mercoledì, febbraio 03, 2010
La popolazione mondiale sta invecchiando a ritmi che non ha eguali nella storia. Lo afferma un rapporto delle Nazioni Unite secondo il quale nel 2045 il numero degli ultrasessantenni supererà quanti avranno meno di 15 anni. La presenza di giovani diventerà sempre più esigua nel corso del 21.mo secolo. L'invecchiamento riguarda quasi tutti i Paesi del mondo e – afferma l’Onu - avrà un impatto dirompente sulla crescita economica, il lavoro, le tasse e le pensioni.

RadioVaticana - Fabio Colagrande ha intervistato il prof. Alessandro Rosina, docente di demografia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano:

R. – Il percorso che sta facendo la popolazione mondiale nel suo complesso, ovviamente in maniera differenziata, segue un po’ il percorso che hanno fatto l’Europa e i Paesi occidentali. Basta vedere la situazione dell’Italia, un Paese che come conseguenza di una denatalità che è diventata persistente - è sceso sotto l’equilibrio di sostituzione generazionale, e adesso rimane, nonostante qualche piccola ripresa, comunque fortemente sotto - come conseguenza, dicevo, ha una forte erosione della base della piramide demografica. Il che vuol dire sempre meno bambini e, di conseguenza, sempre meno giovani e, in prospettiva, sempre meno persone in un’età lavorativa e, quindi, il peso della popolazione anziana inattiva che cresce relativamente sempre di più. Ovviamente, a questo va abbinato anche, fortunatamente, il fatto che è in continuo aumento anche la longevità: una quota sempre più consistente di anziani nella società e nella popolazione, che bisognerà imparare a gestire, perché questo sia meno un rischio e più possibilmente un’opportunità.

D. – Pensiamo subito alle conseguenze gravi, per quanto riguarda i sistemi pensionistici…

R. – Se diminuisce nella popolazione l’età lavorativa, che è quella che paga le pensioni e sostiene il sistema Paese economicamente, lo fa crescere, e aumenta la popolazione anziana, il sistema rischia di crollare: rischia di crollare nei rapporti intergenerazionali, ma anche dal punto di vista del sistema di welfare, perché era un sistema che funzionava bene, quando c’erano tanti lavoratori e pochi pensionati. Il che vuol dire che bastava prelevare poco dai lavoratori, per dare tanto ai pochi pensionati. Adesso invece siamo costretti a prelevare tanto dai pochi lavoratori, per dare poco ai tanti pensionati. E’ chiaro che un sistema di questo tipo rischia di saltare.

Sempre al microfono di Fabio Colagrande, ascoltiamo Riccardo Cascioli, presidente del Centro europeo di studi su popolazione, ambiente e sviluppo:

R. – Il rapporto dell’Onu mette in risalto proprio che la novità è quest’accelerazione fortissima nei Paesi in via di sviluppo, che avranno quindi questo tipo di processo molto più rapidamente rispetto ai Paesi occidentali. Questo porterà sicuramente gravi squilibri, innanzitutto da un punto di vista economico e sociale, perché questi Paesi comunque vivono questo tipo di transizione, questo tipo di problema partendo da una situazione economica e sociale molto più bassa: non ci sono protezioni sociali, i redditi sono già bassi, c’è anche il fenomeno di sistemi previdenziali scarsi o nulli e l’impatto è quindi drammatico. Ora, lo stesso rapporto ci dice che il vero problema sta nel drastico calo della fertilità, quindi è chiaro che questo tipo di politiche che la stessa Onu sta comunque portando avanti non fanno altro che aggravare e rendere ancora più esplosiva la situazione.

D. – Ciò che rende il quadro preoccupante è il fatto che proprio i Paesi in via di sviluppo, che sono l’obiettivo di questo tipo di politiche, sono proprio quelli che avranno più bisogno di bambini nei prossimi anni …

R. – Hanno sicuramente bisogno di bambini ma hanno soprattutto bisogno di una politica che aiuti lo sviluppo, perché senza uno sviluppo qualsiasi fenomeno demografico comporta sicuramente dei problemi. Il vero problema sta nel fatto che le politiche di sviluppo internazionali sono sempre più centrate sulla riduzione della fertilità invece che nell’incentivo all’attività economica e soprattutto alla produttività economica, quindi anche allo sviluppo dell’agricoltura, alla lotta alle malattie che sono un handicap notevole. Diciamo che la percentuale degli aiuti dedicati ai programmi cosiddetti “di salute riproduttiva” – ma che altro non sono che programmi di controllo delle nascite – è sempre più in aumento e questo è sicuramente un problema enorme.

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