venerdì, luglio 11, 2008

Un rapporto del governo iracheno descrive la dissoluzione delle minoranze religiose irachene.

PeaceReporter - La popolazione irachena è costituita in maggioranza da musulmani, che sono il 97 percento della popolazione. Al 65 percento sono sciiti, al 32 percento sono sunniti, mentre il restante 3 percento sono cristiani e altre minoranze. Sono dati che risalgono all'ultimo censimento fatto nel paese, nel 1997, ma dall'invasione del 2003 molte cose sono cambiate. Una fotografia della situazione delle minoranze religiose l'ha divulgata il 1 luglio il ministero dei Diritti Umani iracheno che, per ogni comunità, ha calcolato il numero di vittime e quello delle persone sfollate all'interno del paese, dal 2003 al 2007. Secondo il rapporto, la comunità che ha dovuto subire maggiori persecuzioni in seguito all'invasione è stata quella degli shabaki, cultori di una religione ibrida tra l'islam della mistica sufi, cristianesimo e yazidismo. Possono bere alcolici e vanno in pellegrinaggio nei luoghi santi dello yazidismo.

Comunemente vengono considerati una minoranza tra i curdi. In seguito alle campagne di arabizzazione condotte da Saddam negli anni '80, gli shabaki furono spinti verso il nord del paese e oggi vivono quasi totalmente a est di Mosul e nella provincia di Niniveh. Prima del 2003 si stimava che fossero circa 300mila persone. I ministero iracheno sostiene che, alla fine del 2007 la comunità contava 529 casi di omicidi legati più o meno direttamente alla guerra, e almeno 16 mila elementi sfollati in altre zone del paese. Il secondo gruppo maggiormente preso di mira è stato quello degli Yazidi, insediati anche loro nel nord, nella provincia di Niniveh. Questi sono considerati dai musulmani come degli eretici adoratori del diavolo, ma si tratta solo di pregiudizi. In realtà credono che il mondo sia retto da sette creature angeliche, capeggiate da Melek Taus, un angelo dalle fattezze di pavone chiamato anche Shaytan, nome che ha dato origine al pregiudizio. Gli Yazidi in Iraq erano circa 650 mila. Il rapporto sostiene che le vittime tra loro dal 2003 sono state 335, ma non ci sono dati su quanti abbiano lasciato il paese. In questo caso due terzi delle vittime sono cadute lo stesso giorno, nell'agosto del 2007, quando quattro autobombe li presero di mira a Niniveh, uccidendone 215. La terza minoranza più colpita è stata quella cristiana, storicamente la meglio integrata ma presa di mira soprattuto per la vicinanza al mondo occidentale: gli episodi di attacchi contro rivendite di alcolici o musica gestite da cristiani sono stati molto numerosi. I più colpiti sono stati i caldei (107 vittime), segiuti dagli ortodossi (33) e poi cattolici, assiri, anglicani e armeni. Infine il rapporto cita i sabei. Noti anche come mandeani, sono rappresentanti di un culto monoteista incentrato sulla figura di Giovanni Battista e sulla convinzione che Gesù fosse un falso messia. Prima della guerra i Sabei iracheni erano circa 60mila, insediati soprattuto nel sud del Paese, nella zona dello Shatt el Arab. Il rapporto del ministero iracheno conta 127 vittime legate al conflitto e 13 mila famiglie che hanno lasciato il paese.

I numeri dei caduti all'interno delle comunità minoritarie irachene citati dal rapporto sembrano però calcolati per difetto, oppure, sono afflitti dal problema in cui si incappa ogni volta che si cerca di calcolare le vittime totali del conflitto: possono essere contate solo quelle di cui la stampa dà notizia, ma gran parte delle violenze in Iraq avvengono lontano dai riflettori, specialmente quando a farne le spese sono, appunto, le minoranze. Questo forse può spiegare il fatto che, secondo altre fonti, le comunità citate nel rapporto risultino oggi decimate. La popolazione degli shabaki, 300mila persone prima del 2003, risulta oggi ridotta a 60mila. Mentre quella dei Mandeani sarebbe passata da 60 a 5 mila. L'enorme divario tra prima e dopo la guerra si può spiegare anche con il fatto che il clima di intolleranza esploso nel paese dopo l'invasione abbia spinto molti gruppi a nascondersi sotto la superficie, come nel caso degli shabaki, che sono sempre più mimetizzati, almeno politicamente, nella comunità curda.

Che la libertà religiosa sia fortemente più minacciata rispetto al tempo di Saddam lo certifica anche il Dipartimento di Stato Usa, secondo cui, se da un lato c'è stata una riduzione delle restrizioni imposte dal governo alle comuntà religiose, dall'altro, c'è stata una netta crescita delle vessazioni sociali ai danni dei non musulmani, che hanno dovuto subite discriminazioni, abusi e una lunghissima serie di lutti per mano delle squadre della morte che hanno imperversato per tutto il 2007. Anche dal punto di vista delle leggi, però, la Costituzione scritta dopo l'invasione non tutela esplicitamente le minoranze. All'articolo 2 si parla di “libertà religiose garantite”, ma nello stesso si stabilisce anche che nessuna legge del codice potà contraddire i precetti dell'islam. Questa clausola apre le porte della giustizia ai teologi, che devono decidere cosa sia o non sia conforme all'islam. Nell'articolo 89 si dichiara esplicitamente che la composizione della Corte Suprema irachena dovrà includere anche esperti di legge islamica. Non stupisce che, in questo contesto, le minoranze preferiscano scappare dalla Mesopotamia, sempre più patria dell'islam e sempre meno culla delle civiltà.

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