giovedì, dicembre 25, 2008
La vicenda di un sito evangelico oscurato per i suoi contenuti cristiani. Le prime elezioni democratiche hanno portato alla presidenza il riformista Nasheed, ma nella coalizione di governo resta forte il peso dei partiti islamici. Non basta l’avversione al vecchio regime per portare riforme e libertà religiosa.

Malé (AsiaNews) - “Siamo spiacenti, il sito che sta cercando non è più disponibile”. Il messaggio appare sulla pagina web sidahitun.com, bloccata dal dicastero degli affari islamici delle Maldive a novembre ed ancora oggi inibita al pubblico. Il ministero ha censurato il sito, legato ad una rete internazionale di comunità evangeliche, perché contenente materiale su Gesù e canzoni cristiane in inglese e dhivehi, la lingua parlata nell’arcipelago.

La vicenda del Sidahitun è stata denunciata da Minivan News, agenzia online indipendente delle Maldive, e ripropone il tema della libertà religiosa nella repubblica in cui la costituzione afferma che il Paese è basato “sui principi dell’Islam” (art. 2), che ”un non musulmano non può diventare cittadino delle Maldive (art. 9), che “l’islam è la religione di Stato” e che “nessuna legge contraria a qualsiasi dettame dell’Islam può’ essere approvata” (art. 10).

Sull’impermeabilità delle Maldive a qualsiasi forma di religione che non sia l’islam vigila inoltre il Protection of Religious Unity Act, varato nel 1994, che vieta qualsiasi attività ritenuta anti musulmana. Nel 1998 la legge ha portato in carcere 50 abitanti dell’arcipelago sospettati di essere cristiani e causato l’espulsione di 19 stranieri accusati dello stesso ‘crimine’. Dieci anni dopo, nel giugno di quest’anno, l’Islamic decmocratic party ha impugnato il Protection act e la costituzione per far mettere al bando il volume “Libertà di religione, apostasia nell’islam” scritto dal procuratore generale e candidato presidente Hassan Saeed.

La vicenda del sito internet evangelico è quindi l’ultimo capitolo di una lunga storia. A pesare sulla censura c’è però il fatto che Sidahitun è stato oscurato il 29 novembre, un mese dopo la storica elezione a presidente di Mohammad Nasheed nelle prime elezioni democratiche del Paese.

La vittoria del leader del Maldivian Democratic Party (Mdp) ha sancito la fine dei 30 anni di governo ininterrotto di Maumoon Abdul Gayoom, padrone incontrastato dell’arcipelago dal 1978, ed è stata salutata come l’inizio di un processo di democratizzazione e affermazione delle libertà elementari per il Paese.

Il 5 settembre, in occasione del dibattito televisivo tra i sei candidati alla presidenza, il primo in assoluto nella storia delle Maldive, Nasheed aveva affermato: “Il nostro Paese sta muovendosi verso il cambiamento. Nessuno può dubitare di questo. Stiamo fuggendo dalla censura della libertà di espressione e dalla negazione dei diritti umani. Stiamo andando verso altre Maldive”.

Ex prigioniero politico e icona dell’opposizione alla dittatura, il futuro presidente ha messo il tema delle riforme al centro della campagna del Mdp. Il programma elettorale prometteva di ridurre il costo della vita e il divario esistente tra i pochi ricchi e la maggioranza di poveri, di migliorare l’economia e il servizio sanitario, di combattere la corruzione e affermare i diritti umani.

Ma la caratteristica principale del’Mdp è quella di raccogliere oppositori a Gayoom. Per questo nel partito del presidente si trovano insieme politici che propongono la completa occidentalizzazione della società maldiviana e altri che sostengono una ancora più rigida islamizzazione della vita dell’arcipelago. La fazione fondamentalista del Mdp ha un notevole peso nel partito tanto da riuscire a costringere Nasheed a non scegliere come suo vice presidente, Aminath Jameel, donna medico non musulmana.

Nella coalizione che ha portato alla vittoria del 29 ottobre figura anche il partito Adaalath, minoritaria formazione di destra di chiara ispirazione fondamentalista. Quando a fine novembre Nasheed ha presentato la sua squadra di governo l’incarico di ministro degli affari islamici è stato affidato al presidente del consiglio degli studiosi dell’Adaalath, quell’Abdul Majeed Abdul Bari che ha deciso la censura del sito evangelico.

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