultimo ricordo è un’automobile crivellata da munizioni cluster, all’interno giocattoli, vestiti, resti di qualcuno che non c’era più”. Poi un’esplosione: Sladjan si risveglierà molte ore dopo in un ospedale, senza le braccia, con due figli piccoli e una moglie da mantenere. Prima di riprendere una vita ‘normale’ ha impiegato anni; oggi, a 41 anni di età, vive a Belgrado con una pensione.
(11/10/2007) E’ uno sminatore inglese l’ultima vittima causata dallo scoppio di una ‘cluster bomb’ (bomba a grappolo o a frammentazione): l’uomo di 36 anni, morto mentre stava bonificando un terreno a Bint Jbeil nei pressi del confine con Israele, è la 37esima persona a perdere la vita dalla fine del conflitto del 2006 tra gli israeliani e le milizie del movimento sciita Hezbollah. Secondo stime di varie organizzazioni, in Libano l’aviazione di Tel Aviv avrebbe sganciato circa 4 milioni di bombe a grappolo e un quarto di queste non sarebbe esploso al contatto col suolo rappresentando così una costante minaccia per gli abitanti e un freno alla ripresa dell’economia. Solo pochi giorni fa, in circostanze simili, avevano perso la vita un bambino di sei anni che stava a tornando a casa dopo il primo giorno di scuola, e un pastore che guidava il suo gregge. Secondo Dalya Farran, portavoce del Centro di coordinamento dell’Onu contro le mine, sono stati finora individuati 946 siti ricoperti da ‘cluster’ per un’area di circa 38 milioni di metri quadrati: “L’ostacolo più grande – ha detto la portavoce – è la mancata collaborazione di Israele che non ha fornito i dati relativi alle aree colpite con raid aerei, né ha informato su quantità e tipo di ordigni sganciati”. Finora, le 69 squadre di sminamento (per un totale di 1300 operatori) che operano nel paese hanno trovato e disattivato 130.000 munizioni ‘cluster’ (questa la definizione tecnica degli ordigni rilasciati da un contenitore lanciato in genere dagli aerei o anche dall’artiglieria). “A questi – ha aggiunto Dalya Farran – bisogna aggiungere le 375.000 mine anti-uomo piazzate dagli israeliani lungo la linea blu (che segna il confine tra il paese dei cedri e Israele), 2-3 chilometri all’interno del territorio libanese; per motivi politici non abbiamo il mandato a ripulire quell’area”. Ma il costo in vite umane non è l’unico elemento che rende urgente terminare i lavori di bonifica: “Noi avvertiamo la gente dei rischi e dei pericoli che si corrono, ma sono in tanti a doversi comunque recare nei campi perché altrimenti verrebbe meno una importante entrata; i contadini e le loro famiglie non hanno altra fonte di reddito se non quella che deriva dai raccolti”.
Un bambino di sei anni e un uomo di 45 sono rimasti vittima di ‘cluster bomb’ (bombe a frammentazione o a grappolo) rilasciate dall’aviazione israeliana nel corso del conflitto dello scorso anno. Il bambino, di ritorno dal suo primo giorno di scuola, stava giocando insieme ad alcuni amici nel cortile di una casa, quando una bomba grappolo nascosta tra i cespugli è esplosa. L’altra vittima è morta mentre stava portando il bestiame al pascolo. Entrambi vivevano nel sud del Libano ed avevano sperimentato lo scorso anno i bombardamenti degli aerei inviati da Tel Aviv e i combattimenti tra le truppe israeliane e le milizie del movimento sciita di Hezbollah.
[CO]
4/10/2007 “Ogni volta che mi avvicinavo a uno di quegli ordigni mi chiedevo se chi l’aveva costruito riusciva a immaginare il risultato del suo lavoro; e speravo di morire nel caso in cui avessi sbagliato qualcosa e la munizione fosse esplosa”: Sladjan Vukovic di professione era sminatore e in 15 anni aveva avuto a che fare con migliaia di mine, anti-uomo e anti-carro. Ne era uscito sempre “vittorioso”. Ma quel giorno del 1999 che vorrebbe dimenticare, era stato chiamato a bonificare un’area bombardata da bombe cluster sganciate da aerei della Nato contro la Jugoslavia di Slodoban Milosevic. Il vivo racconto di Vukovic arriva alla MISNA da Belgrado, dove i rappresentanti di 23 paesi colpiti dalle cluster stanno lavorando per identificare principi comuni da inserire in un trattato per la messa al bando delle bombe a grappolo che dovrebbe essere definito entro l’autunno. Una bomba a grappolo (cluster) è costituita da un contenitore lanciato da aerei o pezzi di artiglieria che si apre a mezz’aria rilasciando anche centinaia di munizioni contenute all’interno e disperdendole in un’area ampia fino a un chilometro quadrato. Non tutte le munizioni esplodono una volta toccato il suolo; il 20-40% resta intatto e letale. Come quella che ha cambiato per sempre la vita di Sladjan: “Mi trovavo lungo una normalissima strada, lontano da obiettivi militari che potessero mettermi in guardia; l’ultimo ricordo è un’automobile crivellata da munizioni cluster, all’interno giocattoli, vestiti, resti di qualcuno che non c’era più”. Poi un’esplosione: Sladjan si risveglierà molte ore dopo in un ospedale, senza le braccia, con due figli piccoli e una moglie da mantenere. Prima di riprendere una vita ‘normale’ ha impiegato anni; oggi, a 41 anni di età, vive a Belgrado con una pensione.
(11/10/2007) E’ uno sminatore inglese l’ultima vittima causata dallo scoppio di una ‘cluster bomb’ (bomba a grappolo o a frammentazione): l’uomo di 36 anni, morto mentre stava bonificando un terreno a Bint Jbeil nei pressi del confine con Israele, è la 37esima persona a perdere la vita dalla fine del conflitto del 2006 tra gli israeliani e le milizie del movimento sciita Hezbollah. Secondo stime di varie organizzazioni, in Libano l’aviazione di Tel Aviv avrebbe sganciato circa 4 milioni di bombe a grappolo e un quarto di queste non sarebbe esploso al contatto col suolo rappresentando così una costante minaccia per gli abitanti e un freno alla ripresa dell’economia. Solo pochi giorni fa, in circostanze simili, avevano perso la vita un bambino di sei anni che stava a tornando a casa dopo il primo giorno di scuola, e un pastore che guidava il suo gregge. Secondo Dalya Farran, portavoce del Centro di coordinamento dell’Onu contro le mine, sono stati finora individuati 946 siti ricoperti da ‘cluster’ per un’area di circa 38 milioni di metri quadrati: “L’ostacolo più grande – ha detto la portavoce – è la mancata collaborazione di Israele che non ha fornito i dati relativi alle aree colpite con raid aerei, né ha informato su quantità e tipo di ordigni sganciati”. Finora, le 69 squadre di sminamento (per un totale di 1300 operatori) che operano nel paese hanno trovato e disattivato 130.000 munizioni ‘cluster’ (questa la definizione tecnica degli ordigni rilasciati da un contenitore lanciato in genere dagli aerei o anche dall’artiglieria). “A questi – ha aggiunto Dalya Farran – bisogna aggiungere le 375.000 mine anti-uomo piazzate dagli israeliani lungo la linea blu (che segna il confine tra il paese dei cedri e Israele), 2-3 chilometri all’interno del territorio libanese; per motivi politici non abbiamo il mandato a ripulire quell’area”. Ma il costo in vite umane non è l’unico elemento che rende urgente terminare i lavori di bonifica: “Noi avvertiamo la gente dei rischi e dei pericoli che si corrono, ma sono in tanti a doversi comunque recare nei campi perché altrimenti verrebbe meno una importante entrata; i contadini e le loro famiglie non hanno altra fonte di reddito se non quella che deriva dai raccolti”.
Un bambino di sei anni e un uomo di 45 sono rimasti vittima di ‘cluster bomb’ (bombe a frammentazione o a grappolo) rilasciate dall’aviazione israeliana nel corso del conflitto dello scorso anno. Il bambino, di ritorno dal suo primo giorno di scuola, stava giocando insieme ad alcuni amici nel cortile di una casa, quando una bomba grappolo nascosta tra i cespugli è esplosa. L’altra vittima è morta mentre stava portando il bestiame al pascolo. Entrambi vivevano nel sud del Libano ed avevano sperimentato lo scorso anno i bombardamenti degli aerei inviati da Tel Aviv e i combattimenti tra le truppe israeliane e le milizie del movimento sciita di Hezbollah.
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